Chirurgo e accademico tra i più autorevoli, il Professor Pietro Majno-Hurst è stato tra i promotori, a inizio ottobre, dell’iniziativa popolare che chiede alla Confederazione Svizzera di riconoscere lo Stato di Palestina. Lo abbiamo incontrato e raccolto la sua testimonianza in occasione del suo intervento alla 12ª edizione del Film Festival Diritti Umani di Lugano.
Cosa motiva un professionista a impegnarsi civilmente per la tragedia umanitaria in corso a Gaza?
«Ripenso a quanto poco pesi tutto il lavoro svolto nella mia vita rispetto allo sforzo che sarà necessario per ricostruire quella società. Ignorare le nostre responsabilità sarebbe la una grande sconfitta come essere umano ma anche come figlio di un rifugiato ebreo accolto in Ticino durante l’ultima guerra. Continuerei a vivere nel rimorso di non aver fatto la mia parte.»
Qual è la sua valutazione dell’attuale situazione umanitaria nella Striscia di Gaza?
«Ha raggiunto livelli difficilmente immaginabili per chi vive in Occidente. La popolazione soffre carestie, privazioni, umiliazioni e dolori indescrivibili, tutto per cause evitabili. Le radici di questa tragedia affondano nelle decisioni prese dalle potenze occidentali al termine della Seconda guerra mondiale.
Storicamente, la Palestina era un’area sotto controllo ottomano e poi britannico, abitata da comunità ebraiche e arabo-palestinesi. Decisioni socio-politiche in seguito portarono, nel 1947, alla frammentazione di questo territorio e alla nascita dello Stato di Israele. Tuttavia, ciò ha lasciato in sospeso il destino del popolo palestinese, generando una questione irrisolta che oggi si è aggravata, con una parte di Israele attiva nel colonialismo di insediamento, una pratica illegale. A ciò si aggiunge il conflitto tra Israele e Hamas, considerato un movimento di resistenza nei Paesi arabo-musulmani, ma con pratiche da organizzazione terroristica. In tutto questo noi occidentali — osserva Majno — abbiamo lasciato a Israele, nei fatti, un’incondizionata libertà di azione, e ci siamo sottratti a una riflessione critica sulle nostre responsabilità. In base al diritto umanitario internazionale, tutti gli Stati dovrebbero condividere doveri politici e morali che oggi spesso non assumono. Netanyahu, “osserva il Professor Pietro Majno-Hurst, ”ricordo che si è recato negli USA on palese disprezzo della sentenza della Corte penale internazionale.»
In che modo la Svizzera potrebbe o dovrebbe intervenire per alleviare la tragedia umanitaria di Gaza? Secondo lei, l’attuale risposta politica e diplomatica è sufficiente?
«La considero largamente insufficiente e sono critico verso quella che mi pare un’inconsistenza morale ed intellettuale del nostro governo. Ogni amministrazione dovrebbe trasmettere alla società la certezza che le istituzioni si impegnano — con tutti i mezzi disponibili — per verificare e comunicare con trasparenza l’effettivo stato delle cose, e per far rispettare il Diritto internazionale umanitario, compiti ai quali è mancato il Capo del nostro Dfae.»
Veniamo all’iniziativa popolare di cui lei è co-promotore a Berna, per il riconoscimento dello Stato di Palestina. Qual è il significato politico e morale di questo progetto?
«La mia posizione è da interpretare nel quadro della neutralità svizzera nella gestione del conflitto israelo-palestinese. Ritengo che un riconoscimento ufficiale della Palestina sarebbe utile non solo per equilibrare la posizione, ma anche per l’ immagine del nostro Paese. Oggi lo Stato di Palestina è riconosciuto da 157 dei 193 membri delle Nazioni Unite, ovvero da quasi l’80% della comunità internazionale. Il riconoscimento renderebbe piu’ equilibrato il nostro dialogo fra le parti coinvolte, e faciliterebbe i compiti di quello che vedo come un dovere di giustizia riparativa verso il popolo palestinese.»
Qual è il ruolo delle ONG nelle crisi umanitarie come quella di Gaza?
«Organizzazioni come Médecins Sans Frontières, la Croce Rossa e le agenzie delle Nazioni Unite continuano a dimostrare grande coraggio, dedizione e professionalità. Tuttavia, non sta a loro fare tutto mentre i nostri governi non fanno abbastanza: oggi viviamo in una situazione di crisi morale della leadership: una sorta di “sonno della ragione” che relativizza non solo la verità dei fatti, ma anche le responsabilità e il rispetto dello Stato di diritto, specie quello umanitario. Il compito dei nostri leaders dovrebbe essere di recuperare un minimo comune denominatore etico su cui ricostruire la fiducia collettiva. Questo è il presupposto per un futuro fondato su valori condivisi e su una responsabilità comune tra le ideologie progressiste e quelle conservatrici, categorie d’altronde in parte superate. Solo su queste basi è poi possibile discutere i modelli di società che vogliamo, modelli dove le differenze di vedute sono legittime.»
Per la foto in copertina: credit Studiopagi.ch per FFDUL2025;
per la foto del Dottor Majno: credit Michael Starobinski