Arrivo con un po’ di anticipo a Mariano Comense, in Provincia di Como. Non ho difficoltà a trovare l’azienda di Luigi Rugiano, uno stabile imponente, moderno, con grandi vetrate e circondato dal verde. Mi accomodo nel suo ufficio, affascinata da ogni singolo oggetto presente. Luigi Rugiano mi offre un caffè, anzi è lui stesso a farmelo. Accanto all’espresso rigorosamente corto delle noccioline, come dirgli di no… e iniziamo e chiacchierare piacevolmente.

«Sa la cosa che mi preme maggiormente? Far capire alle persone che l’artigianalità è un’arte che si tramanda di padre in figlio, non c’è nessuna scuola che possa insegnartela, è un tesoro prezioso. Noi facciamo puro artigianato, ogni pezzo nasconde, nella fase di progettazione, un’attenta ricerca. Naturalmente non tutte le famiglie hanno al loro interno qualcuno di interessato a seguire e dare continuità all’attività di famiglia».

Ma lei ha suo figlio Alberto che già lavora in azienda…

«Mi sento molto fortunato, anche perché lui non solo lavora con me, ma è anche designer. Da sempre ha avuto la passione per il disegno, la creazione, tanto che inizialmente desiderava fare architettura e per un periodo ha frequentato l’Accademia di Mendrisio per poi concludere gli studi all’Istituto Europeo di Design a Milano».

Immagino viaggiate molto, siate sempre impegnati, anche perché Rugiano è un’azienda internazionale molto rinomata…

«Certo! Ed è legata anche a Lugano (soddisfatto), infatti mio figlio Alberto oltre a vivere lì, ha anche un’azienda in Ticino, Aerre Design Projects, che si occupa di sviluppo e progettazione soprattutto nel settore alberghiero, ma anche di residenze di lusso: e infatti stiamo ultimando un nuovo showroom in via Trevano. Parliamo di 700 m2, una location molto bella che diventerà il nostro quartier generale svizzero, punto di riferimento per i clienti d‘oltre San Gottardo».

Non mi fraintenda… ma avete qui una sede meravigliosa, perché aprire anche uno show room a Lugano?

«Non è una domanda scontata, perché effettivamente la scelta di avere uno show room in Svizzera è stata pensata. Negli anni abbiamo notato che il cliente arrivato a Lugano si siede, non ha più voglia di spostarsi… e quindi abbiamo deciso di andare noi da lui (sorride). Inoltre, a Lugano dedicheremo molta attenzione ai mobili di design per il settore alberghiero, sì perché il futuro sarà molto concentrato sull’estetica, il bello, il sentirsi bene in un ambiente e quindi anche gli alberghi storici, come chi non ha mai sentito l’esigenza di cambiare, dovranno effettuare nuovi investimenti per restare al passo con il mercato. I clienti, ormai lo sappiamo, sono sempre più esigenti e disposti a pagare, ma per il bello… altrimenti cambiano destinazione, senza pensarci troppo».

Oltre allo show room, dobbiamo dirlo, suo figlio Alberto da anni abitata a Lugano, come mai questa scelta?

«La scelta dettata inizialmente da un percorso di studi, è stata poi nel tempo una scelta di vita, definitiva. La tranquillità, la sicurezza e la stabilità del paese l’hanno fatto letteralmente innamorare del territorio a tal punto da rimanerci a vivere! Questa sua scelta, unita alla bellezza e naturalità del territorio svizzero ha poi trascinato l’intera famiglia a spostarsi in Ticino».

Lei ha origini calabresi, è arrivato a Milano da ragazzino e ha creato dal niente un impero, le manca la sua terra?

«La Calabria, il suo mare, i suoi sapori saranno sempre vivi nel mio cuore.
Sono nato in un paesino e i miei genitori erano nel settore agricolo. Ora è rimasta solo mia mamma, ha novantasette anni, ma è ancora una donna fortissima, con un carattere deciso. Visto l’età, l’abbiamo da poco trasferita in Brianza, vicino a noi, per potercela godere al massimo negli ultimi anni della sua vita. Ma torniamo a me… sono arrivato a Milano a dodici anni, per studiare, perché avevamo dei parenti in città e a quei tempi era una grande opportunità, non avrei potuto dire di no. Quando ho visto Milano ero stupito, non capivo cosa ci trovasse la gente in quella che già descrivevano come una grande città; però alla fine tanto male non era visto che sono rimasto qui (ridiamo). Ho iniziato a lavorare nel settore dei mobili casualmente, e il mio successo è iniziato con i letti in ottone, poi sono passato al metallo fino ad arrivare al legno: a questo punto ho creato il brand che in molti conoscono nel mondo».

Raccontata così la fa quasi facile…

«Effettivamente. Comunque è vero, ho creato tutto questo dal niente, ma anche quando non avevo nulla guardavo oltreoceano, pensavo a delle creazioni che potessero andare lontano, piacere a una clientela internazionale, non solo italiana. Oggi Rugiano è un brand rivolto al mondo e che viene guardato dal mondo, sinonimo di internazionalità, offrendo un prodotto unico e senza tempo».

Una domanda banale, ma d’obbligo, sempre che sia una risposta: la chiave di questo successo?

«Ho sempre anticipato i tempi, non so se per fortuna, talento, casualità… in ogni caso ho iniziato con i letti in ottone in un momento in cui l’ottone portava un guadagno importante, poi sono passato al metallo prima che il mercato crollasse. Anche il metallo ha poi avuto una scissione e prima che succedesse ho avuto la lungimiranza di cambiare nuovamente direzione, probabilmente quella più vicina alla Rugiano di oggi, ho acquisito un’azienda con all’interno il “know how” della pelletteria, lavorazione di cuoio, pelle, legno; uniti alle nostre capacità di lavorazione del metallo, ottone, sono andato anno dopo anno a costruire sempre di più una collezione completa, con un’identità precisa e riconoscibile nel mondo, quell’identità che ad oggi ci permette di essere definiti un brand».

Ma oggi come fa? I tempi si sono accorciati e la concorrenza è agguerrita

«Diciamo che ancora oggi siamo all’avanguardia. Stiamo molto attenti a come si muove il mercato. Naturalmente le cose sono completamente cambiate, perché ora abbiamo una collezione completa; il total look (il poter arredare in modo completo un’intera proprietà) è una richiesta di mercato, non possiamo far finta di non vedere: le aziende piccole spariranno, non voglio apparire cinico, ma è così».

Immagino che da imprenditore si debba imparare a guardare il mondo anche con una certa freddezza, ma come fa a gestire tutto? Riesce a delegare oppure ha bisogno avere tutto sotto controllo?

«Diciamo che in questo tipo di azienda sono obbligato a delegare, ma non è sempre facile, perché è una realtà complessa. Il design, il savoir faire, l’attenzione al dettaglio sono fondamentali. Un’attività come la mia non la fai solo per il piacere economico, quello al massimo viene dopo, la fai perché è la tua vita, la tua passione, quello che ti fa alzare la mattina motivato e felice. Quando realizzo un pezzo cerco la bellezza assoluta, passo ore e ore qui in azienda e non mi pesa. Abbiamo creato una realtà dove la passione si respira, dove i collaboratori hanno spazi loro; ho voluto un orto, una cucina esterna, del verde, perché alla fine questa è come casa nostra, è dove passiamo la maggior parte del tempo».

Ma questo senso dell’estetica, pensa che sia innato o lo si acquisisce?

«Secondo me, per quanto mi riguarda, in parte è innato. Ho un’attenzione al dettaglio quasi ossessiva. Mi capita, anche per caso alle volte, di camminare per gli showroom e quasi cercare un dettaglio fuori posto! La perfezione assoluta non esiste, ma faccio del mio meglio per andarci il più vicino possibile» (ride).

Quindi era già da bambino così puntiglioso?

«Non penso, comunque ero ordinato anche perché sono cresciuto velocemente, ho dovuto arrangiarmi da solo, imparare a cucinare, lavare, fare tutto. E questo insegnamento l’ho voluto tramandare anche a mio figlio, oggi ventottenne, ma a livello professionale già quarantenne».

Alberto è cresciuto professionalmente in azienda da lei, anche se spesso i genitori mandano i ragazzi a farsi le ossa da terzi…

«Inizialmente ci ho pensato anch’io, ho riflettuto, mi sono confrontato con amici e colleghi, poi mi sono detto: “Ho fatto tutto da solo, nessuna esperienza esterna e così farà mio figlio”. Oggi sono felice della mia decisione e sono orgoglioso di come sia cresciuto a livello professionale Alberto».

E sua moglie?

«Lei non si occupa dell’azienda, è stata una decisione che abbiamo preso assieme».

Scusi se mi permetto, ma chi ha arredato casa vostra?

«Un po’ insieme (silenzio)… a dire la verità mia moglie ha lasciato fare a me perché non voleva togliermi questo tipo di soddisfazione, mi conosce da quarant’anni, sa che quanto mi piace arredare!»

Posso dirle una cosa? Avrei un po’ di soggezione ad invitarla a casa mia, anche perché con il suo occhio critico vedrebbe mille difetti…

(Ride). «Guardi, non si preoccupi, ci sono abituato perché la mia è una deformazione professionale, non posso fare a meno di entrare con un occhio critico, guardare come sono stati abbinati i mobili, vedere quali oggetti e dipinti sono stati scelti. Sono stato in moltissime case, anche di persone facoltose, ma poche volte ho visto il bello… questo anche in case che ho arredato completamente io e dove, per una ragione o per l’altra, sono stati aggiunti oggetti vari che poco c’entravano con quello che io avevo pensato. Ormai sono così, sono un pignolo, non penso di cambiare più».

Domanda bomba… ma in Ticino per quanto riguarda il buon gusto come siamo messi?

«Per quanto mi riguarda, c’è molto spazio! C’è forse un po’ meno cultura in ambito di design e dettagli, ma d’altra parte l’Italia in questo è imbattibile! Nonostante ciò, ho notato che negli ultimi anni anche il Ticino e la svizzera in generale stanno approcciando sempre di più questo mondo e sono onorato di esserne parte».

Quindi il design è un investimento sicuro…

«Oggi si sceglie un ristorante, un albergo, per l’atmosfera che si respira, si sente, per l’energia emanata, poi naturalmente per la cucina, ma alla fine mangi bene anche a casa tua. Quindi sì, oggi come oggi, il design è una scelta sicura e sta arrivando ovunque: case, alberghi, ristoranti, ma anche barche e aziende».

Mi dica, come nasce un pezzo di design?

«Per quanto mi riguarda penso a un oggetto senza tempo, qualcosa che si possa tramandare, che non perda valore. Anche la scelta dei materiali è importante, è la qualità della materia prima a resistere nei decenni.  Utilizzo la stessa filosofia quando devo arredare una casa intera, propongo un total look senza tempo, che non stanchi, anzi che prenda valore nel tempo. La sfida maggiore nel design è combattere il tempo, se si riesce a dar vita ad un design che vada oltre al passare del tempo senza mai invecchiare, allora si ha secondo me la massima espressione di questo termine».

Quando le vengono le idee?  

«L’ispirazione è un momento, arriva guardando gli occhi di una persona, un dettaglio, è una sorta di illuminazione, chiaramente la mia esperienza professionale insieme al viaggiare spesso in giro per il mondo mi apre molto la mente e mi aiuta in questo impegno creativo».

Lei è una persona lungimirante e sicuramente in parte vive già nel futuro, non teme una crisi del design?

«Non penso che ci sarà una battuta d’arresto, ma la tendenza sarà quella di andare sempre più verso una direzione ben definita. Ci sarà la fascia d’alta gamma e quella più economica, tendenzialmente le vie di mezzo spariranno. Per quanto riguarda le linee si continuerà a rivisitare il passato, siamo partiti dagli anni ’20 e oggi siamo negli anni ’70, con forme rotonde, tessuti stropicciati… sono i materiali a cambiare, pellami stampati, ricercati, morbidi al tatto».

Abbiamo parlato di design, tutti conoscono questo termine inglese, ma alla fine cosa significa realmente?

«Il design sta nelle forme, nelle idee nuove, oggi purtroppo il termine è abusato, potrei dire che il design è tutto quello che non è ancora stato fatto, che richiede artigiani esperti e si allontana dalle produzioni industriali».

Torniamo per terminare all’artigianato, abbiamo iniziato dicendo che la vostra è una produzione d’alto artigianato e oggi i bravi artigiani sono difficili da trovare…

«Questo è un problema vero, noi vendiamo, ma trovare chi lavora bene le materie prime, chi fa tappezzerie, tappeti, lavora la pelle… sta diventando complicato e le macchine non potranno mai sostituire le esperienze e l’amore dell’artigiano. Il mio appello ai giovani è questo: se avete amore per la manualità, per i mobili, non perdete l’occasione di imparare dai pochi veri artigiani italiani rimasti».

Terminata la chiacchierata ho la fortuna di poter visitare gli spazi espositivi, la sala riservata ai pranzi, il cortile a cielo aperto con un orto incredibile, una cucina con griglia e un’atmosfera da sogno. Il tutto nato dalla determinazione di un ragazzino, arrivato dalla Calabria e al quale Milano inizialmente non era neanche tanto piaciuta.