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Dopo tutto ciò che hai vissuto, cosa ti dà ancora la spinta per proseguire nel circuito ATP?

«Le emozioni sono diventate una parte fondamentale del motivo per cui continuo a giocare. Da giovane era diverso: avevo obiettivi più tecnici, legati alla prestazione. Oggi cerco soprattutto il piacere e la passione ogni volta che vado in campo. L’esperienza mi ha insegnato a vivere il tennis con maggiore profondità, ad avere una percezione più intensa del gioco, qualcosa che forse, in passato, non comprendevo pienamente. Ho ancora un amore enorme per questo sport: mi affascinano la battaglia, l’energia del pubblico, gli alti e bassi di ogni match. È tutto questo che mi alimenta».

Come si è evoluto nel tempo il tuo rapporto con gli spettatori e con i tifosi?
«È un legame che si è rafforzato molto con il tempo. Oggi sento che le persone apprezzano non solo le vittorie, ma anche il cammino fatto per ottenerle, con tutti i suoi alti e bassi. Amo la connessione che ho con i tifosi: è autentica, personale, e sentire il loro sostegno in campo è qualcosa che mi dà davvero tanta energia».

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Cosa rappresenta per te ispirare le nuove leve del tennis, in Svizzera e nel mondo?

«Onestamente, ha per me un grande valore. È qualcosa a cui non avevo mai pensato quando ho iniziato la mia carriera. Vedere giovani giocatori che mi prendono come modello, o che dicono di essersi ispirati alla mia storia, è davvero speciale».

Quanto è importante continuare a sognare – anche a 40 anni – per restare competitivi?
«Ho sempre la stessa voglia di dare tutto. Non gli stessi risultati, ma la stessa passione. Non importa l’età: se perdi la capacità di sognare, di credere che possa accadere ancora qualcosa di speciale, allora non c’è più nulla per cui giocare. Questo tipo di mentalità è ciò che mi spinge ad allenarmi con impegno e trovare nuove ragioni per proseguire il mio percorso stimolante. Provo a godermi tutto ciò che il tennis mi ha dato e continua a darmi, in termini di emozioni. Non vuol dire che sia facile, ma amo ciò che faccio, amo questa vita da tennista».

C’è un film o una passione fuori dal tennis che ti rilassa davvero e alla quale non sai rinunciare?
«Adoro il cinema, soprattutto le commedie francesi. Una in particolare mi fa sempre ridere, anche se l’ho vista decine di volte: Le Dîner de Cons. Quando ho bisogno di staccare, quella leggerezza mi fa bene. È il mio modo per ricaricare la testa, lontano dalla pressione dei tornei».

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Nella tua lunga presenza nell’ATP hai vissuto momenti di gloria e fasi più complicate. Cosa ti ha insegnato questo percorso?
«Mi ha fatto capire che il successo richiede tempo e pazienza. Non si manifesta sempre quando lo desideri, ma se continui a lavorare con serietà e convinzione, anche nei momenti difficili, i risultati arrivano. La pazienza mi ha aiutato a rimanere centrato, soprattutto durante gli infortuni. E quando ho raggiunto i grandi traguardi, li ho vissuti con ancora più intensità, consapevole del percorso lungo e autentico che mi aveva portato fin lì, fatto di perseveranza più che di puro talento».

Quali sono le peculiarità più importanti oltre l’estro?
«Rigore e disciplina sono essenziali in una carriera. Se vuoi spingerti al limite, devi fare ciò che serve per progredire, evolvere, diventare il miglior giocatore possibile. Una minuziosa tabella d’allenamento ti permette di accumulare fiducia nel tuo gioco, nel fisico, nelle tue capacità. È importante poter scendere in campo con la consapevolezza di essere in grado di battere chiunque».

Il preparatore atletico Pierre Paganini ha avuto un ruolo centrale nella tua carriera, come in quella di Roger Federer e Marc Rosset. Un punto di riferimento quasi irrinunciabile.
«Pierre è stato una fortuna incredibile. È grazie a lui se ho raggiunto certi livelli fisici e tecnici. Ha sempre avuto una visione proiettata al futuro. Facevamo blocchi di allenamento durante l’anno, giocavamo meno tornei. Mi costava vedere coetanei più avanti in classifica, ma nel mio team si lavorava pensando alla crescita graduale. Pierre era convinto che avrei raggiunto il top a 27-29 anni. Aveva ragione».

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Dieci anni fa battevi Roger Federer nei quarti e Novak Djokovic in finale al Roland Garros. È il Major che ti sta più a cuore?
«Vincere dei Grandi Slam faceva parte dei sogni irraggiungibili. Australian Open, Roland Garros e US Open hanno lo stesso valore per me, un significato enorme, e penso sia difficile sceglierne uno sopra gli altri. Ognuno ha un posto davvero speciale nel mio cuore».

Con Federer hai vinto l’oro olimpico a Pechino 2008 e la Coppa Davis nel 2014: una coppia straordinaria per la Svizzera.
«Roger è stato il più grande di tutti i tempi. Ho sempre cercato di trarre il positivo dalla sua presenza. Ci siamo allenati tanto, abbiamo vissuto insieme le Olimpiadi e la Davis. È stato un privilegio. C’è molto rispetto e tanta storia tra di noi. Abbiamo condiviso momenti incredibili, ricordi che non dimenticherò mai».

Che sguardo hai sul tennis attuale?
«La nuova generazione ha preso pienamente il suo spazio, portando freschezza e un livello di gioco straordinario. Tra tutti, Jannik Sinner e Carlos Alcaraz sono i due che fanno davvero la differenza: hanno talento, personalità e la capacità di entusiasmare il pubblico. Con loro, il tennis continua a evolversi e dimostra di avere un futuro brillante, all’altezza del passato».

Stan Wawrinka

Nato a Losanna il 28 marzo 1985, Stan Wawrinka è cresciuto nel Canton Vaud, da madre svizzera e padre tedesco di origini polacche. A 40 anni è ancora l’unico giocatore al mondo a gravitare attorno ai primi 100 del ranking ATP. In un’epoca dominata dalla fretta, lui ha scelto la strada più lenta e faticosa, diventando un simbolo di resilienza e longevità.

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Con tre titoli del Grande Slam (Australian Open 2014, Roland Garros 2015 e US Open 2016) ha inciso il suo nome tra i grandi del tennis mondiale, battendo in finale leggende come Novak Djokovic e Rafael Nadal. Finalista anche a Parigi nel 2017, ha conquistato 16 titoli ATP in singolare, diventando il n. 3 del mondo nel gennaio 2014.

Con Roger Federer ha condiviso l’oro olimpico a Pechino 2008 e la Coppa Davis nel 2014, scrivendo le pagine più gloriose del tennis svizzero. Ma a definire davvero il suo stile è soprattutto quel rovescio a una mano potente e vario, diventato iconico per efficacia e bellezza. Un colpo da museo, costruito da giovanissimo con il primo coach Dimitri Zavialov. «Nelle mie annate migliori, quel rovescio disturbava anche i più forti al mondo».

Nel 2009 ha vinto il torneo di Lugano, «uno dei challenger più prestigiosi al mondo, per un successo che ricordo sempre con piacere».

Oltre al talento, Stan ha sempre messo in campo una dedizione assoluta e ha costruito la sua ascesa giorno dopo giorno. Il suo storico preparatore fisico Pierre Paganini lo descrive così: «Wawrinka ha una grande quantità di energia. Grazie al suo costante impegno, si è scoperto anche un artista».

Sul braccio sinistro porta una citazione dello scrittore irlandese Samuel Beckett: «Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better». È il manifesto di una carriera forgiata nella pazienza, nella passione. E nella gloria.