Stefania Padoan, spesso gli imprenditori stranieri che scelgono la Svizzera italiana per insediare la propria attività tendono a essere un po’ «distanti» dalla realtà sociale della regione. Lei invece è più «radicata» nel territorio: questione di carattere o volontà precisa?
«Credo sia un insieme di cose. Innanzitutto, provengo da una regione (il Veneto, ndr) che, per il suo trascorso migratorio e carattere imprenditoriale è aperta alle nuove sfide. In secondo luogo, ho avuto la fortuna di poter girare il mondo per lavoro e quindi mi sono abituata a confrontarmi con realtà e persone di varia estrazione. Mi sono dunque calata in questi modi diversi di vivere i propri territori. Ed è ciò che ho fatto anche quando sono venuta in Svizzera (nel 2013, ndr): inizialmente il motivo era per insediare un’unità produttiva della mia azienda, in seguito ho deciso pure di abitarci perché credo fortemente che per fare impresa bene bisogna radicarsi nel territorio in cui operi, altrimenti è un po’ come fare le cose a metà. Mi ricordo di alcune persone incontrate all’inizio del mio percorso che mi dicevano “dimenticati di tornare a casa (a Treviso, ndr) ogni settimana”. Grazie a queste persone, ma anche un po’ al mio carattere, sono stata accolta in questa regione e ciò mi ha aiutato anche a viverla più intensamente».
Quanto tempo dedica alle attività «extra lavorative», per esempio nelle associazioni?
«Non ho una misura precisa, ma posso dire che come membra di comitato in associazioni quali AITI e AIF in Ticino, ma anche Confindustria Veneto est e come componente della Commissione pari opportunità della Provincia di Treviso, dedico alcune mezze giornate per le riunioni, a cui però si aggiunge la partecipazione alle attività pubbliche. Ma gli impegni extra-lavorativi fanno parte delle mie passioni, cioè lo stare con le persone per ascoltare le loro esperienze e condividere le mie. Anche questo fa parte del fare impresa, comunque».
Le relazioni via social sono facili ma forse proprio per questo hanno meno valore. È d’accordo con questa affermazione?
«Uso poco i social, credo piuttosto nei contatti personali, il vedersi in carne e ossa perché credo che così si è molto più efficaci nella comunicazione. I social media un po’ come l’olio che resta sopra l’acqua: sono superficiali. A mio parere, per fare bene qualcosa bisogna sedersi attorno a un tavolo, vedersi, parlarsi e condividere le idee. I social media e le tecnologie digitali in generale, tra cui l’intelligenza artificiale, sono comunque importanti per il futuro perché consentono anche più rapidità, efficienza e produttività. Tuttavia, l’interazione personale, fisica, rimane fondamentale per la comunicazione».
Quanto è importante, secondo lei, vedersi «a quattr’occhi», negli affari come in società?
«Quando entrai nell’azienda di famiglia mi insegnarono a fare affari con i clienti semplicemente con una stretta di mano. È vero che i tempi sono cambiati ma l’importanza del rapporto fisico per me rimane lo stesso del passato e ancor più nel presente. Lo stesso vale anche per i rapporti non di lavoro».