La storia dell’arte (e dei suoi autoritratti) in Ticino, tra la metà dell’Ottocento e la fine della Seconda guerra mondiale, si muove lungo una linea di confine tanto geografica quanto culturale. È questo il filo conduttore della presentazione delle collezioni del MASI di Lugano, che propone una lettura ampia e articolata di un secolo cruciale, segnato da passaggi di linguaggio, contaminazioni internazionali e da una costante riflessione sull’identità. Un racconto che prende forma attraverso dipinti, prestiti mirati e nuclei significativi, restituendo la complessità di un territorio sospeso tra matrice italiana e appartenenza alla Confederazione svizzera.
Dal 1848, anno fondativo dello Stato federale, fino al secondo dopoguerra, l’arte prodotta e collezionata in Ticino riflette una tensione permanente tra tradizione e apertura. Accanto agli artisti locali, il Cantone diventa luogo di soggiorno e, in molti casi, di elezione per pittori, collezionisti e intellettuali provenienti dalla Svizzera tedesca e da altri Paesi d’Oltralpe. Ne nasce un confronto serrato tra l’eredità figurativa italiana e le spinte innovative delle correnti nordiche, spesso divergenti ma destinate, nel tempo, a intrecciarsi.
Il percorso espositivo del MASI si articola in cinque sezioni cronologiche che accompagnano il visitatore attraverso i principali snodi stilistici. Dalle suggestioni del tardo Romanticismo e del Realismo, passando per Impressionismo e Post-Impressionismo, fino alle declinazioni del Simbolismo e dell’Espressionismo, la narrazione mette in evidenza come il paesaggio ticinese diventi progressivamente non solo soggetto, ma anche simbolo. È in questo contesto che emergono, accanto alle vedute, gli autoritratti: immagini in cui l’artista misura se stesso rispetto al territorio, alla modernità e al proprio tempo.
Il capitolo dedicato a “Paesaggio e storia” mostra come la nascente coscienza nazionale svizzera trovi un riflesso nella pittura, mentre “Il paesaggio come simbolo” rivela l’influenza del Simbolismo europeo. Con “Sentimento e atmosfera”, Post-Impressionismo e Divisionismo costruiscono una visione condivisa tra Nord e Sud delle Alpi. “Osservazione della vita quotidiana” introduce invece uno sguardo più diretto sulla realtà, dal Verismo alla Nuova oggettività e al Realismo magico, mentre “Sguardi moderni” testimonia l’impatto delle avanguardie, dal cubo-futurismo all’Espressionismo.
All’interno di questo quadro si colloca la figura di Paul Camenisch, artista zurighese e cofondatore del gruppo Rot-Blau. Architetto di formazione, Camenisch sviluppa un linguaggio pittorico riconoscibile per la vivacità cromatica e per la frammentazione dei punti di vista. Centrale nella collezione del MASI è il doppio dipinto del 1926, acquisito nel 2020, che presenta su un lato una veduta del Mendrisiotto e sull’altro un autoritratto con paesaggio, Der Mann in den Reben. La possibilità di esporre entrambe le facce della tela restituisce la duplicità dello sguardo dell’artista: da un lato l’osservazione del territorio, dall’altro l’autorappresentazione come parte integrante di quel paesaggio.
Gli autoritratti di Camenisch, così come quelli di altri artisti presenti in collezione, non sono esercizi intimisti, ma strumenti di indagine. L’artista si colloca nello spazio che dipinge, ne diventa misura e testimone. Non è un caso che opere come Der Mann in den Reben abbiano partecipato a contesti internazionali di primo piano, come l’Internationale Kunstausstellung di Dresda del 1926, evento chiave nella Repubblica di Weimar e crocevia dell’arte europea degli anni Venti.
Accanto alle esperienze più marcatamente moderne, il percorso del MASI valorizza figure fondamentali della scena ticinese, come Edoardo Berta. Con Funerale bianco, dipinto tra il 1900 e il 1902, Berta raggiunge una maturità riconosciuta già dai contemporanei. L’opera, oggi parte della collezione della Città di Lugano e restaurata durante la chiusura del museo nel 2021, testimonia una ricerca tecnica e simbolica che ha avuto un ruolo decisivo nella definizione di un linguaggio regionale capace di dialogare con l’Europa.
Nel suo insieme, “Sentimento e osservazione. Arte in Ticino 1850-1950” non si presenta come una sintesi definitiva, ma come una piattaforma di ricerca. L’alternanza tra paesaggi, scene di vita quotidiana, ritratti e autoritratti mette in luce un secolo di interrogativi sull’identità, sul ruolo dell’artista e sul rapporto tra centro e periferia. È proprio in questa pluralità di sguardi che la collezione del MASI trova la sua forza: non una narrazione lineare, ma un mosaico aperto, capace di restituire la complessità culturale del Ticino e il suo posto nella storia dell’arte europea.



