Il termine “filantropia tradizionale” è oggi solo un’etichetta vuota?
«Il termine “filantropia tradizionale” viene spesso usato impropriamente, perché la filantropia, per sua natura, è in continua evoluzione. La filantropia che viene definita “tradizionale” si è sviluppata nel corso dei secoli ed è stata plasmata da trasformazioni culturali ed economiche. Da oltre 2500 anni, le società hanno sviluppato pratiche di dono e sostegno guidate da motivazioni religiose, filosofiche, economiche e sociali che mutano nel tempo. Dai principi della carità cristiana alla zakat islamica, dalle visioni umanistiche rinascimentali ai moderni modelli di impatto sociale, la filantropia non è mai stata una realtà statica, ma evolve senza rotture nette. “Tradizionale” non implica dunque un punto fermo nel passato a cui fare riferimento».
In che modo la filantropia tradizionale si distingue dalla filantropia paternalistica e quali modelli rappresentano questa differenza?
«La filantropia tradizionale si concentra principalmente sulla donazione di risorse per sostenere cause sociali, culturali o ambientali, nel pieno rispetto delle organizzazioni beneficiarie, quando è autentica e non viene snaturata da interessi estranei. Così i destinatari ricevono aiuti economici e strumenti che consentono loro di decidere come gestire il supporto ricevuto. Un buon esempio di questo modo di interpretare l’agire filantropico è quello di Giuseppina Antognini, mecenate svizzera, che ha avuto un impatto significativo sulla vita sociale di Milano sostenendo, attraverso la Fondazione Pasquinelli, progetti per bambini, giovani e anziani, dimostrando come la filantropia possa essere strumento di rinascita civica.
La filantropia paternalistica, invece, implica un forte controllo da parte dei donatori. Chi dona, non solo stabilisce in modo rigido come devono essere utilizzate le risorse, ma impone regole e condizioni senza coinvolgere direttamente i beneficiari nelle decisioni. Questo può limitare la possibilità di autodeterminazione di chi riceve e rischia di creare dipendenza anziché rafforzare le capacità locali».
C’è chi parla di “rapporti di potere fra filantropi e beneficiari”. In che modo si può arrivare a tutelare la libertà decisionale di entrambe le parti?
«Trovo fuorviante e persino offensivo ridurre la relazione tra chi dà e chi riceve a un gioco di potere. È una semplificazione caricaturale, che implica che i filantropi agiscano sempre mossi dal desiderio di esercitare un controllo, quando invece esistono numerosi esempi di donatori sinceramente impegnati nel favorire l’indipendenza e l’autonomia dei destinatari. Naturalmente, come in qualsiasi altro ambito, possono emergere dinamiche problematiche o deviazioni dagli intenti originari, ma questo tipo di generalizzazione finisce per distorcere la realtà, dipingendo la filantropia come meccanismo di potere, anziché come atto di generosità e responsabilità sociale, cui contribuiscono sia i filantropi che i beneficiari».
Quali sono i benefici e le criticità delle nuove tendenze nella filantropia moderna, e come si può evitare che l’innovazione finisca per generare nuove forme di conformismo?
«Credo sia estremamente positivo che i nuovi orientamenti della filantropia puntino a una maggiore efficienza negli investimenti, garantendo un impatto concreto e misurabile. Bisogna tuttavia considerare che queste forme di filantropia, sebbene promettenti, devono ancora essere testate a fondo per quanto riguarda i loro effetti e non sono immuni da sfide; richiedono un adattamento attento al contesto, alle risorse economiche disponibili e alle condizioni quadro di ogni specifico progetto. È importante evitare di idealizzarle eccessivamente. Ciò che è centrale in ogni forma di filantropia è il delicato bilanciamento tra il diritto del donatore di scegliere come impiegare le proprie risorse e l’indipendenza di chi ne beneficia, mantenendo sempre un atteggiamento critico e costruttivo. Ed è fondamentale che ci sia la possibilità di confrontarsi apertamente su ogni aspetto strategico e operativo.
Quando si parla di filantropia contemporanea si citano spesso alcune nuove correnti fra cui l’Effective Altruism, la Trust-Based Philanthropy e la “filantropia sistemica”. Può spiegarci di cosa si tratta e quali sono i punti di forza e le criticità di questi diversi approcci?
«L’Effective Altruism è un approccio alla filantropia basato su analisi razionali e dati concreti per orientare le risorse verso cause con un alto potenziale di efficacia. Un caso di successo è quello dell’organizzazione GiveWell, che valuta le associazioni benefiche per identificare quelle più efficaci nel migliorare la vita delle persone. Si concentra su interventi ad alto impatto, come la lotta alla malaria come la distribuzione di zanzariere appositamente trattate per prevenirla». (https://www.givewell.org/).
La Trust-Based Philanthropy si concentra sulla fiducia tra donatore e beneficiario, riducendo burocrazia e controlli, a favorire agilità ed empowerment delle organizzazioni beneficiarie. La filantropa Mackenzie Scott, per esempio, ha donato oltre 16,5 miliardi di dollari senza imporre vincoli, permettendo flessibilità alle organizzazioni beneficiarie. Tuttavia la Trust-Based Philanthropy può portare inefficienza e scarsa trasparenza.
La filantropia sistemica mira a trasformare le strutture che causano le disuguaglianze piuttosto che a mitigarne gli effetti, permettendo interventi più sostenibili nel tempo, ma può risultare lenta e complessa, con difficoltà nel misurare concretamente i risultati. Un caso di successo è il progetto Community Solutions di Rosanne Haggerty, parte del programma Changemakers di Ashoka, che ha rivoluzionato il sostegno alle persone senza fissa dimora negli Stati Uniti, coinvolgendo oltre cento città».
Come valorizzare la complementarità tra filantropia tradizionale e sistemica, evitando contrapposizioni tali da indebolire l’efficacia delle risposte alle sfide sociali?
«Le distinzioni troppo rigide tra filantropia tradizionale e contemporanea rischiano di semplificare eccessivamente una realtà complessa. Liquidare la filantropia tradizionale come obsoleta o inefficace sarebbe inesatto e potenzialmente controproducente, poiché ha svolto e continua a svolgere un ruolo fondamentale nel fornire supporto immediato alle comunità in difficoltà. Allo stesso tempo, la filantropia sistemica introduce un cambiamento significativo, mirando a risolvere le cause profonde dei problemi sociali attraverso strategie di lungo termine e interventi strutturali.
I due approcci non devono essere considerati in opposizione, ma parte di un sistema più ampio in cui possono coesistere e rafforzarsi reciprocamente. La risposta immediata ai bisogni urgenti non esclude l’azione sistemica, e viceversa. Sottovalutare il valore della filantropia tradizionale potrebbe portare a un disallineamento rispetto alle realtà sul campo, dove l’urgenza e la costruzione di soluzioni di lungo termine devono procedere insieme. Piuttosto che contrapporre i modelli, è più utile riconoscerne la complementarità».
Perché la filantropia sistemica non può essere un’alternativa all’investimento degli Stati?
«Perché opera su logiche e scale diverse. Gli Stati raccolgono e distribuiscono risorse su larga scala attraverso la tassazione, garantendo stabilità e universalità negli interventi, mentre la filantropia dipende da donazioni volontarie. Inoltre, le politiche statali hanno una legittimità democratica e possono vincolare istituzioni e settori economici a cambiamenti strutturali, mentre la filantropia, per quanto possa influenzare sistemi e politiche, non ha, per fortuna, il potere di regolare e imporre standard normativi. Tuttavia, la filantropia sistemica può essere complementare, stimolando innovazione, sperimentando nuovi modelli e supportando trasformazioni poi adottate dagli Stati su scala più ampia».
In conclusione, una riflessione sul futuro della filantropia…
Fermo restando che strategia, pensiero e considerazioni di contesto sono elementi essenziali, la filantropia resta prima di tutto un’espressione di generosità, guidata da motivazioni profonde che non possono essere ridotte a una logica algoritmica o a meri schemi tecnici. Perché la filantropia del futuro diventi davvero uno strumento di trasformazione condivisa, occorre che sia ispirata a scelte equilibrate e a principi chiave come equità, trasparenza e partecipazione, sostenibilità e flessibilità. Solo così le risorse potranno essere distribuite in modo giusto, i processi gestiti con responsabilità e le comunità coinvolte attivamente. Nei prossimi anni ci sarà sempre più bisogno di filantropi per cercare di sanare le gravi disparità sociali che si stanno venendo a creare. Definire con chiarezza la filantropia significa dare valore alla generosità, evitando equivoci e rafforzando il legame tra chi dona e chi riceve. Solo così le diamo il rispetto che merita e ne onoriamo la vera essenza.