Isabella Tramontana, lei ha studiato relazioni internazionali ed economia, ha lavorato presso diversi istituti bancari, anche come Corporate Responsibility Manager, oggi è Philanthropy Advisor. In che cosa consiste concretamente il suo lavoro presso UBS?
«Faccio parte di un team globale che lavora insieme ai nostri clienti sui loro obiettivi filantropici, al fine di massimizzare l’impatto delle loro donazioni. Forniamo loro una consulenza completa, approfondimenti su temi specifici o contatti con altri filantropi e li supportiamo concretamente nella ricerca della giusta soluzione per la realizzazione dei loro progetti».
UBS gestisce una delle banche dati di filantropi più grandi del mondo. A che scopo è stata costituita questa rete, quanti filantropi ne fanno parte e da quali Paesi provengono?
«Le sfide sociali attuali sono troppo complesse per essere risolte da soli. Crediamo fermamente che i filantropi debbano collaborare, integrando competenze e risorse, per realizzare progetti con il potere di creare un cambiamento concreto e duraturo nel tempo. È esattamente per questo che abbiamo lanciato la Global Philanthropists Community (GPC), una rete riservata ai membri che oggi collega quasi 400 filantropi UHNW, al fine di guidare, insieme, le innovazioni filantropiche e partecipare attivamente alla creazione di un futuro più sostenibile».
Come possiamo immaginarci concretamente l’operatività di questa rete?
«In qualità di gestore patrimoniale leader a livello mondiale, siamo in grado di sfruttare in modo vantaggioso la nostra rete globale. I filantropi membri del GPC entrano in contatto gli uni con gli altri e questo permette loro di scambiare competenze e di accedere a soluzioni che consentano di fare davvero la differenza. Diamo ai nostri membri l’opportunità di espandere la propria rete e posizionare le proprie attività, così come di condividere le loro esperienze con filantropi di tutto il mondo. Inoltre, i membri ottengono l’accesso a strumenti e risorse che li aiutano ad agire in maniera più efficace».
UBS ha lanciato un nuovo modello di filantropia collettiva. Di che cosa si tratta?
«La filantropia, se svolta da singoli individui, è certamente efficace, tuttavia mettendo in comune fondi e competenze si riesce ad ottenere un impatto esponenzialmente maggiore. Questa connessione di individui intorno allo stesso obiettivo strategico, rappresenta il futuro del finanziamento filantropico. Dal 2020 abbiamo creato tre programmi di impatto collettivo, le UBS Collectives, coinvolgendo 40 famiglie filantropiche a livello globale. Ogni programma si concentra su un argomento specifico: protezione dell’infanzia, cambiamenti climatici e nuove modalità di finanziamento delle soluzioni per le sfide globali (Social Finance). I membri partecipano ad un percorso di formazione di tre anni, imparando da esperti professionisti e seguendo la progettazione, l’implementazione e il processo di misurazione dell’impatto dei progetti. Abbiamo riunito queste famiglie sotto l’egida della UBS Optimus Foundation, le loro competenze e i loro fondi in gruppi di pari per sostenere soluzioni innovative di impatto collettivo su alcune delle questioni più urgenti del mondo».
Secondo quali criteri e con che frequenza vengono elaborati studi sulla filantropia dalla banca e in che forma vengono resi accessibili?
«Durante tutto l’anno pubblichiamo approfondimenti su diversi temi, dalle tendenze globali alle nuove iniziative di donazione basate sulla ricerca tratta dalla nostra rete UBS e spesso prodotta in tandem con i nostri partner accademici. Ad esempio, di recente abbiamo pubblicato una guida SDG 3 “Picture of Health” che riprende il tema onnipresente della salute e l’impatto che la pandemia ha avuto sui sistemi sanitari globali. È una guida per filantropi e changemaker, per aiutarli ad ottenere un impatto sistemico e per evitare tutto ciò che è nocivo per il bene comune».
Al Forum Strategic Philanthropy for the Arts del 20 ottobre organizzato dalla Fondazione Conservatorio della Svizzera Italiana in collaborazione con la Banca, lei, Isabella Tramontana, ha presentato il Fondo filantropico a cui state dando vita con la Galileo Foundation. Di che cosa si tratta, quali sono i temi?
«Lavorando a stretto contatto con i nostri clienti e con le loro famiglie, riconosciamo l’importante ruolo che la fede svolge per molti nel plasmare i valori, identificare i bisogni e aiutare gli altri. A metà ottobre, abbiamo accolto in Vaticano i membri della nostra rete UBS Faith and Philanthropy per annunciare, insieme alla Fondazione Galileo, lo Human Family Fund. Il Fondo è dedicato a sostenere le ONG ispirate alla fede che lavorano nei settori della tratta di esseri umani e della schiavitù moderna, dell’istruzione, della salute globale e del clima. Il Fondo si basa sul nostro approccio collettivo sopra descritto. Siamo convinti che i filantropi debbano collaborare per ottenere un impatto su larga scala. In questo caso particolare, stiamo riunendo filantropi che desiderano fare del bene sulla base di principi interreligiosi condivisi. Il Fondo fa capo all’Enciclica Fratelli Tutti di Papa Francesco, che sottolinea specificamente il ruolo di tutti gli esseri umani nella promozione e nel miglioramento della coesistenza pacifica attraverso l’uguaglianza e la prosperità».
Chi sono i garanti del Fondo?
«Questo Fondo globale mette in collegamento filantropi appartenenti a tutti i credi religiosi con organizzazioni orientate alla fede che hanno comprovata esperienza, un impatto misurabile e potenziale di scalabilità. UBS si è impegnata come matching partner, aggiungendo un 10% ad ogni donazione (fino a 50 milioni di dollari). Inoltre, UBS copre tutti i costi per l’amministrazione del Fondo, lo sviluppo delle capacità e la misurazione dell’impatto. In questo modo, UBS vuole rafforzare l’ecosistema dei finanziamenti basati sui risultati, aumentare l’efficacia e lavorare insieme per la scalabilità».
In che modo i beneficiari potranno usufruire dei proventi del fondo?
«La visione dello Human Family Fund è quella di creare una società più giusta per i più vulnerabili. Ciò significa che il 100% dei proventi del Fondo sarà distribuito direttamente alle organizzazioni che lavorano sul campo principalmente nei paesi in via di sviluppo. Inoltre, sfrutteremo tecnologie innovative per collegare i finanziamenti al successo effettivo raggiunto (risultati) e all’impatto a lungo termine. In questo modo, ci assicuriamo che le donazioni vadano a buon fine e raggiungano l’intento. Vogliamo soprattutto assicurarci che, alla fine, il Fondo aiuti i bisognosi in modo sostenibile e autonomo».
Qual è, Isabella Tramontana, la sua personale visione per la filantropia strategica del futuro?
«A mio parere, ci troviamo all’inizio di una nuova era della filantropia. Il vecchio paradigma in cui si utilizzava il capitale filantropico direttamente per i servizi per le persone, semplicemente non è scalabile. Abbiamo bisogno di una filantropia che sia radicale nell’assumersi rischi promettendo soluzioni innovative, catalitiche e, soprattutto, collettive: questo significa seguire le prove, cercare le innovazioni tra le molteplici opzioni, e identificare quelle che hanno veramente il potenziale per ornire i risultati auspicati.
Una volta trovato un metodo efficace, dobbiamo ampliarlo in collaborazione con altri filantropi, governi, istituzioni accademiche, aziende e società civili in generale».
*Programma e relatori sono consultabili sul sito: www.conservatorio.ch/philanthopy-forum
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