La notizia nasce sola, ed è grazie al lavoro di professionisti dei media come Pietro Bernaschina e all’interesse del pubblico che poi si fa largo nella coscienza sociale. Ma intendiamoci sui termini. Per il pubblico la notizia è un prodotto. Per il professionista è il risultato di un percorso di ricerca. Sembrano visioni opposte, ma è solo apparenza. Perché davanti al quotidiano flusso di informazioni offerto dai media elettronici, il giornalista è altrettanto solo nei confronti della notizia quanto il pubblico nel leggerla. Il rischio, condiviso da entrambi, è che nell’epoca dei social ci si informi su tutto per poi ritrovarsi a fine giornata e scoprire di non esserlo su niente.

È proprio qui che si dividono le strade percorse dal consumatore e, all’opposto, dal produttore di contenuti informativi. Perché a differenza di un normale lettore, la esigenza di una revisione critica sulla notizia non consente al professionista dell’informazione di invocare una assoluzione per insufficienza di prove giustificata da un legittimo ed altrettanto facile ricorso alla sequenza dei fatti compiuti, come allineati dalle cronache di giornata. Semplificando, non è la semplice analisi logica, ma l’analisi critica nei confronti di una notizia che rende il lavoro del professionista un percorso in salita.

In ambito internazionale, la frammentazione geopolitica, il ritorno ai blocchi contrapposti, le guerre asimmetriche combattute anche a colpi di fake news, come ridefiniscono la funzione del giornalista?

«Il panorama mediatico oggi è sempre più complesso. In particolare, quando si commenta una situazione di guerra la verifica delle fonti è difficile, perché anche la propaganda viene proposta in forma di notizia. In questi casi la nostra redazione si muove su tre fronti. Innanzitutto, consultiamo tutte le fonti a nostra disposizione. Poi contattiamo le persone che vivono o più spesso che operano nel territorio, in particolare i giornalisti. Infine, interpelliamo gli esperti. Il nostro lavoro si muove in una ottica di pluralità, perché come servizio pubblico il nostro obiettivo è dare spazio alle differenti opinioni. È un lavoro che richiede un impegno costante. Consultiamo il maggior numero possibile di interlocutori, di stakeholders, in particolare quando ci accorgiamo che mancano alternative ad una verifica diretta dei fatti.

E poi ci sono i contatti con i colleghi, in particolare quelli italiani. È grazie a tutto questo lavoro che la nostra redazione può offrire agli spettatori spazi di revisione critica sulle informazioni, malgrado i ritmi serratissimi imposti dalle quattro edizioni giornaliere previste dal palinsesto televisivo. Nella revisione critica delle notizie di maggior rilievo siamo aiutati anche dalla varietà delle fonti informative offerte dai social media: propongono testimonianze che facilitano l’accesso ai report, ai dossier dei centri di ricerca, o che grazie ai protocolli Open Source Intelligence-OSINT permettono ricerche in forma aggregata, globale, omnicomprensiva, immediata, presso tutte le pubbliche banche dati accessibili in forma elettronica. Stiamo ampliando le nostre competenze proprio a queste nuove forme di indagine giornalistica, in una ottica di costante miglioramento qualitativo dei contenuti».

Le complicazioni belliche, sanitarie, ambientali, economiche, la digitalizzazione sembrano disorientare il pubblico da una valutazione equilibrata delle scelte personali. In questo contesto, i media come riescono a rivolgersi alla coscienza critica della società?

«In quanto servizio pubblico, ci posizioniamo come mediatori nel rapporto tra la società, i politici e la pubblica amministrazione, intercettando le esigenze e le preoccupazioni della gente nella sua convivenza con le problematiche contemporanee. Parimenti, sensibilizziamo coloro a cui competono le responsabilità politiche sulle conseguenze delle loro decisioni. Anche in queste circostanze ci impegniamo a consultare tutte le fonti disponibili e riferirle all’opinione pubblica. Ad esempio, recentemente abbiamo informato i telespettatori del fatto che in alcuni comuni non conviene installare panelli fotovoltaici perché la energia prodotta non è remunerata in modo adeguato agli investimenti necessari. Era uno studio del Politecnico di Zurigo e rispondeva, indirettamente, agli interrogativi di chi vorrebbe fare di più per il clima e per la crisi energetica, ma non ha grandi disponibilità finanziarie. È questa mediazione fra gli interrogativi della gente e le decisioni prese dalla politica che dobbiamo attuare. Far capire alla gente le ragioni delle decisioni politiche e ai politici le conseguenze che queste hanno sulla popolazione o parte della popolazione. Possiamo riferirne grazie ad una visione allargata delle tematiche che proprio il nostro lavoro ci permette di avere. Inoltre, la nostra mediazione informativa non si limita alla sostanza ma anche a come le notizie sono riferite. Oggi chi si informa ricorrendo ai social media spesso non si accorge di vivere in una bolla mediatica, perché gli algoritmi indirizzano il pubblico solo alle notizie che prevedono lo interessino. Ecco quindi che i professionisti della informazione si trovano investiti non solo del compito di aiutare il pubblico a superare i filtri digitali, ma anche di riferire le informazioni in modo globale. Per un servizio pubblico oggi non è sempre facile trovare spazio fra le fake news, le false notizie, o le informazioni mainstream, appiattite sui luoghi comuni. Trovare modi e mezzi comunicativi per raggiungere il pubblico è sempre più impegnativo. Per questo motivo la nostra redazione, oltre ai telegiornali, prevede di sviluppare la sua presenza anche sul web e in generale di avere una narrazione più efficace e diciamo calda».

Tra la strategia di periodo che ispira il mandato delle pubbliche amministrazioni, e la replica del pubblico che propone istanze dettate dalla cronaca, per i media è ancora possibile riferire in modo lineare questo loro dialogo?

«Per noi è fondamentale il fact checking, la verifica delle fonti. Si comincia intercettando le insoddisfazioni della società. Ne verifichiamo la origine, se un problema è reale oppure la conseguenza di una propaganda multimediale. A seguire, interroghiamo il mondo politico e lo invitiamo a confrontarsi sull’esito delle nostre ricerche. Il risultato del nostro lavoro cerca di sviluppare un dialogo fra le parti. È un compito faticoso, complicato dal poco tempo che abbiamo a disposizione, anche perché oggi tutto corre velocissimo e le sollecitazioni sono molteplici, ma è un lavoro importante ed essenziale. In questo flusso, noi cerchiamo di mettere ordine e di rallentarlo, di sottrarre il pubblico alla corrente più violenta per tornare a guardare con un po’ di calma ai fatti. Per esempio, nel telegiornale più seguito, quello di prima serata, agli spettatori, magari un po’ disorientati dal labirinto delle informazioni sui social, non segnaliamo tutti i fatti del giorno, ma solo quelli di maggiore rilevanza, e ne giustifichiamo il motivo. È proprio grazie a questa messa in ordine, crediamo, che il pubblico infine può formarsi la sua opinione, in modo consapevole. O almeno questo è il nostro obbiettivo, che speriamo di raggiungere ogni sera».