Che cosa vuol dire curare i rapporti con i propri inserzionisti?

«Si tratta di conoscere i clienti, soprattutto nei momenti al di fuori dell’ambito della vendita, partecipando alle loro manifestazioni e conferenze stampa in modo da allacciare un legame personale. Coltivandolo, nel corso degli anni si trasforma in un rapporto profondo».

Quest’attenzione per le persone caratterizza anche il taglio dei vostri servizi?

«Sì, ci interessiamo del dettaglio, di quelle notizie che i media tradizionali non forniscono perché i loro spazi sono diventati esigui. Possiamo spaziare di più perché non abbiamo l’impegno di focalizzarci su alcune tematiche con una certa regolarità e questo ci permette di essere vicini alla gente. Scriviamo delle associazioni, ovviamente anche di quelle che riuniscono i giovani, dei patriziati, delle sagre di paese, di quelle dinamiche che partono dal basso. Dietro c’è una forza immensa di volontariato e di lavoro. Cerchiamo di sottolineare questi aspetti e di cogliere le particolarità di quello che gli altri, per forza di cose, sono costretti a trascurare».

Nel vostro caso sono centrali le “storie”, in altre parole persone, incontri, occasioni.

«È proprio così. Abbiamo rubriche ricorrenti che toccano vari ambiti. La parte storica, che è preponderante nella Rivista di Lugano, riguarda comunque le persone e la loro vita. Poi una rubrica gettonatissima è “Gli antichi ricordi” dove, per esempio, pubblichiamo la foto di una classe di quinta elementare del 1964. Le persone vogliono leggere le storie che le riguardano».

Durante la campagna in vista della votazione sul pacchetto di misure a favore dei media (respinto lo scorso 13 febbraio) si è parlato spesso della qualità del lavoro giornalistico. In cosa si traduce per voi?

«Senz’altro nella capacità di valorizzare le tradizioni locali e il patrimonio culturale del nostro territorio. È un contributo prezioso, tanto più in una realtà minoritaria come la Svizzera italiana. La stampa locale è uno strumento d’integrazione, un collante all’interno di comunità sempre più eterogenee che facilita l’incontro e la conoscenza reciproca. Un principio che vale anche in un’ottica di solidarietà intergenerazionale, a maggior ragione quando un giornale o un organo d’informazione s’impegna a individuare, sviluppare e divulgare progetti, iniziative, opere che passerebbero nell’indifferenza generale. Trattare la cronaca locale è impegnativo: bisogna calarsi in situazioni particolari e dover assumere e verificare informazioni spesso in assenza di strutture professionali (agenzie, addette/i stampa, pubbliche relazioni) predisposte per dialogare con i media. Eppure anche chi non ha queste risorse – come gli enti pubblici periferici, le società sportive e le/gli atleti delle discipline meno praticate, i gruppi e le/gli artiste/i che promuovono i loro progetti al di fuori dei circuiti culturali – deve poter ricevere attenzione e considerazione per ciò che produce, esprime o rivendica. Sono i volti e le voci di una quotidianità minuta ma preziosa, che senza i media locali non avrebbe alcuna visibilità. Le/i giornaliste/i della Rivista di Lugano conoscono bene la realtà locale. La fonte è sempre molto vicina alla notizia e al fatto: questo fa qualità».