Ma esiste davvero un mondo così? È il mondo raccontato ne “Il Milione” dal veneziano Marco Polo, di cui si celebrano quest’anno i 770 anni dalla nascita (1254) e il settimo centenario della sua morte (1324).

Nel Medioevo tutto il commercio con l’Oriente passava per Venezia. In particolare, nel XIII secolo, si commerciavano zucchero, sale, legno pregiato, lane e metalli, oltre a tutte le merci preziose d’oriente, come spezie, sete e gemme. La provenienza da luoghi così lontani, misteriosi e sconosciuti, portarono a credere che le spezie arrivassero dal Paradiso Terrestre e producessero miracoli contro la malattia e la morte.
La conoscenza medievale del mondo era infatti un insieme di elementi reali e fantastici. Il Paradiso Terrestre si immaginava situato agli estremi confini orientali del mondo, in una regione tra l’India e la Cina, ricco di erbe e piante aromatiche e di spezie. Si diceva che in quelle terre ci fosse un’intera foresta di pepe intorno a una fontana a soli tre giorni di cammino proprio dal Paradiso Terrestre. L’acqua di quella fonte cambiava costantemente sapore e chi ne beveva non si ammalava mai. Molti sono stati i viaggiatori europei, mercanti o religiosi, che si sono avventurati in queste terre, affidando ad un diario il resoconto di fatti e impressioni suscitate da luoghi, persone ed esperienze vissute, in un intreccio di fatti veri e falsi, basati su conoscenze geografiche mischiate a invenzioni fantastiche.

Marco Polo fu l’unico a fare un viaggio più ampio e fu il primo a descrivere la Cina e le sue ricchezze con anche quel pizzico di immaginario e fantastico che rese il suo racconto affascinante.

Nato in una famiglia di mercanti, autorizzata ad esercitare il commercio in terre straniere, all’età di 17 anni accompagnò il padre e lo zio in un viaggio attraverso la Terra Santa, la Persia e la Tartaria, arrivando sino all’impero del Catai, cioè la Cina. Rimase 17 anni alla corte del Gran Kahn, in veste di uomo di fiducia, incaricato di importanti missioni e ambasciate all’interno e all’esterno del vasto dominio tartaro. S’integrò così bene che divenne uno dei massimi consiglieri del grande Qubilai Khan. Rientrò nella sua Venezia solo dopo 24 anni, nel 1295.

Nel 1298, durante la guerra che opponeva Venezia a Genova, Polo ricevette il comando di una galea veneziana. Durante una battaglia fu fatto prigioniero e rinchiuso nel carcere di Genova dove conobbe Rustichello da Pisa, al quale avrebbe dettato le sue memorie. Dopo la pace tra Genovesi e Veneziani, il 1° luglio 1299 uscì dal carcere e rientrò a Venezia dove rimase sino alla morte nel 1324.

Il racconto de “Il Milione” conobbe un immediato e vasto successo per le notizie su quei paesi lontani e sconosciuti, anche se qualcuno mise in dubbio la veridicità delle notizie. È un libro che comunque ha diffuso in Europa nuove conoscenze dell’Asia e della Cina: per la prima volta si sente parlare del Giappone e non rivela solo aspetti geografici ma umani, antropologici, storici, economici, sociali, culturali.
La prima conseguenza fu un intensificarsi dei viaggi e delle missioni in Oriente con aggiornamenti della cartografia successiva in mappe e atlanti. Molto di ciò che era stato scritto, è stato confermato dai viaggiatori dei secoli successivi.

I Polo attraversarono l’attuale Turchia e l’Iran, scendendo verso il Golfo Persico, superarono le immense zone desertiche, le catene montuose e i pascoli dell’Afghanistan e del Pamir e seguirono strade antiche del deserto del Gobi. Passarono per Laias, l’attuale Trebisonda, porto del Mar Nero, luogo importantissimo per il mercato delle spezie.
Scendendo verso sud, passarono a est di Baudac, l’odierna Bagdad, punto nevralgico degli scambi tra le merci provenienti dall’India, descritta come una regione arida, ma ricca, grande produttrice, già a quei tempi, di dolci datteri, considerati i migliori del mondo. Attraversando la Persia, Marco racconta dell’abbondanza di drappi d’oro e di seta, di cotone, orzo e miglio e dell’abbondante produzione di vino. Trovando ancora datteri, pistacchi e i frutti del Paradiso (banane).

Racconta che nella zona sullo stretto di Hormuz si produce vino di datteri e di spezie e sottolinea come si mangi in modo differente rispetto alle abitudini europee, mantenendosi in salute con datteri e pesce salato. Aggiunge inoltre che i cereali si seminavano, a causa del gran caldo, in novembre e si raccoglievano in marzo. Passato il confine tra Iran e Afganistan, arrivarono anche nella regione della montagna del sale, merce rara e preziosa all’epoca.

Descrive astrologi e incantatori in grado di produrre il bel tempo con incantesimi, stregoni che riescono a deviare temporali e a spostare oggetti senza toccarli. Ovunque nota che la popolazione si nutre prevalentemente di carne e riso, già a quel tempo cibo-simbolo di queste regioni.

Quando raggiunsero Karakorum, l’antica capitale dei Tartari, per Marco iniziò l’esperienza personale più intrigante e costruttiva di tutto il viaggio: la scoperta della Cina e del suo popolo.

Ai suoi occhi questo fu il Paese delle Meraviglie: immensi spazi, palazzi da favola costruiti con marmi, oro e pietre preziose, un paese con il re che governava da 42 anni. Fornisce molte notizie sulle abitudini domestiche e alimentari anche dei Tartari: popolazione nomade, dove gli uomini si dedicano principalmente alla caccia. Osserva che si nutrono di carne di cavallo, selvaggina, e bevono latte di giumenta o una bevanda ottenuta da miglio, riso e frumento, ma conoscono anche il vino d’uva dalla provincia del Catai.

Narrando le meraviglie e le rarità del Palazzo d’estate, descrive astrologi, fattucchieri, negromanti, sciamani e incantatori che circondano l’imperatore mongolo e potenti monaci buddhisti che nei ricchi e spettacolari banchetti offerti dall’imperatore utilizzano tecniche telecinetiche per avvicinare il bicchiere di vino o il cibo alla bocca del loro signore.

Fornisce un’ampia descrizione anche della parte meridionale della Cina. Lungo il Fiume Giallo trova grandi coltivazioni di zenzero, nel Tibet dell’ottimo muschio, sostanza odorosa già usata a quel tempo in medicina e profumeria; nota che in varie zone gli abitanti usano come moneta una porcellana bianca, che altro non era che conchiglia, chiamata cosi perché all’epoca si pensava che la porcellana fosse fatta con polvere di conchiglia.

Vicino a Shanghai trova rabarbaro e ancora zenzero in grande abbondanza, meravigliandosi del prezzo irrisorio rispetto a Venezia. È il primo che menziona il petrolio, racconta di sassi neri che bruciano (carbone), così comuni in Cina che ogni giorno si possono fare bagni caldi.

A volte però esagera con bellezze e splendori ovunque, non distinguendo tra ciò che vede realmente e quello che vorrebbe vedere. Soprattutto il viaggio di ritorno, a contatto con l’oceano Indiano, è per Marco Polo l’occasione di abbandonarsi a racconti fantastici. Allo stesso tempo descrive noci di cocco, una palma vinaria cosi chiamata per il liquido che sgorga dalla sua corteccia e che in breve si trasforma in vino, e alberi che forniscono una farina per fare il pane e la pasta. Per primo parla dell’esistenza della Birmania, dell’Indocina e dell’Indonesia: per la precisione riferisce di 7448 isole a sud della Cina e a est dell’India. Descrive l’isola di Giava, forse ancora più importante dell’India per pepe, noce moscata, galanga, cubebe e chiodi di garofano.

In fin dei conti, non poteva non raccontare il Paese delle Meraviglie. Tra realtà e fantasia, come Marco Polo dettò a Rustichello da Pisa: «Io credo che Dio abbia voluto il nostro ritorno affinché potessimo far conoscere tutte le cose che ci sono nel mondo…»