Come nasce il suo interesse per l’arte?

«Il maestro Jannis Kounellis amava definirsi “pittore”, anche se nella sua vita c’era molto di più della semplice tela, fin da quando (1969) aveva esposto in una galleria romana “12 cavalli” vivi. La pittura, ribadiva spesso, “deve uscire dal quadro” ed entrare nella vita e nella società. Condivido pienamente questa idea e sono un pittore. Lo sono anche in senso tradizionale: tela e pennelli. Il primo mio “vero” quadro è del 1991. Da alcuni mesi ero laureato in giurisprudenza alla Luiss di Roma, e sotto la guida del mio maestro, il giurista Franco Gaetano Scoca, avevo appena intrapreso l’attività di ricercatore. Avevo iniziato a dipingere all’età di 18 anni, parallelamente agli studi giuridici; frequentavo l’ambiente artistico, ero interessato all’arte in tutte le sue forme. Fu del tutto naturale per me proseguire lungo un percorso di ricerche e d’azione sul confine tra arte e diritto. Un periodo di formazione in California nel 1992, le prime mostre nel 1993, insieme alle prime pubblicazioni di teoria del diritto. Mostre che organizzai peraltro insieme con l’artista ticinese Gerardo Wuthier, amico fraterno dal 1986, al quale devo anche l’amore per Locarno e il suo festival, la conoscenza di Monte Verità con la teosofia, e l’incontro con le opere di Jean Dubuffet, Niele Toroni, Felice Varini. Intorno al 2010 avvertiti con maggiore chiarezza l’urgenza di rendere più evidente ed esplicita la confluenza tra l’attività artistica ed espositiva e l’attività accademica nel settore del diritto e delle scienze sociali. Nel 2009 mi feci quindi promotore da un lato dell’attivazione di un nuovo insegnamento universitario su “Diritto e arte contemporanea”, dall’altro di un progetto di ricerca su “Politiche pubbliche ed economia dalla cultura”. L’anno successivo diedi vita al Master interuniversitario in Diritto ed Economia per la Cultura e l’Arte/Deca master, al quale contribuiscono artisti, storici e curatori d’arte, galleristi, direttori di musei e di istituzioni culturali, direttori di riviste, giuristi, economisti, filosofi, amministratori pubblici e privati e del terzo settore. È stata inoltre costruita nel tempo da un lato una rete internazionale di partner pubblici e privati; dall’altro un sistema che collega ricerca, formazione e progettazione per lo sviluppo territoriale».

Da quando ha cominciato ad interessarsi di filantropia?

«Proprio grazie all’attività di direzione del Deca sono entrato in contatto con molti soggetti ed organismi che svolgono attività filantropica, scoprendo una realtà tanto estesa quanto variegata ed eterogenea al suo interno. La filantropia è sempre fatta e vissuta da persone, ma un conto è essere (o entrare in relazione con) una persona che agisce e rende conto solo a se stessa; altra è essere una “persona-organo”, che “fa agire” un altro soggetto giuridico. Le valutazioni da farsi, su entrambi i poli della “relazione generosa”, sono ulteriori e diverse: una cosa è una fondazione bancaria, altra è una fondazione d’impresa, altra ancora una fondazione di famiglia o una fondazione in mano pubblica, una fondazione universitaria o lirica ovvero una delle diverse tipologie di “ente del terzo settore”. E si deve anche rammentare che l’autonomia statutaria può plasmare e ibridare, in una certa misura, i caratteri di queste tipologie astratte. Anche nello specifico campo dell’arte e della cultura è rappresentato tutto il panorama dei soggetti filantropici. Bisogna quindi fare molta attenzione, perché anche il generico termine “fondazione” rinvia a un insieme estremamente diversificato di organismi: la gran parte è di natura privata, come è normale che sia; ma alcune, invece, addirittura assimilabili, in tutto e per tutto, ad enti pubblici».

A quali progetti artistici e filantropici ha dato vita personalmente?

«Vorrei parlarle di Sentieri contemporanei, un progetto attivato nel 2017 per l’Università di Sassari insieme con tre partner storici del master: una fondazione di origine bancaria (la Fondazione di Sardegna); una Organizzazione di Volontariato (Zerynthia odv); una Fondazione di Partecipazione (la Fondazione No Man’s Land). Sentieri contemporanei è un palinsesto itinerante di dialogo tra arte, scienza e formazione per favorire l’emersione di potenzialità di sviluppo inespresse dei territori coinvolti. La Fondazione di Sardegna è una fondazione di origine bancaria che persegue finalità di interesse pubblico e di utilità sociale e di promozione dello sviluppo socio-economico della Sardegna, ma in questo progetto svolge anche un ruolo operativo, stimolando la collaborazione di altri partner con iniziative collaterali ulteriori. Zerynthia odv e la Fondazione No Man’s Land sono partner operativi, curano la “regia” artistica del progetto e mettono a disposizione la rete internazionale di partner (artisti, operatori ed istituzioni dell’arte contemporanea) e i canali di comunicazione».

Lei è anche un noto specialista di “fondazioni di partecipazione”. Di che cosa si tratta?

«Il Codice civile italiano disciplina gli enti senza scopo di lucro nel Libro primo, senza fornire per essi specifiche definizioni. Tuttavia, stando al contenuto delle disposizioni, è evidente che mentre l’elemento che caratterizza l’associazione consiste nell’aggregazione di più persone per la soddisfazione di uno scopo comune interno ai loro interessi, ciò che caratterizza la fondazione è la destinazione di un patrimonio alla soddisfazione della volontà esterna del fondatore. Si tratta di un insieme di beni vincolati ad uno scopo, le cui rendite sono utilizzate dall’ente medesimo per perseguire detto fine.

La “fondazione di partecipazione” è un’istituzione di diritto privato senza scopo di lucro riconducibile al genus delle fondazioni quale sua variante atipica. Sua caratteristica essenziale è la rilevanza attribuita, mediante opportune previsioni statutarie sull’organizzazione dell’ente, non solo all’elemento patrimoniale, ma anche – in senso differenziale rispetto allo schema fondazionale classico – all’elemento personale. Con l’espressione indicata si fa quindi riferimento all’assunzione, da parte di una fondazione, di una struttura “associativa”».

Quali vantaggi porta una fondazione di partecipazione per una istituzione culturale o sociale.

«Oltre alle agevolazioni e sgravi di carattere fiscale, tributario ed economico (possibilità di accesso a finanziamenti e sovvenzioni dedicati, possibilità di partenariati misti e patti di collaborazione orizzontali con soggetti pubblici etc.) va sottolineata soprattutto la grande elasticità organizzativa del modello, che consente di delineare organismi perfettamente congruenti agli scopi assegnati e varie forme di legittima “ingerenza” dei fondatori e di coinvolgimento  e di apporto dei partecipanti alla vita e agli organi della fondazione: fondatori promotori, fondatori successivi, partecipanti ordinari, partecipanti sostenitori, partecipanti istituzionali, partner finanziari, partner d’opera».

Quali esempi di fondazione di partecipazione attive nel mondo dell’arte e della cultura hanno fatto secondo lei un lavoro particolarmente interessante?

«La fondazione di partecipazione ha avuto, a partire dagli anni ‘990, un larghissimo impiego in ambito culturale. Essa è lo schema giuridico più utilizzato per progetti di sviluppo su base culturale e per iniziative di valorizzazione del patrimonio culturale.

Tra le fondazioni di partecipazione “private” cito di nuovo la Fondazione No Man’s Land, con sedi in Abruzzo e nel Lazio, ma operativa in tutto il mondo con collaborazioni e progetti artistici internazionali di raffinata qualità. Tra quelle costituite da enti locali penso da un lato alla Fondazione Artea, in Piemonte, a lungo diretta da Alessandro Isaia, di recente passato alla direzione della Fondazione per la Cultura Torino, che è un altro esempio virtuoso di fondazione partecipata dalla Città di Torino. Realizza le manifestazioni culturali deliberate dalla Giunta comunale. Oltre a essere strumento operativo della Città, la Fondazione svolge anche attività di ricerca di sponsorizzazioni per altre istituzioni culturali cittadine e per progetti di associazioni operanti sul territorio.

Sempre a Torino va ricordata la Fondazione Museo delle Antichità Egizie, che fu il primo esperimento di costituzione in Italia, da parte dello Stato, di uno strumento di gestione museale a partecipazione privata. Ma vorrei menzionare anche la Fondazione Barumini Sistema Cultura, istituita dal piccolo Comune di Barumini (1.339 abitanti) nell’entroterra sardo, che ospita nel proprio territorio il monumento “Su Nuraxi di Barumini”, inserito nel 1997 dall’Unesco nella Lista del Patrimonio dell’Umanità. Con la creazione della Fondazione, nuovo soggetto giuridico interamente partecipato dal Comune, si sono poste le basi per una completa rivisitazione dell’impianto gestionale dello straordinario sito nuragico, affermando un più esplicito orientamento alla fruizione e favorendo una nuova qualità della crescita economica del territorio centrata sulla valorizzazione in chiave turistica del patrimonio culturale. Grazie al nuovo impulso impresso dalla Fondazione Barumini, il sito Unesco viene visitato ogni anno da circa 100mila persone e con l’apertura della Scuola di Scavo e Restauro Archeologico il sito é divenuto anche un polo di ricerca e studio specialistico aperto agli studenti e laureati europei e del bacino del Mediterraneo».

Qual è la sua visione per la filantropia del futuro?

«Una utopia realizzabile: la diffusione del modello della “relazione generosa”, un rapporto paritario tra persone e libertà creative».