Tutta colpa dei sovrani rinascimentali che vivevano nel terrore di finire avvelenati: i cibi destinati al principe dovevano essere confezionati da mani degne di fiducia, e all’epoca non potevano che essere maschili. Non che nel Medioevo e nel Rinascimento le donne non stessero in cucina: ci stavano, ma non ai fornelli aristocratici. È il 1557 quando viene pubblicato il Libro Novo di Cristoforo Messisbugo dove si legge: «Io non spenderò tempo a descrivere diverse minestre d’hortami o legumi o insegnare di frigere una thenca (…) o simili altre cose, che da qualunque vile femminuccia ottimamente si potriano fare». La cucina vera era roba da uomini. Le donne dovevano limitarsi a bollire gli ortaggi, friggere le tinche e fare la calza.

Un paio di secoli dopo la donna debutterà come professionista iniziando a cucinare fuori casa nelle osterie e nelle locande. A fine ‘800, si affermerà nella gastronomia solo con il passaggio dall’aristocrazia alla borghesia.

Se le cucine rimangono un regno ancora presidiato dai maschi, i best seller di ricette all’inizio del secolo scorso sono invece per la maggior parte di mani femminile: in Italia, Ada Boni con il suo Talismano della Felicità dal 1929 ha formato intere generazioni di donne di casa. Nello stesso periodo pubblica i suoi ricettari Petronilla, altra presenza immancabile nelle biblioteche culinarie italiane.

Nel frattempo era nata la Guida Michelin e la prima donna della storia a ricevere le 3 stelle è stata la francese Eugénie Brazier, definita dal suo allievo Paul Bocuse la più grande cuoca di tutti i tempi, “pilastro della gastronomia mondiale”. Nata poverissima nel 1895, ha scalato il mondo della cucina. Orfana di madre, a 19 anni quando resta incinta e viene cacciata dal padre perché non sposata, si trasferisce a Lione e comincia a lavorare come tata. A 26 anni decide di aprire un suo ristorante che conquisterà la critica francese. Dal ’33 al ’39 riceve 6 stelle per i suoi due ristoranti, uno in città e uno in campagna, un traguardo raggiunto da pochi colleghi uomini.

Poco dopo la Brazier, a ricevere le 3 stelle è stata Marie Bourgeois a 63 anni, che manterrà l’onorificenza per soli 4 anni, fino alla sua morte nel 1937. A seguire, Marguerite Bise nel 1951, Anne-Sophie Pic nel 2007 e Hélène Darroze nel 2021. A fare loro compagnia sono in Italia la Feolde e la Santini, in Spagna Elena Arzak e in Gran Bretagna Clare Smyth e Dominique Crenn, chef nata in Francia ma cresciuta in America. La Crenn è stata la prima donna americana a ricevere le 2 stelle Michelin, e oggi è la prima donna americana ad averne 3. Ed è stata proprio la doppia promozione della Darroze per The Connaught e di Clare Smyth nell’ultima edizione inglese della guida a portare le cuoche alla ribalta.

La donna è sempre stata vista come la madre che sta in casa e che deve accudire i figli. Ancora oggi sono pochissime le donne chef premiate nelle guide, pochissime le donne a capo di brigate. Su oltre 3.300 chef stellati di 28 Paesi del mondo, ci sono solamente 169 donne e appena il 5% del totale tristellate. Un paese come la Francia, dove la ristorazione è tema nazionale, su 616 stellati le donne sono solamente 16, mentre in Italia sono 41. Fortunatamente l’universo femminile dei fornelli è comunque in grande ascesa.

Oggi l’Italia è la nazione ad avere più donne stellate al mondo. Tanti nomi, tante differenti personalità. Annie Feolde è stata la prima cuoca italiana, e la quarta al mondo, a ricevere le 3 stelle: nata a Nizza nel 1945, arriva in Italia nel ’69 a Firenze. Dopo il matrimonio con Giorgio Pinchiorri aprono un’enoteca che nel 1974 trasformano in un vero e proprio ristorante. Nel 1982 la Guida Michelin assegna la prima stella a Enoteca Pinchiorri, l’anno dopo arriva la seconda. Nel 1994 la consacrazione definitiva. 3 stelle anche Nadia Santini con il ristorante Dal Pescatore, a Canneto sull’Oglio, in provincia di Mantova, anche se si fa sempre riferimento piuttosto alla famiglia Santini che a lei in particolare. Altra chef con il massimo riconoscimento è stata Luisa Marelli Valazza. Oggi il suo Ristorante Hotel “Al Sorriso” ha una sola stella, ma resta un luogo storico per la gastronomia italiana, è stata una delle prime autodidatte a conquistare un posto nella Guida Rossa. Apripista della nuova generazione può essere considerata Viviana Varese: la chef di Viva, 1 stella Michelin a Milano, è riuscita a divulgare il messaggio di una cucina elegante e contemporanea, senza scendere a compromessi con nessuno. E ancora Cristina Bowerman, 1 stella al Glass Hostaria di Roma, solo per citarne alcune. Tutte grandi cuoche che hanno partecipato anche a diverse edizioni di S.Pellegrino Sapori Ticino, manifestazione sempre attenta alle novità in cucina e che ha avuto sempre un occhio di riguardo verso le donne, insieme ad altre che stanno facendo la storia a livello europeo, come Ana Roš in Slovenia, 2 stelle nel suo Hiša Franko a Kobarid e Adeline Grattard del Yam’Tcha di Parigi.

Chiara Pavan, classe 1985, una stella Michelin del ristorante Venissa di Mazzorbo in provincia di Venezia, lo stesso che ha lanciato anche Antonia Klugmann e Paola Budel, altre cuoche che hanno fatto la storia della gastronomia italiana contemporanea, ha portato e raccontato la sua visione del rapporto tra le donne e la cucina il mese scorso alla serata delle donne di S.Pellegrino Sapori Ticino 2021. In coppia con Francesco Brutto, nella vita e in cucina, ha sviluppato una cucina inclusiva e golosa, d’avanguardia, raffinata e contemporanea. I piatti della cuoca filosofa, come è stata soprannominata per i suoi studi in filosofia, sono radicati nel territorio ed attenti all’ambiente che la circonda, rielaborati anche con la tecnica della fermentazione. «Stiamo uscendo ora da una società in cui la donna è sempre stata vista come la madre che sta in casa. In questo momento c’è molta attenzione mediatica sulle chef donne, ed è un bene. Molte ragazze, sempre di più, si avventurano con coraggio nella professione, cosa che prima non avveniva. Di donne nella ristorazione ce ne sono parecchie, ma molto poche fanno carriera e diventano chef. Secondo me sono stati fatti passi da gigante all’interno delle cucine: il rispetto che oggi si ha per una donna a capo di un ambiente di lavoro è molto migliorato. Il problema serio che spinge molte donne a rinunciare alla carriera in cucina sono i ritmi del lavoro, spesso ancora estenuanti. La cucina della ristorazione è completamente costruita sul mondo del lavoro e del business, che storicamente sono appannaggio dell’uomo. È proprio questo modello che dobbiamo superare per trovare la nostra creatività. Poche donne fanno carriera, ma sono più attente al mondo, più sostenibili».

Anche in Svizzera la situazione non è molto diversa. Su 122 ristoranti stellati, 2 donne soltanto: Tanja Grandits del ristorante Stucki di Basilea, una dei migliori chef al mondo, nominata “chef dell’anno” della Svizzera nel 2020, premio che aveva già vinto nel 2014, prima donna nella storia e Bernadette Lisibach, 2 stelle Michelin a Lömmenschwil (SG).

A fare un grande chef è la sensibilità, a prescindere dal genere. È giusto comunque che la presenza femminile cresca, anche nel campo della ricerca e perfino dell’avanguardia. Perché le donne non portano soltanto la creatività, devono diventare leader attraverso nuove forme di espressione.