Elisa Bortoluzzi Dubach, esperta di filantropia, è tra le voci più autorevoli in Svizzera sul tema del mecenatismo, vuoi per la grande esperienza accumulata nel settore, vuoi per gli insegnamenti avuti in famiglia. Tra le sue passioni ci sono lo studio e la lettura, con incursioni nella poesia, nella saggistica e nei testi legati alla spiritualità.

Lei viene da una famiglia molto attenta ai bisogni degli altri e alle arti: cosa ha imparato dai suoi genitori?

«Non si può dire che mia madre e mio padre siano stati mecenati in senso stretto, ma hanno sempre promosso le arti, era una tradizione familiare. Il mio bisnonno materno, Alfredo Longoni, milanese, era un self-made man che dal nulla era diventato proprietario di immobili e azionista di diverse aziende. Aveva una grande attenzione verso la povertà, aiutava i bisognosi spesso all’insaputa della famiglia. Fatto curioso, i miei nonni sposarono entrambi una cantante lirica e anche se, per le usanze del tempo, purtroppo entrambe le nonne dovettero interrompere la carriera e dedicarsi alla famiglia, a casa nostra si è sempre parlato di arte, coltivato la musica e gli artisti non sono mai mancati».

C’è una persona che l’ha particolarmente ispirata in famiglia?

«Senz’altro mio padre. Medico e umanista, aveva fra le sue molte qualità una curiosità intellettuale che appagava leggendo, frequentando manifestazioni culturali, concerti, una grande generosità e spiccate doti di resilienza. È stato un uomo straordinario, che ha dato moltissimo non sono ai figli ma alla città in cui ha a lungo dimorato, Varese. La sua vita è stata d’ispirazione per tanti, e lo è ancora, tant’è vero che alla sua morte le autorità cittadine gli hanno dedicato una manifestazione di pubblico riconoscimento. È stato lui ad avermi portato, senza neppure esserne cosciente, alla vocazione della filantropia e poi a considerare di farne un lavoro». 

Chi sono stati i maestri a cui deve qualcosa per ciò che è diventata nella sua professione?

«Chi mi ha per primo influenzato è stato Flavio Sottrici, allora proprietario delle cartiere Sottrici-Binda e presidente dell’Associazione Industriali della Provincia di Varese, mecenate. Ero giovane e cercavo un lavoro, così mi presentai da lui per un colloquio, portandogli da leggere il mio studio sulle piccole e medie imprese del Varesotto. A sorpresa mi chiese di scrivergli un verso di una poesia che amavo e di indicargli la musica che preferivo. Una settimana dopo ricevetti una lettera, mi proponeva di lavorare per la sua azienda. Fui assunta come responsabile della comunicazione, il dettaglio era che allora non avevo ancora fatto studi specifici e che questa assunzione si basava sulla fiducia in un talento che non sapevo neanche di avere. Mi affiancò il suo assistente per sei mesi e con lui imparai a conoscere gradualmente il mondo della carta. Sottrici era un visionario e un mecenate. Durante il nostro primo colloquio mi comunicò che voleva fondare una università. La Liuc di Castellanza, l’università delle imprese, divenne realtà pochi anni dopo.

La seconda persona che considero un maestro è stato Pier Mario Vello, il segretario generale di Fondazione Cariplo. Ero andata da lui per intervistarlo. Arrivata a Milano dalla Svizzera, le risposte alle mie domande in tedesco erano già state formulate. Mi chiese se amavo l’arte, mi condusse in giro per Milano, a vedere le torri di Kiefer e passammo qualche ora a parlare di filantropia e di poesia. Ne nacque una profonda amicizia, durata fino alla sua prematura scomparsa. Ci scambiavamo idee e libri, mi faceva leggere i suoi articoli prima ancora che fossero pubblicati. Mi fece rivivere impressioni già avute nella mia famiglia. Con lui capii che mi sarei occupata in toto di filantropia».

Ci sono altre persone con cui sente di avere un debito di riconoscenza particolare?

«Ricordo fra i tanti alcuni incontri per me particolarmente preziosi. Il primo con Carlo Ciceri, un compositore, purtroppo scomparso assai giovane, che si interessava di mecenatismo ed era responsabile dei progetti strategici per il Conservatorio della Svizzera Italiana. Il secondo incontro, o meglio un reincontro, è stato quello con Letizia Tedeschi, l’ideatrice della Fondazione Archivio del Moderno, con cui ho approfondito il tema della filantropia nell’architettura. Due personalità straordinarie, ricche dal punto di vista umano, stimolanti dal punto di vista intellettuale».

Che cosa può fare secondo lei l’arte per la società civile?

«L’arte può avere un profondo impatto nell’ispirare un cambiamento positivo. Sono convinta che gli artisti visivi possiedano la capacità unica di far luce su questioni urgenti, immaginare soluzioni e accendere la passione per il progresso. Invitando gli spettatori a mettere in discussione il mondo che li circonda, a sconvolgere il pensiero convenzionale e a immaginare nuove possibilità: così le opere d’arte diventano fari di speranza, empatia e responsabilizzazione».

Come si incontrano oggi arti e mecenatismo?

«I mecenati fanno un po’ fatica a sostenere le arti contemporanee, soprattutto la musica. Per pittura, scultura e fotografia ci sono meno difficoltà, anche perché spesso il filantropo è anche lui stesso collezionista, ma per la musica contemporanea ci sono ancora parecchie resistenze, così come per la poesia e per la danza. Probabilmente anche perché l’età media dei mecenati è di oltre sessant’anni, e i giovani filantropi non sono molti in Europa, a differenza per esempio dell’Asia. Per incentivare gli aiuti ai giovani musicisti occorre dunque presentare ai mecenati idee progettuali visionarie, che promuovano obiettivi di sviluppo sostenibile della musica contemporanea».

Ci può fornire una panoramica dell’ecosistema artistico e culturale?

«La Rockefeller Foundation ricorda, in uno studio del 2021 (cfr. https://www.rockpa.org/arts-and-culture-philanthropy-a-topic-brief-for-donors/), che l’ecosistema delle arti e della cultura comprende un ampio spettro di attori, tra cui artisti e creativi, che lavorano in una vasta gamma di forme e mezzi di comunicazione. Poi ci sono le istituzioni artistiche e culturali, come biblioteche, musei, case editrici che offrono oppure producono le arti. Gli educatori artistici insegnano ai giovani come comprendere e creare l’arte e forniscono esperienze creative precoci, che possono contribuire a creare un pubblico futuro per le arti. I media pubblici, tra cui stazioni radiofoniche e televisive locali e nazionali, presentano infine le opere d’arte a un vasto pubblico.

Non mancano i collezionisti d’arte, le cui attività determinano i prezzi delle opere d’arte e quindi influenzano il panorama artistico in generale, né aziende e imprenditori del settore tecnologico, le cui piattaforme possono creare opportunità e sfide per gli artisti interessati a proteggere e godere appieno delle possibilità legate alle proprie opere.

Molti sono poi i finanziatori pubblici delle arti, tra cui le istituzioni, che distribuiscono sovvenzioni e servizi a iniziative artistiche e culturali. Ci sono programmi di educazione artistica finanziati dal governo, e le amministrazioni comunali stanziano fondi per progetti d’arte pubblica. Da ultimo esistono aziende, fondazioni e donatori privati che forniscono finanziamenti significativi alle istituzioni artistiche e sostengono singoli artisti attraverso premi, borse di studio e sovvenzioni».

Quali sono le tendenze nella filantropia delle arti?

«I filantropi sostengono da tempo le arti e i programmi e le istituzioni culturali, dal lancio di nuove organizzazioni artistiche agli investimenti in singoli artisti e progetti.

Spesso, la mancanza di finanziamenti pubblici accresce la necessità di avere una filantropia artistica. Le sfide del settore includono la difficoltà di misurare l’impatto dei finanziamenti alle arti e la natura dispersiva di molte organizzazioni artistiche (cfr. https://www.rockpa.org/arts-and-culture-philanthropy-a-topic-brief-for-donors/)».

Cosa motiva un mecenate a donare per l’arte?

«La filantropia è un’attitudine dello spirito, un modo di abitare il mondo che si consolida a partire da motivazioni anche molto diverse fra loro. L’altruismo è solo una delle ragioni che spingono una donna o un uomo a donare. Può accadere che il mecenatismo sia una prassi ereditata in famiglia, e per questo si è spinti a donare soprattutto dal senso del dovere o, più in generale, dal desiderio di conformarsi a determinate norme sociali. Oppure, ci sono occasioni in cui il dono è frutto di un accordo tra le parti e quindi il filantropo agisce perseguendo un interesse personale. Ancora, il gesto generoso può nascondere un bisogno alle volte materialistico o la volontà di aumentare il proprio prestigio sociale. In ogni caso, oggi sappiamo che l’atto filantropico ha un’influenza diretta sul benessere psicofisico di chi lo esercita (cfr. Elisa Bortoluzzi Dubach, Chiara Tinonin, La relazione generosa-Guida alla collaborazione con filantropi e mecenati, cap. 2)».