Per parlare di Geo Mantegazza, raccontiano l’ambiente che c’era intorno a voi: in una realtà dalle limitate dimensioni come era soprattutto all’epoca il Ticino, il mondo politico e quello imprenditoriale avevano frequenti occasioni di incontro e confronto…
«Assolutamente sì. Ci si conosceva praticamente tutti e i Mantegazza rappresentavano una delle famiglie autenticamente ticinesi più note e stimate. Con Sergio e Geo mi sono visto tante volte, per ragioni di lavoro legate a progetti imprenditoriali, alle fondazioni culturali o benefiche da loro fondate o alle quali hanno assicurato il loro sostegno, per la presenza a eventi pubblici o sportivi, legati naturalmente al mondo dell’hockey. Ma è capitato anche di incontrarci casualmente in piazza della Riforma, scambiando quattro chiacchiere o bevendo un caffe al Federale, come è normale che sia tra persone che frequentano e amano passeggiare nel centro della loro città».
I primi lavori portati avanti da Geo Mantegazza riguardavano soprattutto l’ingegneria civile. In che modo siete entrati in contatto?
«È stata quella la prima occasione in cui ho conosciuto l’ingegnere Geo Mantegazza. Bisogna partire da una situazione che molti cittadini luganesi ricordano benissimo: ancora intorno agli anni ’60 del secolo scorso non c’era fiume o lago della Svizzera in cui si potesse fare il bagno senza preoccupazioni. Se adesso le cose stanno diversamente è grazie alla costruzione dell’attuale rete di canalizzazioni, agli impianti di depurazione e alle altre infrastrutture di smaltimento delle acque di scarico cofinanziate dalla Confederazione e portate avanti dalle amministrazioni locali.
Anche il nostro lago versava in pessime condizioni. Le acque di scarico urbane e industriali venivano sversate nei corsi d’acqua senza trattamento e i fiumi, sempre più inquinati, erano ricoperti di schiume maleodoranti. Gli elevati apporti di nutrienti, soprattutto azoto e fosforo, provenienti dai detersivi o dall’industria favorivano inoltre la proliferazione di alghe che privavano d’ossigeno i fondali dei laghi, provocando massicce morie di pesci. All’epoca, i pochi pescatori di lago ancora rimasti erano letteralmente disperati».
Quando e come furono avviati i lavori per la depurazione delle acque?
«A partire dalla fine degli anni ‘50 vennero istituiti dei consorzi di comuni per la realizzazione e la gestione delle opere di raccolta e depurazione delle acque. Il consorzio costituiva la forma istituzionale che meglio rispondeva all’urgenza di risanamento del Ceresio. Nello specifico, nel febbraio del 1959 fu costituito il Consorzio per la Depurazione delle Acque Lugano e Dintorni, successivamente all’inizio degli anni ’80 fui nominato presidente. Lo scopo e la costruzione dell’impianto erano finalizzati alla costruzione della quarta fase a competizione del progetto delle canalizzazioni per adduzione delle acque luride al costruendo impianto di depurazione acque di Lugano e Dintorni (IDA). Lo Studio di ingegneria Mantegazza e Cattaneo ebbe in quegli anni un ruolo decisivo nell’assumere la progettazione e la realizzazione di opere di scavo e di canalizzazione, che hanno progressivamente determinato la messa in esercizio degli impianti di depurazione delle acque di scarico, compreso il grande collettore che dal centro della città confluisce nel primitivo nucleo del depuratore di Bioggio. La risposta del lago non si è fatta attendere e gradualmente la qualità delle sue acque è notevolmente migliorata. Il mutamento della situazione è stato reso possibile dalla diversione delle acque urbane della città di Lugano e dintorni verso il bacino sud dove, dopo adeguato trattamento, vengono re-immesse nelle acque superficiali. In questo senso si può ben dire che la prima grande opera edilizia di Geo Mantegazza a favore della città di Lugano abbia riguardato proprio le sue fondamenta, gettando le basi per la soluzione di un problema che poi nel corso dei decenni successivi ha conosciuto ulteriori interventi di miglioramento».
Nella sua veste di Sindaco di Lugano quando è iniziata invece la vostra collaborazione?
«All’inizio degli anni ’90 ero a capo, in quanto Sindaco, della società proprietaria dalla vecchia struttura delle Resega con la sua pista del ghiaccio utilizzata dall’Hockey Club Lugano e in quel periodo avviammo i lavori per la ricostruzione dell’intero impianto. Ebbi così modo di consultarmi più volte con Geo Mantegazza, con l’avv. Fabio Gaggini e con il loro team di collaboratori circa le soluzioni più opportune da adottare, l’organizzazione degli spazi e i servizi da realizzare a disposizione dei giocatori e del pubblico. Il problema era poi quello di evitare che, per tutta la durata dei lavori, la squadra di hockey dovesse emigrare verso un altro impianto per disputare le partite casalinghe del campionato svizzero ed escogitammo la soluzione di allestire una tribuna provvisoria in corrispondenza di quella che era la nuova Reseghina, che poi venne a sua volta completamente rifatta. L’intera operazione di demolizione e ricostruzione dell’impianto della Resega costituisce un esempio di equilibrio tra rispetto di precise esigenze tecniche e sportive e buon utilizzo delle risorse pubbliche, se si considera che i lavori furono portati a termine in circa tre anni (l’inaugurazione avvenne il 25 settembre 1995), a fronte di una spesa complessiva di soli 21 milioni di franchi».
Riannodando per un momento il nastro delle vicende che hanno determinato lo sviluppo di Lugano, qual era il contesto economico e sociale in cui ebbe inizio l’avventura imprenditoriale di Geo Mantegazza?
«Alla metà del secolo scorso Lugano costituiva ancora una piccola realtà dove c’era tanto da fare e inventare. Bisognava pero avere la capacita di intuire per tempo quali sarebbero stati i bisogni e le aspettative di una comunità che di lì a pochi decenni avrebbe conosciuto una rapida crescita. In questo senso i fratelli Mantegazza sono stati degli anticipatori, sia nel settore del turismo e dei viaggi che per quanto riguarda la domanda di servizi, come per esempio un lago con acque pulite, o la richiesta di residenze confortevoli ed eleganti. Bisogna poi dire che all’epoca le imprese di qualità, competenti e affidabili, erano relativamente poche e dunque era più facile vincere la concorrenza. Infine, elemento assolutamente da non sottovalutare il fatto che la macchina burocratica era molto più snella e le decisioni potevano essere prese e attuate in tempi rapidi, senza troppi intralci, ricorsi e complicazioni varie».
Un capitolo a parte merita la realizzazione di edifici che definiscono l’immagine stessa di Lugano, come nel caso del Palazzo Mantegazza a Paradiso e del Grand Palace nel centro della città…
«Palazzo Mantegazza, con la sua facciata altamente tecnologica, fatta di cristalli e nuovi metalli, che gli conferisce una leggerezza ben integrata con l’importante volumetria dell’edificio, occupa certamente una posizione strategica, nel luogo in cui la strada di scorrimento che porta all’imbocco dell’autostrada si innesta nel lungolago di Lugano. Il vincolo di concorso, seguendo le indicazioni delle norme di piano regolatore di Paradiso, prevedeva una tipologia ad angolo con un’altezza massima di 35,50 metri per 11 piani, e a questo proposito mi piace ricordare un altro episodio che mi vide coinvolto in prima persona, consentendomi di approfondire la competenza professionale di Geo e Sergio Mantegazza. Fui infatti chiamato a presiedere la commissione giudicatrice del concorso internazionale indetto per scegliere il progetto architettonico dell’edificio a cui parteciparono tre studi stranieri e tre ticinesi. Dopo una prima selezione venne premiato il progetto dell’architetto Giampiero Camponovo. In quell’occasione ebbi modo di conoscere anche l’architetto Norman Foster, una persona davvero straordinaria, dotata di una umanità e di una gentilezza fuori del comune».
E per quanto riguarda la realizzazione del LAC e del Grand Palace?
«La storia del LAC è abbastanza complessa e merita di essere raccontata. Nel dicembre del ’95, il direttore del Credit Suisse di Lugano, banca allora proprietaria dell’area mi prospettò l’opportunità che il Municipio acquistasse il Palace. Ci accordammo per l’acquisto per 30 milioni di franchi e il credito fu approvato dal Consiglio comunale nel 1996. Inizialmente l’idea era di realizzare un grande albergo con annesso il casinò. Ero presidente della Kursaal SA e chiedemmo al Municipio di poter assumere l’onere di aprire un concorso per la progettazione di tutto il comparto e furono invitati architetti di fama internazionale. Tuttavia, ci rendemmo conto che era molto difficile progettare entrambi i contenuti su quell’area, e nel ‘99 decidemmo di realizzare la sala da gioco al Kursaal, in vista dell’ottenimento della concessione per i grandi giochi (che ci fù assegnata) dove si trova oggi. Di conseguenza, ci trovammo di fronte al problema di cosa fare del Palace. Tenendo conto del fatto che sventrando l’edificio Kursaal, che era adibito anche a sala cinematografica (che nel frattempo avevamo trasferito alla Termica a Cornaredo, il primo progetto di rapporto privato / pubblico) il tutto per far posto al Casinò avevamo dovuto rinunciare al teatro, e visto che le mostre d’arte organizzate dalla Città attiravano decine di migliaia di visitatori e che la sala concertistica del Palazzo dei congressi era inadeguata alla qualità delle orchestre ospitate iniziai a concepire l’idea di mettere sotto lo stesso tetto attività espositive, teatrali e musicali. In particolare, confortato anche dal parere di Geo Mantegazza che faceva anch’esso parte del Consiglio di fondazione (Lugano festival) sulla continuità della primavera concertistica ritenevo che fosse necessario realizzare una sala concerto allineata ai più elevati livelli europei.
Così, una domenica mattina, era l’inizio di dicembre, chiamai Erasmo Pelli e gli spiegai l’idea. In quegli anni in Municipio eravamo in cinque, era più semplice portare avanti un progetto. Nel pomeriggio parlai con Guido Brioschi che si disse disponibile. Allora telefonai al segretario comunale, Armando Zoppi e gli chiesi di convocare una conferenza stampa. Lunedì mattina in seduta esposi l’idea a Giorgio Salvadè. Mancava Valeria Galli, che era assente. Ma eravamo tutti d’accordo. Nel pomeriggio comunicammo pubblicamente che sull’area dell’ex Palace sarebbe sorto il Polo culturale di Lugano».
Una grande progetto affiancato da un prestigioso complesso residenziale e commerciale…
«Restava il problema della destinazione del Palace che non poteva essere gestita da un’istituzione pubblica vocata ad assolvere a compiti diversi da quelli di operatore immobiliare. Il Municipio decise quindi che l’immobile andava rivenduto a privati, imponendo tuttavia alcuni ben precisi vincoli urbanistici ed edilizi, tra cui in primo luogo il mantenimento delle storiche facciate esterne che costituivano un simbolo dello sviluppo turistico della città. Bandimmo quindi un’asta, ricevendo la sola offerta del gruppo imprenditoriale costituito da Sergio e Geo Mantegazza, Maria Luisa Garzoni e Mario Albek che poterono avviare il processo di costruzione della nuova Residenza Grand Palace. La società acquirente scelse di affidare a Camponovo Architetti & Associati lo sviluppo progettuale definitivo dell’edificio, adottando particolari soluzioni soprattutto nel trattamento del fronte posteriore, rivolto verso il convento e visibile da chi proviene da via Nassa. Le residenze, che godono di una vista privilegiata sul lago, sono ospitate dietro al fronte originare dell’ex Palace, e la conservazione delle facciate (determinazione legittimata anche dalla volontà popolare), nonché la vicinanza dell’attigua Chiesa di Santa Maria degli Angioli, monumento storico nazionale, hanno imposto particolare attenzione nelle tecniche di scavo e di edificazione dell’intero complesso. Oggi si può ben dire che l’intervento pubblico e quello privato, pur distinti nella finalità dei progetti, abbiano concorso a restituire a questo comparto della città un aspetto monumentale e al tempo stesso contemporaneo, degna porta d’ingresso al centro storico cittadino».
Dopo il polo culturale, avete dato vita ad una serie di progetti destinati a cambiare il volto della città…
«Ad inizio anni Ottanta il Municipio godette di un contesto di particolare attivismo e di concordia politica, nonostante in Consiglio sedessero rappresentanti di forze molto diverse, che consentì alla città una profonda trasformazione, partendo dalla constatazione del fatto che essa non poteva crescere appoggiandosi al solo sostegno rappresentato dal settore finanziario. I punti di appoggio dovevano essere cultura, istruzione, finanza e commercio. Si iniziò a parlare di università e in quattro anni diventò realtà. Accanto alla cultura, la ricerca. Nel 1999 ero stato chiamato a presiedere la Fondazione Cardiocentro. Da lì nacque l’idea di un altro polo: quello della ricerca, anche perché in quel periodo ci fu l’opportunità di trasferire parte dell’attività del Centro di calcolo da Manno a Lugano. Restavano da sviluppare il polo turistico alberghiero al Campo Marzio e il polo sportivo a Cornaredo, pensato come un tassello importante per lo sviluppo del quartiere».
Le aggregazioni hanno rappresentato in un certo senso il coronamento della sua politica a favore dello sviluppo di Lugano. Perché le riteneva così’ importanti?
«Il potenziale della Città era talmente grande che non poteva più limitarsi a essere distribuito sul territorio esistente, ma doveva coinvolgerne uno più vasto. Un errore tante volte ripetuto in passato riguardava una pianificazione fatta per sé stessi, senza tener conto delle conseguenze che ricadono sul vicino. In un territorio come il nostro, ampio e complesso, unire i Comuni significa anche unire i concetti di sviluppo, soprattutto urbanistico. Ma ho sempre insistito su l’utilizzo di due espressioni: “aggregazioni” al posto di “fusioni” e “nuova Lugano” al posto di “grande Lugano”. La mia idea era partire da quello che già c’era e immaginare una città basata su quattro porte di entrata: a est Gandria, a nord Cornaredo, a sud il Pian Scairolo e a ovest Breganzona. Abbiamo avviato i progetti per urbanizzare e dare un’identità a queste aree. Oggi, inoltre, uno dei problemi più gravi di Lugano è la mobilità con tutte le relative conseguenze in termini di inquinamento, posteggi, rumori. Rispetto alla pianificazione del traffico le aggregazioni comunali permettono di collocare le funzioni in un quadro strategico all’interno del quale distribuire le risorse del territorio definendo la mobilità, gli insediamenti, gli spazi residenziali. Per usare una metafora l’obbiettivo era aggiungere vagoni ma trainati da una potente locomotiva».
Ora che non è più alla guida della città, quale futuro vorrebbe intravedere per Lugano?
«Vorrei che fossero portarti avanti i progetti di sviluppo, oltre a quelli già conosciuti (Polo sportivo il cui progetto è stato consegnato dopo concorso pubblico nel 2012 e quello congressuale), Cornaredo e Pian Scairolo, ma attraverso una gestione politica molto meno burocratizzata. Al di là dei pur necessari strumenti pianificatori, a Lugano serve una visione e soprattutto una politica in grado di metterla in pratica. Il ruolo del Sindaco (e poi del Municipio) deve essere quello di dettare il ritmo, i tempi di realizzazione dei progetti approvati. Bisogna riprendere la strada già intrapresa in passato per sviluppare una Lugano più dinamica, vivibile, sostenibile e anche più internazionale».
Il mio ricordo di Geo
«Nel corso degli anni ho incontrato più volte Geo Mantegazza e in alcune circostanze abbiamo anche avuto modo di lavorare fianco a fianco per la soluzione di specifici problemi. Devo riconoscergli che in ogni circostanza il suo carattere riservato lo portava prima di tutto ad ascoltare le argomentazioni dei suoi interlocutori per poi intervenire in modo deciso per quanto riguardava i contenuti del suo pensiero, ma mantenendo una forma che evitava il contrasto o la polemica inutile, senza mai entrare in quella mischia che spesso agita il nostro rissoso cantone. Questa misura nel trattare gli affari importanti come le cose più comuni, derivante anche dalla sua specifica posizione economica e sociale, gli consentiva sempre di guardare le situazioni quasi da una “quota” diversa, mantenendo una lucidità di analisi indispensabile per portare avanti un confronto costruttivo. Si potrebbe quasi parlare di un modo unico e molto personale di restare lontano pur essendo sempre vicino.
Un ulteriore ambito di conoscenza è stata una comune adesione al Partito Liberale Radicale, per conto del quale ha ricoperto per anni a Lugano il ruolo di Consigliere comunale. Nel corso delle sedute del Consiglio, alle quale partecipava regolarmente quando non era lontano dalla città per ragioni di lavoro, ho avuto modo di condividere le sue idee di autentico “liberal-conservatore”, intendendo che sul piano economico aderiva pienamente all’’economia di mercato con tutte le sue conseguenze e sul piano dei valori poteva essere definito un conservatore che si batteva senza compromessi per il rispetto e il mantenimento dei principi fondanti della nostra società.
C’è poi un altro episodio che testimonia la sua sensibilità nei confronti della cultura e il genuino attaccamento alla città di Lugano. Alla fine degli anni ’90 il Municipio rilevò le «Primavera concertistica», prestigiosa manifestazione di musica sinfonica di cui fu direttore artistico anche il Maestro Bruno Amaducci, ma la gestione incontrò ben presto grandi difficoltà di carattere finanziario. Decidemmo dunque di creare una fondazione pubblica, ma aperta ai privati, che nel 2001 diede vita ad una rassegna musicale molto più ampia e articolata, che già dal nome, «Lugano Festival», rimandava ad affermate realtà internazionali. Ebbene, tra i sostenitori del progetto ebbe un ruolo di primo piano Geo Mantegazza, che continuò poi ad assicurare il suo sostegno per gli anni successivi.
Sempre nel campo della responsabilità sociale della famiglia Mantegazza, altre occasioni di incontro con i due fratelli sono venute dall’invito, che accolsi con grande piacere, di entrare nella Fondazione Metis che, come è noto, persegue scopi di pubblica utilità prevalentemente in Ticino, con opere, sussidi e attività nei settori della cultura, della ricerca medica, della formazione scolastica e professionale di giovani capaci, delle attività sportive giovanili e della beneficenza.