Professor Marco Lanzetta Bertani, può raccontarci di sé e del suo percorso professionale?

«Sono un chirurgo specializzato in ortopedia e chirurgia della mano, con una carriera dedicata all’innovazione nella microchirurgia. Ho avuto il privilegio di contribuire a interventi pionieristici, tra cui il primo trapianto di mano da donatore deceduto nel mondo e il primo trapianto bilaterale. Svolgo la mia attività tra Lugano e Milano, dove ho fondato l’Istituto Italiano di Chirurgia della Mano e il Centro Nazionale Artrosi, diventati punti di riferimento nella diagnosi, prevenzione e cura dell’artrosi e dell’artrite.

Ricopro anche il ruolo di Presidente del Registro Mondiale dei Trapianti di Mano e di Faccia. Attraverso la Fondazione GICAM, porto avanti la convinzione che la chirurgia possa essere uno strumento concreto di cura, sviluppo sociale e cooperazione. Con GICAM organizzo missioni sanitarie e programmi di formazione per sviluppare competenze locali e migliorare l’accesso alle cure in aree svantaggiate, generando un impatto duraturo».

Ci racconta qualche ricordo significativo della sua giovinezza. Quali erano i suoi sogni o ambizioni da ragazzo?

«Fin da ragazzo ero affascinato dalla scienza e dal corpo umano. Studiavo anatomia, biologia, ma anche arte e disegno, cercando di coniugare precisione tecnica e sensibilità. Desideravo fare qualcosa di utile con un impatto concreto sulla vita delle persone. La medicina è stata la scelta naturale per “riparare” ciò che si rompe, in senso letterale e simbolico».

C’è stata una persona o un evento particolare che l’ha ispirata a intraprendere la carriera di chirurgo?

«Non un evento solo, ma un percorso fatto di incontri. In Australia ho incontrato maestri con una visione etica e innovativa della medicina, capaci di andare oltre le procedure standard.  Due in particolare: Earl Owen, uno dei pionieri della Microchirurgia, che mi ha insegnato come lavorare al microscopio con una attenzione al più piccolo dei dettagli. Bruce Conolly, il più famoso chirurgo della mano in Australia, con il quale ho condiviso migliaia di interventi chirurgici e innumerevoli momenti di riflessione sul come si deve fare il chirurgo nel migliore dei modi. Ho capito che la chirurgia può essere un gesto di servizio e giustizia».

Qual è stata la motivazione principale che l’ha portata a istituire la sua fondazione?
«Dopo anni in contesti avanzati, ho visto la disparità nell’accesso alle cure chirurgiche. In molti paesi mancano strutture, strumenti e competenze per trattare casi complessi. Con GICAM ho voluto creare un modello che portasse chirurgia ricostruttiva in aree svantaggiate, formando al tempo stesso professionisti locali. Non basta operare: bisogna lasciare qualcosa di duraturo. GICAM lo fa organizzando missioni chirurgiche in collaborazione con ospedali locali, dove i nostri specialisti operano insieme ai medici del posto. Ogni missione è anche un’opportunità di formazione, per trasmettere competenze della chirurgia della mano. Torniamo regolarmente negli stessi luoghi per garantire continuità e seguire i pazienti nel tempo. Inoltre, forniamo strumenti medicali alle strutture locali nei casi in cui le attrezzature non siano presenti o adatte per lavorare in condizioni di sicurezza».

Vuole parlarci dell’obiettivo principale della sua fondazione?

«L’obiettivo è doppio: offrire cure chirurgiche avanzate a chi non può permettersele e formare personale medico e tecnico locale. Vogliamo costruire competenze stabili, rafforzare i sistemi sanitari e sviluppare centri di eccellenza autosufficienti. La priorità sono bambini e donne con malformazioni, traumi e lesioni da catastrofi o conflitti. Interveniamo sempre con una visione a lungo termine».

Qual è il patrimonio della sua fondazione e come viene finanziata?

«La Fondazione GICAM è stata costituita nell’ottobre 2023, dopo aver operato per 25 anni come associazione. Ha sede a Lugano, nei pressi del Parco Ciani. La decisione di trasformarci in fondazione nasce dalla volontà di rafforzare la nostra struttura giuridica, offrendo maggiori garanzie di stabilità, trasparenza e continuità operativa. Fanno parte del Consiglio imprenditori e professionisti con esperienze consolidate nei settori medico, finanziario e legale, attivi sia in Svizzera che all’estero, che mettono a disposizione tempo e competenze per sostenere progetti a favore della collettività. GICAM si sostiene principalmente grazie a donazioni private e al supporto di altre fondazioni. Non riceviamo fondi pubblici, poiché molto limitati, ma sviluppiamo solide relazioni con aziende, fornitori, ospedali e cliniche dove i nostri volontari operano. Questi partner contribuiscono sia con risorse finanziarie sia con materiali medicali donati gratuitamente per le missioni. Questi contributi fondamentali hanno permesso di avviare la Fondazione con una base solida, garantendo così continuità e stabilità alle nostre attività».

Ci racconta qualcosa sui progetti attuali della fondazione. Quali sono quelli più significativi?

«Finora GICAM ha finanziato numerose iniziative, tra cui 89 campi chirurgici, programmi di formazione per professionisti locali e progetti di supporto specifici per pazienti con esigenze complesse. In media, organizziamo 10 missioni all’anno. Dallo scorso anno, sosteniamo giovani studentesse nell’accesso all’istruzione universitaria in ambito medico attraverso il progetto FRAWEP (Flavio Radice Women Empowerment Program), grazie al contributo della famiglia Radice che ci supporta, ampliando così il nostro impegno nel settore educativo.

Siamo attivi in Ghana e India con programmi solidi e collaborazioni stabili. Torneremo in Uganda per consolidare una nuova partnership e stiamo finalizzando accordi in Tanzania, Zanzibar, Etiopia e Pakistan. Ogni missione affronta casi complessi e ha una forte componente formativa, trasferendo competenze a medici e personale locale. Oggi contiamo oltre 250 volontari da più di 10 paesi, una rete di competenze che rende possibili progetti complessi. La loro determinazione è una delle nostre forze principali».

Qual è stato il progetto più importante che la fondazione ha portato avanti fino ad oggi?

«Ogni progetto ha valore, ma due esperienze segnano la storia di GICAM. Le prime missioni in Sierra Leone dopo la guerra civile sono state una sfida umana e tecnica intensa, operando in un contesto di profonde ferite fisiche e sociali. L’altro progetto chiave è il programma decennale nello stato del Maharashtra, India, in collaborazione con il Comprehensive Rural Health Project (CRHP), attivo da oltre 45 anni. In un’area rurale senza accesso alla chirurgia ricostruttiva, abbiamo operato migliaia di pazienti, formato squadre locali e creato una sinergia con le realtà sanitarie del territorio. In entrambi i casi, la chirurgia ha superato la dimensione tecnica, diventando strumento concreto di ricostruzione sociale».

In che modo la sua esperienza come chirurgo ha influenzato la visione e le attività della fondazione?

«La mia esperienza clinica mi ha insegnato quali sono le necessità reali dei pazienti e le risorse indispensabili per operare in sicurezza. Questo approccio pratico ha guidato la creazione di interventi efficaci, adattati ai diversi contesti culturali e sanitari. Evitiamo soluzioni imposte dall’esterno: portiamo tecnologie appropriate, protocolli flessibili e formazione che valorizza il know-how locale. La chirurgia deve adattarsi al contesto, non viceversa. GICAM non si limita a operare, ma lavora in stretta collaborazione con medici, infermieri e personale sanitario del posto per rafforzare le competenze e migliorare le condizioni di lavoro. Inoltre, poniamo grande attenzione alla riabilitazione post-operatoria, fondamentale per il pieno recupero del paziente. Monitoriamo costantemente i risultati delle nostre attività per adattare gli interventi alle esigenze specifiche di ogni territorio. Questo approccio ci permette di garantire cure di qualità e di sostenere uno sviluppo duraturo delle capacità locali».

Come vede il futuro della sua fondazione? Ci sono progetti o iniziative imminenti di cui è particolarmente entusiasta?

«Puntiamo a creare unità permanenti di chirurgia ricostruttiva nei paesi in cui operiamo, non solo missioni temporanee. Tra i progetti imminenti c’è il ritorno in nuove aree dell’Africa subsahariana, con interventi a favore di donne e bambini in condizioni di fragilità sociale, costruendo collaborazioni durature con ospedali e centri sanitari. Stiamo anche avviando un programma di fellowship in chirurgia della mano in collaborazione con un’istituzione universitaria in India, rivolto a giovani medici locali, per offrire formazione specialistica di alto livello e promuovere competenze autonome e sostenibili. Questo modello sarà replicato anche in altri paesi. Entrambi i progetti riflettono la direzione che GICAM vuole seguire nelgi anni a venire: interventi sostenibili, costruiti insieme alle realtà locali e capaci di generare un impatto reale nel tempo».