Cosa spinge una ragazza di 27 anni a tornare in Ticino dopo tanti anni vissuti a Londra e una carriera ormai avviata? Nell’ultimo anno, questa domanda mi è stata posta diverse volte, soprattutto durante colloqui professionali, da interlocutori convinti di già sapere la risposta. Eppure il mio riscontro sembrava sorprendere ogni volta: credere e affermare che il Ticino abbia tanto da offrire, non solo dal punto di vista personale, ma soprattutto nell’ambito lavorativo sembrava, per i miei interlocutori, quasi un’utopia. Nonostante i volti perplessi, proseguivo con la mia risposta, spiegando che io vedevo Lugano come un punto strategico tra Milano e Zurigo, una città che conta già una piazza finanziaria riconosciuta internazionalmente, e che negli ultimi anni si sta sviluppando anche come centro culturale, accademico e logistico. Tutto questo in una realtà ‘a misura d’uomo’, fattore, a mio parere, sottostimato da tanti e che si è fatto sempre più importante dall’inizio della pandemia.
Il Ticino, purtroppo, è visto ancora con gli occhi del passato, come una regione che esiste soltanto per accomodare banche private poco innovative e fin troppo tradizionali. Se da una parte è vero che Lugano non è Londra e banche private poco innovative ci sono ancora, è ormai innegabile che, volente o nolente, l’onda del cambiamento e dell’innovazione sia arrivata anche qua. Gli eventi degli ultimi decenni hanno portato il settore bancario svizzero a fare un rendiconto delle sue attività e operazioni, portando spesso a riconoscere che l’inerzia non fosse più una scelta possibile e che il cambiamento era l’unica strada per sopravvivere e crescere in un contesto globale e trasparente. Le banche svizzere si sono trovate a doversi confrontare con concorrenti situati non solo a Milano o Londra, ma anche in realtà più distanti come Singapore o Hong Kong. L’occasione era unica per potersi modernizzare e rafforzare la loro presenza a livello globale. Parte fondamentale di questa transizione, come qualsiasi altra, sarebbe stato riuscire ad attrarre e trattenere personale disposto ad affrontare il cambiamento come un’opportunità e non una minaccia per essere loro stessi artefici di miglioramento e sviluppo.
Per me, quindi, intraprendere una carriera bancaria ora in Ticino e poter partecipare a questa trasformazione era un’occasione unica. Certo, non bisogna illudersi, le sfide sono molteplici non solo per il settore e per la regione, ma anche per una ragazza in carriera in generale. Negli ultimi 50 anni, da quando il suffragio femminile a livello federale è stato approvato, le opportunità per le donne si sono fatte sempre più numerose, soprattutto in seguito all’introduzione della legge sulla parità dei sessi nel 1996. In termini giuridici, quindi, si potrebbe dire di aver raggiunto tanti obiettivi. Restano ora le sfide più sfumate, quelle legate soprattutto a stereotipi e a barriere invisibili. Una piazza che ha bisogno di modernizzarsi e sviluppare un ambiente di eccellenza dovrebbe creare le opportunità e gli spazi per attrarre professionisti che eccellono nei loro campi e che provengono da background multiformi, non solo per genere ma anche per lingue, culture e molto altro. In questo senso il Ticino è già in parte avvantaggiato: il cantone della svizzera italiana conta, con una popolazione straniera che rappresenta circa il 28% del totale, più del cosmopolita cantone Zurigo e della media nazionale. Eppure l’esperienza che ho vissuto in tanti dei miei colloqui dimostra che tante aziende esitano ancora ad uscire anche solo un po’ dagli schemi.
Fortunatamente non tutti si sono fatti sorprendere dalle mie motivazioni e ci è stato anche qualcuno che condivideva la mia “utopia ticinese”. Un’istituzione, in particolare, mi aveva colpito particolarmente: una banca privata con una direzione e degli azionisti che non hanno sminuito la piazza che li accoglie. Anzi, apprezzano anche loro tutte le potenzialità della regione dove si trovano e non hanno paura di essere innovativi. Già dalla sua fondazione, nel 1958, la Banca del Ceresio ha creato una piattaforma di gestione patrimoniale che si distingue dall’offerta delle banche private più tradizionali: non solo la gestione si basa sul principio del co-investimento insieme alla famiglia azionista, essa è anche focalizzata alla ricerca di talenti indipendenti soprattutto nel mondo dei fondi alternativi. Oltre alla sua offerta commerciale, la Banca ha saputo anche provare a rompere certi stereotipi; uno degli esempi più rappresentativi per me è una collega che nel 1979 ha iniziato la sua carriera in Banca come trader e oggi è al vertice dell’ufficio borsa. D’allora gli esempi si sono fatti sempre più comuni; ad oggi la Banca conta rappresentanze femminili in tutti i suoi dipartimenti, incluse nell’ufficio di ricerca macroeconomica e nel Consiglio di Amministrazione del Gruppo. Poter partecipare alla trasformazione della nostra regione dall’interno di un’istituzione che riconosce e incentiva tutti i suoi talenti validava ancora di più la mia decisione di rientrare in Ticino.
Ricordando i traguardi raggiunti negli ultimi 50 anni, una cosa è chiara: dobbiamo essere noi stessi i catalizzatori del cambiamento che vogliamo. Spesso le trasformazioni più durature accadono nelle attività di tutti i giorni, nei luoghi dove scegliamo di vivere e lavorare, e nelle sfide che decidiamo di affrontare. Io ho scelto di tornare in Ticino perché credo alle sue potenzialità e perché vorrei essere anch’io, tramite le mie scelte e attività, artefice del cambiamento che vogliamo per la nostra regione.