In questa intervista, Michele Galfetti descrive l’impegno del team redazionale, sia collettivo sia individuale, nel comprendere una realtà sociale in rapida evoluzione e nell’individuare i fattori esterni che potrebbero influenzarne la percezione. L’obiettivo finale è offrire agli spettatori il risultato di un rigoroso processo di selezione, condotto a ogni livello, per ridurre, almeno nella proposta televisiva, gli elementi che potrebbero alterare l’interpretazione dei fatti.

Come si parte dalla “pagina bianca” e si arriva alla trasmissione televisiva?

«Il nostro programma non nasce tanto da una “pagina bianca”, quanto da una selezione continua delle notizie di cronaca, che abbiamo il compito di approfondire e scadenzare, decidendo quali argomenti saranno rilevanti anche dopo il periodo necessario a studiare il materiale che abbiamo raccolto ed avviare un dialogo con i soggetti interessati. Per un semplice reportage sono sufficienti circa dieci giorni. Mentre per un approfondimento occorrono almeno due mesi. In questo caso, oltre a esaminare il dossier, dobbiamo concedere agli intervistati il tempo necessario per riflettere e decidere se partecipare alla nostra trasmissione. Prima di avviare questo dialogo, ci assicuriamo di aggiornare anche l’analisi di ogni aspetto legato al tema che verrà messo in onda. Completati questi preliminari, si entra nel vivo dell’attività redazionale: filmare, sonorizzare, commentare le immagini e prevedere la comparsa di eventuali fatti nuovi o possibili comunicazioni legali che potrebbero ostacolare la diffusione del servizio.

In sintesi, l’obiettivo della nostra redazione non è solo trasmettere una notizia, ma verificare con rigore l’affidabilità delle informazioni, nella sostanza e nei tempi di messa in onda, per offrire agli spettatori contenuti precisi e attendibili».

Cosa motiva il tuo lavoro?

«La mia attività si coordina con il produttore responsabile, il collega Valerio Selle, e con la redazione della trasmissione, e richiede un dialogo continuo. Questo può comportare confronti su temi che non trovano piena unanimità all’interno del team redazionale, oppure discussioni sulla tempistica di una messa in onda. In ogni caso, è il dialogo con i miei colleghi e i responsabili della nostra azienda televisiva che perfeziona in modo collegiale il percorso creativo di un programma come Falò, il cui obiettivo è offrire un prodotto che raggiunga il più ampio consenso e sia condiviso dal pubblico, proponendo agli spettatori gli strumenti necessari per permettere loro di formarsi un’opinione in piena autonomia».

Esiste una linea di confine tra cronaca e approfondimento?

«Credo che la differenza sia nella prospettiva. La cronaca si limita a presentare i fatti così come sono. Invece quando si fa inchiesta, oltre la realtà dei fatti, l’obiettivo è innanzitutto di verificare e quindi proporre argomenti che ancora non si sono manifestati. Nell’impormi queste priorità, rispetto i miei obblighi di coscienza ma anche di mandato professionale: perché dove c’è una la notizia non posso esimermi dal riportarla».

Nella tua professione, quali contraddizioni individui nella società odierna?

«Inizio dalla privacy: pur essendo percepita come un valore assoluto, molte persone scelgono di esporsi liberamente sui social media, spesso senza rifletterne le implicazioni.

Un altro fenomeno contraddittorio è l’evoluzione dell’individualismo, il rifiuto alla responsabilità delle proprie azioni, l’attribuirne le colpe alla società. Forse in passato era più semplice identificare figure di riferimento che ispirassero un comportamento responsabile. Invece oggi i social media incoraggiano un individualismo diffuso, ci promuovono a tuttologi, esperti in ogni argomento, ad ignorare eventuali critiche e a prendere decisioni avventate nella convinzione di evitarne le conseguenze. Un’altra costante è la crescente burocratizzazione delle relazioni sociali, una dinamica percepibile anche nel mondo dei media.

Probabilmente la nostra categoria, risente del sensazionalismo con cui i social interpretano e amplificano la realtà, il che a sua volta influenza le persone, in modo circolare, portando ciascuno a cercare nei social le conferme alle sue opinioni e ai suoi pregiudizi.

Per evitare di moltiplicare queste contraddizioni, mi impegno a proporre al pubblico un prodotto televisivo che rispetti quella stessa indipendenza e libertà di giudizio che riservo alla mia coscienza».