Lei ha assunto la direzione generale dell’azienda in un momento tremendo per l’economia globale? Come ha affrontato le difficoltà?

«In effetti, in particolare quelli a partire dal 2012, sono stati anni veramente complessi: Polti ha avuto necessità di una complessa riorganizzazione, che ci ha portato a fare scelte importanti, soprattutto perché avevamo un obbiettivo audace: uscire dalla crisi senza licenziare nessuno. Questo però ci ha dato anche un sicuro vantaggio nel rapporto con i dipendenti che, rasserenati da questa nostra convinzione, hanno voluto lottare insieme a noi, sono stati disponibili al cambiamento e alla formazione. Oggi posso dire che gli anni più bui sono passati e che l’azienda ha un’immagine sana, produttiva, e che può permettersi di puntare su nuovi prodotti di alta qualità, di eccellenza italiana».

Che cosa è cambiato dalla direzione di suo padre, uomo del sud classe ’44, alla sua, giovane donna brianzola?

«È il modo di fare impresa a essere cambiato, in generale. Oggi il mondo gira più velocemente, le decisioni vanno prese in tempi rapidi e il margine di errore nell’investimento è ridotto a zero. Un tempo si poteva rischiare di più, erano gli anni del bum economico, oggi ogni decisione deve essere ponderata con estrema attenzione. E poi è cambiato anche il modo di rapportarsi alle persone in azienda: mio padre ha sempre ascoltato tutti, ma la decisione era sua, un modello di lavoro indispensabile in quegli anni. Oggi però io sono convinta che l’approccio che paga di più sia il coinvolgimento di tutti i livelli decisionali quando ci si approccia a un cambiamento: consultare i vari settori dell’azienda ci garantisce un’attenzione all’investimento a 360° e in più, essendo tutte le scelte proposte e non imposte, l’idea viene più facilmente condivisa, diventa figlia di tutti coloro che hanno partecipato al processo e questo ne decreta un migliore sviluppo».

La sua dirigenza è caratterizzata dallo sguardo deciso verso i mercati esteri. Le scelte fatte fuori dall’Italia hanno fortemente influito sul successo di questi anni…

«Abbiamo deciso di non accanirci e di chiudere alcuni mercati che erano in perdita, come il Messico, dove la lentezza burocratica rendeva il lavoro poco competitivo. Invece abbiamo aperto negli States e in Canada, e ora ci affacciamo sul mercato asiatico – Corea, Hong Kong, Cina – e in Nord Africa, in questi paesi che ci possono permettere di lavorare bene e dove il made in Italy ha un fortissimo appeal. Qui stiamo investendo ma, dato il momento storico-economico, dobbiamo comunque tirare un po’ le briglie, investire in modo oculato. Siamo sempre alla ricerca di nuovi fondi e opportunità».


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