Dietro a una stella c’è sempre una grande squadra, ma questo non basta, ci vuole la giusta location, un proprietario disponibile e pronto a rischiare, un direttore che accompagna lo chef nella sua avventura con flessibilità, ma pur sempre attento ai costi. È così che il team di Luca Bellanca, Mario Mantegazza – appoggiato dalla sua famiglia – e la direttrice Evelyn Mantegazza, hanno iniziato la loro avventura. La stella? Inaspettata, ma sognata.

«Credimi, non me la sarei mai aspettata. Speravamo di entrare nella guida, quello sì, perché per la prima volta, in tanti anni, ci hanno contattato chiedendoci varie informazioni, ma mai e poi mai avremmo pensato di prendere subito una stella».

Scusami Luca, ma come fanno a scegliere? Vengono in incognita, oppure si annunciano?

«Tu non sai mai se hai un ispettore in sala. Solo una volta abbiamo pensato che potesse esserci un rappresentante della guida Michelin, perché era molto attento a tutto, ma chissà… forse era solo un cliente ipercritico. In ogni caso, guardando la guida, le fotografie indicano che gli ispettori si sono recati più volte al ristorante. Questo è positivo, significa che abbiamo sempre lavorato bene. Comunque, sarò sincero, meglio non sapere se ci sono degli esperti nel ristorante, perché si rischia di perdere la concentrazione e quando si cucina bisogna sempre farlo con l’anima, con la giusta serenità. Se sei nervoso… puoi usare gli stessi ingredienti di sempre… ma il piatto non uscirà come d’abitudine (sorride)».

Per te è la prima stella…

«Si, si è la prima stella (silenzio). È come avere un bambino (ride soddisfatto)».

Una stella che ti resterà per sempre?

«La stella è legata a me e al META. Se dovessi andarmene, sia io sia il ristorante la perderemmo. La cosa bella è che comunque resterò per sempre uno chef stellato».

Dal tuo tono si capisce che era un sogno…

«Sarei falso a dirti di no, perché ovviamente è quella pacca sulla spalla che hai bisogno di avere. Naturalmente i complimenti dei clienti sono molto importanti, ma quando a dirtelo sono degli esperti del settore, che mangiano nei migliori ristoranti…capirai che è un altissimo riconoscimento».

Sei molto giovane, non c’è il rischio di montarsi la testa o di volere sempre di più?

«Caratterialmente sono uno con i piedi per terra e spero di non cambiare mai. Sono spesso a contatto con personaggi importanti e quando vedo i camerieri che diventano matti, la gente che vuole fare delle foto con loro… mi rendo conto che io non sono mai stato così, sono uno tranquillo, umile, non voglio cambiare. Sai cosa penso? Noi siamo cuochi, gli eroi sono quelli che salvano le vite. Io posso fare solo una cosa: regalare un momento bello, da ricordare. Tutti i cuochi dovrebbero rendersene conto, anche perché quando inizi a montarti la testa… è la fine per la tua carriera».

In che modo hai scoperto di aver ricevuto una stella?

«Ero al telefono con la direttrice del META e mi arriva un messaggio: Auguri! Allora richiamo questo amico, non avevo ancora bevuto il caffè, gli chiedo, ma sei impazzito? E lui, ridendo, mi dice, hai preso una stella!».

Hai pianto?

«Si, certo, e poi ho iniziato a saltare come un matto, c’era il mio gatto che mi guardava allibito. Nessun altro del ristorante in quel momento lo sapeva, allora volevo organizzare una sorpresa ma Evelyn, la gerente, mi ha richiamato dicendo che la guida era uscita… e allora le ho detto: “Guarda che lo so e ci hanno dato anche una stella!”. Ognuno di noi ha vissuto il momento intensamente, abbiamo sudato molto in questi anni e un riconoscimento del genere ci ripaga per tutti gli sforzi fatti».

Ma scusami voi vi eravate annunciati alla guida Michelin o è stato un caso?

«Noi non ci siamo mai annunciati alla guida Michelin perché non ci sentivamo pronti, prima eravamo al piano interrato, poi abbiamo aperto il nuovo ristorante ed è arrivata la pandemia, quindi non ci sembrava essere uno dei momenti più adatti. L’avremmo comunque fatto. Il merito è dei nostri clienti, che hanno creduto in noi e hanno scritto direttamente alla guida, anche questo aspetto è fantastico e mi riempie di orgoglio».

Scusami, ma ora dobbiamo chiedere anche al proprietario, Mario Mantegazza ed alla direttrice Evelyn Mantegazza come hanno reagito…

«Ho sempre creduto in Luca e sono molto orgoglioso, anche perché non è il primo riconoscimento che il locale riceve. Però, non posso nasconderlo, questa stella Michelin è un’emozione unica. È come vincere la Coppa dei Campioni o le Olimpiadi, tutti ci vorrebbero arrivare, ma pochi ci riescono. Devo anche ringraziare la mia famiglia che mi ha incaricato di occuparmi, fra le varie cose, anche del locale e ha creduto nelle mie idee. Ci tenevo moltissimo a portare qualcosa di speciale all’interno del Palazzo che porta il nostro nome e oltre a mia moglie, che ha curato l’arredamento e si è impegnata ogni giorno al mio fianco, oltre a tutti i Mantegazza devo ringraziare anche amici, inquilini, clienti abituali, che hanno creduto in noi e ci hanno sostenuto».

Mentre per te Evelyn? Una giovane direttrice che ci sta mettendo il cuore nel suo lavoro e che si vede premiata con una stella…

«Io non ho proprio dormito, ho passato la notte in bianco sapendo che il giorno dopo la guida Michelin avrebbe proclamato le nuove Stelle in Svizzera. La mattina, o meglio all’alba, sono andata subito in ufficio e ho cercato online la nuova guida, o almeno qualche indizio. Poi ho sentito Luca, lui lo sapeva già, ma io non volevo crederci poi verso le dieci del mattino, insomma dopo un’eternità, ho sbirciato il profilo Instagram della guida Michelin e ho visto che il nostro ristorante era tra i primi proclamati nella categoria “nuova Stella Michelin”. L’emozione che ho provato è indescrivibile, intensa, un misto tra euforia, esaltazione, incredulità. È stato uno di quei giorni che ricorderò per tutta la mia vita».

Torniamo a te Luca, come sei arrivato al META?

«Un po’ per caso. Sono arrivato a Lugano nel 2013, prima ero in Spagna, poi ho lavorato per una ditta di catering nel Bellinzonese e quando una mia amica mi ha detto che il Metamorphosis cercava uno sous chef mi sono candidato. La mia avventura è nata così fino a quando ci siamo trasferiti nel nuovo ristorante con un nuovo nome: META».

Quando parli si percepisce questa tua immensa passione per la cucina, da chi l’hai ereditata?

«Ho una mamma straordinaria in cucina, ottanta chili di morbidezza e pura passione. La mia famiglia ha origini siciliane e tutto gira attorno alla tavola, al profumo dei prodotti freschi, allo stare assieme, chiacchierare, mangiare. Per me la cucina è amore, star bene, ricordo ancora quando mi svegliavo la mattina e sentivo l’odore delle lasagne fatte in casa, diciamolo… ho giocato facile perché il naso si è affinato, il gusto è preparato… devo dire grazie alla mamma».

Un piatto che ti manca?

«Ho lavorato tanti anni all’estero e quando rientravo a casa mia mamma mi chiedeva sempre cosa volessi mangiare. Sarebbe stata disposta a cucinarmi il mondo, eppure io volevo sempre la stessa cosa: pasta al pomodoro e lasagne. Piatti semplici, ma di un sapore (guarda il cielo) che non so descriverti, anche perché la conserva di pomodori di mia mamma è unica, non ha rivali!».

Per questa ragione sei così attento alla qualità dei prodotti che utilizzi in cucina e ti si vede spesso al mercato…

«Ci vado ogni martedì mattina (sorride). Ho un contadino che mi prepara delle erbette, delle mini-verdure, ma non solo… per fare il burro, pensa, vado fino ad Airolo a prendere la panna. Questa è la mia vita, una continua ricerca, uno scovare prodotti locali unici e di ottima qualità».

Una tua ultima creazione…

«Mi piace contaminare i prodotti del territorio. Abbiamo la fortuna di avere della carne di ottima qualità, del pesce di lago fantastico. Per esempio, durante Sapori Ticino, il mio team ed io abbiamo proposto del ceviche fatto con pesce di lago. In un momento dove nessuno può viaggiare, abbiamo preparato un piatto rivisitato per regalare una sensazione esotica al cliente».

Sei instancabile (ridiamo). Fin da piccolo sapevi di voler dedicare la tua vita alla cucina?

«Sì (convinto). Dopo le scuole dell’obbligo ho frequentato la scuola alberghiera a Varese. Ho avuto due professori fantastici. È importantissimo trovare insegnanti bravi e calmi. Ho avuto anche professori che urlavano, lanciavano le padelle, ma non ho mai condiviso i loro metodi. Quando si cucina, si insegna, bisogna metterci l’anima, la mia cucina è fatta di amore e penso che i clienti riescano a percepirlo. Appena ricevuta la stella ho chiamato i mei docenti e gli chef con i quali ho lavorato, li ho ringraziati, perché sono convinto che mai e poi mai dobbiamo dimenticare da dove veniamo e soprattutto dobbiamo sempre ringraziare coloro che hanno reso possibili i nostri successi».

Hai parlato di chef stressati, purtroppo ci sono stati anche grandi chef, conosciuti a livello mondiale, che non ce l’hanno fatta a reggere a tanta pressione…

«Non è un segreto, la nostra professione è stressante, soprattutto a certi livelli. Non solo per gli ispettori che possono venire e quindi per la continua pressione di dover far sempre bene, ma anche per i costi: abbiamo la responsabilità di proporre piatti buoni perché i nostri clienti hanno aspettative alte. Quindi puoi immaginare il nostro lavoro è adrenalinico e stressante allo stesso tempo. Per questa ragione non bisogna mai perdere di vista l’amore per la cucina e rendersi conto che sbagliare è possibile, non siamo macchine. Detto questo gli sbagli vanno corretti, evitati e solo con un team affiatato e motivato lo si può fare».

Parli molto della tua famiglia, sei sposato?

«Sono single e felice. Non ci vuole molto per capire che questo lavoro ti assorbe quasi completamente.  Lavoriamo sempre, la sera, il fine settimana… È problematico fondare una famiglia, perché, per chi non è del mestiere, è difficile capire.  Puoi avere una moglie, dei figli, ma non li vedresti quasi mai; quando tu ti svegli loro non ci sono e quando rientrano a casa tu parti per il lavoro…. Non è facile, non dico che sia impossibile, però è complicato e per ora sto bene così, con il mio gattone».

Immagino che tu non abbia neanche molto tempo libero…

«Poco, poco. I miei amici si lamentano sempre perché devono prenotarsi con mesi di anticipo (ride). E poi il poco tempo libero lo dedico alla mia famiglia, alla quale sono molto legato, quindi non c’è domenica che io non vada a casa dei miei, a Varese, a gustarmi i piatti di mia mamma».

Ti capita mai di cucinare per te?

«Prima del lockdown non ho mai cucinato. Poi però sono stato costretto ad attrezzare la mia cucina ed ora un qualche piatto me lo preparo, normalmente cose semplici, se invece sono giù di tono mi regalo piatti nuovi, ricercati, che mi assorbano mente e cuore».

I tuoi piatti forti?

«Io adoro molto le paste, ma devo essere sincero la cucina mi piace a 360 gradi, mi piacciono i dolci, i pesci, le carni, ho la fortuna di dire che mi piace tutto. Sai la nostra cucina è particolare, a volte sbucciamo i piselli ad uno ad uno e anche se ci sono altre persone che potrebbero farlo al posto mio, la maggior parte delle volte lo faccio io, perché mi fa riflettere, mi rilassa, in quel momento non penso a nulla. Questo per farti capire la varietà di compiti che ci sono in una cucina e che anche lo chef è chiamato a svolgere più compiti».

Come cambierà la carta del META dopo questa stella?

«Ora il mio desiderio più grande è intensificare l’esperienza di un viaggio tra vari piatti, sapori, odori, sensazioni. Vorrei che i nostri clienti, sedendosi al tavolo, riuscissero a godersi ogni portata».

La parola ora anche alla direttrice, Evelyn Mantegazza, cambierà qualcosa dopo questa stella?

«La nostra essenza non cambierà, naturalmente studieremo un nuovo menu, come ha appena detto lo chef un viaggio sensoriale e punteremo sempre sulla qualità, sceglieremo i prodotti in base alla stagionalità cercando di trovare la materia a chilometro zero. In un periodo duro come questo è importante aiutarsi e spronarci a vicenda, anche la gastronomia ha sofferto molto questa pandemia, per questa ragione il nostro desiderio sarà quello di aiutare sempre più le aziende locali. Un menu è l’insieme di molti fattori, molte volte pensiamo unicamente a chi lo ha ideato, chi lo cucina, ma dietro ai nostri piatti, alla nostra carta dei vini, ci sono agricoltori, viticoltori, ma anche i clienti che con le loro critiche e i loro apprezzamenti ci fanno crescere giorno dopo giorno».

Vorrei rivolgere un’ultima domanda a Mario Mantegazza, cosa vuol dire per il Ticino, per Lugano, questa nuova stella?

«Per la precisione noi siamo a Paradiso (sorride) e abbiamo la grande fortuna di essere davvero affacciati sul lago, divisi da una zona verde appena rinnovata, che regala ai nostri ospiti la sensazione di essere nella zona mediterranea. Quello che mi colpisce davvero è che comunque nel solo Luganese ci siano ben quattro ristoranti stellati, tre dei quali si affacciano sul golfo e il quarto domina dall’alto. Penso che non solo noi, ma tutto il mondo della ristorazione – di tutto il Cantone – stia facendo davvero un grosso lavoro di immagine e di qualità, sorretto dall’enorme sforzo profuso da Sapori Ticino e dall’impegno costante delle associazioni di categoria. Ora è ovvio che tocca alla politica riconoscere il lavoro fatto e allinearsi alle nostre fatiche per promuovere un territorio dove l’eccellenza della proposta enogastronomica locale diventi la locomotiva giusta per trainare il treno del turismo regionale».