Dal suo osservatorio privilegiato può aiutarci a fare il punto sulle trasformazioni determinatesi nella gestione patrimoniale in seguito alla pandemia?
«A seguito della pandemia tutti, gestori patrimoniali esterni compresi, hanno dovuto adattarsi a un nuovo modo di lavorare: le conferenze telefoniche o via Zoom e l’home office, con simpatiche scenette famigliari annesse, sono diventati il pane quotidiano. Grazie alla tecnologia siamo riusciti a restare vicini, almeno virtualmente, ai nostri clienti anche in questo periodo ricco di sfide. Soprattutto durante il lock-down, abbiamo nuovamente avuto la conferma del fatto che il nostro mestiere continua a basarsi sul contatto personale che ci dà quella marcia in più. La tecnologia continua a evolversi e la digitalizzazione dà un importante contributo, rendendo le procedure più snelle e l’esecuzione immediata. Ma alla fine, il nostro lavoro resterà basato sulle relazioni personali perché solo parlando con il cliente riusciamo a individuare le sue effettive esigenze».
L’interesse per la finanza l’ha sempre accompagnata nel corso della vita. Quali sono stati i principali passaggi che hanno determinato la sua formazione?
«In realtà non sono sempre stata appassionata di finanza: ho studiato giurisprudenza ed economia politica con l’obiettivo di lavorare per la Croce Rossa Internazionale. In banca sono finita quasi per caso. Durante una giornata per le carriere organizzata dall’università ho avuto modo di apprezzare i molteplici percorsi di formazione e carriera che una grande banca può offrire. Sono ormai trascorsi 14 anni da quella scelta, di cui – ieri come oggi – sono assolutamente convinta».
In Svizzera e in Ticino, ma forse ovunque nel pianeta, il mondo della finanza è sempre stato appannaggio degli uomini. Che difficoltà ha dovuto affrontare per raggiungere i ruoli di responsabilità occupati nel corso della sua carriera professionale?
«Credo che oggi abbiamo superato questo tipo di approccio. In Credit Suisse vi sono chiare politiche di pari opportunità, vissute e rispecchiate anche nei valori della banca, e di conseguenza scegliamo la persona più qualificata per un determinato ruolo, indipendentemente da genere, provenienza, nazionalità o altro. E devo dire che anche in passato ho sempre potuto contare su superiori che sostenevano e aiutavano i propri collaboratori a emergere. Certi luoghi comuni, del tipo che una donna una volta diventata mamma riduce automaticamente il suo impegno lavorativo, non sono più attuali. Se in passato queste esternazioni a volte mi hanno disturbata, alla fine mi hanno semplicemente spronata a fare meglio e a dare ancora di più».
Si può parlare di un approccio tipicamente femminile alla finanza e quali specifiche competenze ritiene di essere riuscita ad apportare nel suo ambito di lavoro?
«Non credo ci sia un approccio tipicamente femminile o maschile: credo piuttosto che l’approccio odierno alla finanza debba essere pragmatico e teso a diminuire per quanto possibile la complessità che ci circonda. La competenza tecnica è la base indispensabile per chiunque operi in quest’ambito. Poi vi sono le cosiddette soft skills che diventano sempre più importanti; per esempio, sapersi relazionare con i clienti e i collaboratori, capacità comunicative, flessibilità, problem solving e leadership. È finita l’era dei lupi solitari e oggi è più che mai importante sapere collaborare anche oltre il proprio settore di competenza».
Al di là dei numeri che solitamente contraddistinguono l’immagine di chi si occupa di finanza, quali sono i suoi interessi e le sue passioni fuori del lavoro?
«I miei figli innanzitutto, con cui passo tutto il tempo a mia disposizione. Inoltre, apprezzo molto le passeggiate in montagna, lo sci e la lettura, tutte passioni che, ovviamente, condivido con i miei bambini».