Il 24 dicembre scorso, papa Francesco ha aperto la Porta Santa della Basilica di San Pietro, dando il via al Giubileo 2025, che durerà fino all’Epifania 2026. Un evento di portata mondiale, con oltre 35 milioni di persone previste da tutto il mondo, pronte a emulare generazioni di pellegrini che prima di loro si sono recate nella Città Eterna per chiedere l’indulgenza, proprio in occasione dei Giubilei. Un evento culturale che riguarda non solo i credenti, perché ha attraversato i secoli, assumendo nel tempo una valenza storica e simbolica universale.

Nel 1294, Celestino V decise di riprendere la tradizione biblica del perdono e della remissione dei debiti trasformandola in un anno del perdono concesso proprio a seguito di un pellegrinaggio. Su queste basi, nel 1300, Bonifacio VIII istituì il primo Giubileo e concesse l’indulgenza plenaria a chi avesse, nel corso dell’anno, visitato le basiliche di San Pietro e di San Paolo fuori le mura. Il flusso dei pellegrini assunse dimensioni così rilevanti, sia dal punto di vista economico che politico-religioso, da far intensificare successivamente la cadenza degli anni giubilari a dispetto della cadenza secolare inizialmente prevista: da cinquant’anni si passò a trentatré, per poi arrivare ai venticinque anni stabiliti da Paolo II nel 1470.

Il turismo religioso può essere così visto come la prima forma di turismo conosciuta nel corso della storia. E il legame tra turismo religioso ed enogastronomia ha radici storiche profonde. La spiritualità del pellegrinaggio, basata sulla visita ai luoghi di culto e sulla partecipazione a tradizioni secolari, si integra con l’esperienza enogastronomica, che diventa veicolo di narrazione del territorio attraverso i suoi prodotti tipici ed eventi come feste religiose. Di conseguenza, sebbene Roma sia naturalmente il polo di attrazione, la ricaduta è importante per tutta quella rete di borghi che sono collegati alla pratica e all’esperienza religiosa.

Anche oggi sono tanti i luoghi che legano la spiritualità al gusto, tra monasteri e conventi, itinerari di pellegrinaggio e celebrazioni religiose. Il Cammino di Santiago, ad esempio, dal 2022 ha rafforzato il legame con la gastronomia dei territori attraversati dai pellegrini, introducendo il Passaporto Gastronomico, uno strumento che invita coloro che affrontano il Cammino a scoprire e apprezzare le specialità culinarie delle sue tappe.

Il Giubileo, oltre a rappresentare un importante evento religioso mondiale, è anche un’occasione per riflettere sul significato del cammino e sull’esperienza del pellegrinaggio. La parola pellegrinaggio deriva dal latino per ager che significa “attraverso i campi”, oppure per eger, che significa “passaggio di frontiera”: entrambe le radici rammentano l’aspetto distintivo dell’intraprendere un viaggio.

Il viaggio del pellegrino, che in linea teorica andava fatto a piedi, non era facile. Prima di mettersi in cammino il pellegrino si riconciliava con tutti, faceva testamento e pagava i propri debiti. Escludendo i rischi derivanti da una società tendenzialmente violenta come quella medievale, dove non era raro incontrare lungo il cammino briganti, le maggiori insidie derivavano soprattutto dalla fatica delle lunghe marce e dalla fame.

Fin dall’alto medioevo, la Via Francigena ha rappresentato l’itinerario seguito dai pellegrini dell’Europa del centro-nord, per raggiungere Roma, sede del Papato e cuore della Cristianità. Un itinerario percorso dall’Arcivescovo Sigerico nell’anno 990 per ritornare a Canterbury da Roma dopo l’investitura del Pallio Arcivescovile da parte del Papa Giovanni XV e descritto in un diario con tutte le tappe che lo riportarono in Gran Bretagna attraverso l’Europa.

L’appellativo “Francigena” non indicava solo un tracciato ad esclusivo uso dei pellegrini, ma una via percorsa da mercanti, eserciti, uomini politici e di cultura, creando così un canale primario di comunicazione e di scambio.

Lungo questo percorso che attraversa la Francia, valica le Alpi in Svizzera, dal Passo del Gran San Bernardo entra in Italia e da lì attraversa la penisola fino a Roma, per poi proseguire verso Sud, esistevano numerose tappe per il ristoro dello Spirito e del corpo. Attraverso l’Italia, durante il Medioevo, passavano le maggiori vie di comunicazione del Mediterraneo e fino alla caduta nel XIV secolo di San Giovanni d’Acri, ultimo baluardo crociato in Oriente, il punto di arrivo della via Francigena erano Brindisi e le coste pugliesi per imbarcarsi per Gerusalemme. Alla fine di questo secolo, Gerusalemme fu definitivamente sostituita da Roma come meta principale di pellegrinaggio, e chi si impegnava ad andarci, prendeva il nome di “Pellegrino Romeo”. Un percorso ricco di storia che anche oggi può essere un punto di riferimento per il turismo culturale e religioso, valorizzando le comunità locali attraverso un modello di turismo lento e sostenibile con l’offerta turistica legata al patrimonio artistico, all’enogastronomia e alle tradizioni locali.

Il cibo dei pellegrini lungo il cammino doveva essere facilmente conservabile e strettamente legato alla stagionalità. Quando si fermavano per rifocillarsi chiedevano ospitalità o alloggiavano presso locande, nelle quali si sfamavano in base alle disponibilità economiche. La tipica alimentazione del pellegrino era a base di zuppe come la paniccia a base di cereali e legumi, il macco, una vellutata fatta con legumi secchi, ma anche salumi e formaggi. L’alimento più consumato era il pane, soprattutto la sua variante nera, fatto con grano tenero, segale, orzo, crusca di frumento, farina di fave e di castagne. I viaggiatori più abbienti, erano a cavallo, con qualche carro al seguito, ma anche i pellegrini a piedi, si organizzavano a gruppi, con un carro trainato da un mulo dove tenevano le cose più necessarie. Provvidenziale il soccorso che veniva offerto dai conventi, dove veniva offerto anche un pasto caldo, costituito per lo più da brodi di carne salata e verdure, condite in vario modo. Ognuno mangiava quello che poteva permettersi economicamente anche durante il cammino: il contadino lungo il viaggio si nutriva anche di erbe spontanee e tuberi. Le osterie e le taverne erano prevalentemente frequentate da viaggiatori benestanti, che potevano farsi anche servire pietanze a base di carne. I pellegrini religiosi si limitavano a pasti poveri e frugali, solitamente privi di carne, consumati in comunità lungo il cammino.

Quest’anno i pellegrini che raggiungeranno Roma a piedi saranno pochi, ma attraverso il cibo locale e i riti legati ad esso, potranno comprendere lo spirito e la cultura che pervadono il cammino della Via Francigena. Perché il cibo non si identifica con il solo bisogno fisiologico di sostentarsi, ma come anche espressione culturale dei vari luoghi e paesi lungo il percorso, simbolo di ospitalità e condivisione umana.