Nella sua vita c’è un prima e un dopo… Ci vuole raccontare che cosa è cambiato?

«Sono nato a Mendrisio nel 1956 e quasi tutta la mia attività professionale si è svolta nell’ambiente bancario, con una parentesi di alcuni anni nel settore informatico. Poi, una trentina di anni fa, ho vissuto un’esperienza che mi ha segnato: un lungo ricovero all’Universitätsspital di Zurigo. Sono entrato in ospedale che ero una persona; ne sono uscito che ero una persona completamente diversa. Come uomo, come valori, come approccio alla vita. La mia passione per la fotografia è nata in quel momento. Ho sentito, forte, l’esigenza di fermare alcuni momenti particolari della vita che una volta passati non puoi più riprodurre. In questo senso, posso parlare di un lavoro creativo in due fasi che mi appartengono strettamente, la morte e la rinascita, che mi hanno insegnato a riconoscermi e a ritrovare un’altra strada dentro di me».».

Il suo percorso artistico è segnato dalla consapevolezza che la fotografia consente di fissare un istante altrimenti irripetibile…

«Sono partito dalla fotografia macro, poi ho sperimentato il paesaggio, passando per il bianco e nero e le foto in notturna, per giungere infine alla fotografia con effetti speciali. Sono così arrivato a elaborare una tecnica personale, che mi permette di raggiungere in modo originale l’obiettivo per me più importante di congelare un istante, conservandolo per sempre, grazie ad un solo fotogramma, in un gioco di luce e in uno spazio circoscritto».

Le sue opere nascono in un contesto molto particolare…

«Tutte le mie immagini sono costruite su un set (esterno, piazza d’armi) e realizzate con una tecnica appositamente messa a punto. La spettacolarità dei colori che si disperdono nello spazio, dei cristalli in frantumi, le forme fantasmagoriche sono generate dallo sparo di una carabina di alta precisione (TIKKA TA3x TAC A1 con visore Rodenstock ad alta definizione) da una distanza variante da 100 a 300 metri). Oppure, nel caso dei palloni riempiti di liquidi, trafitti da una freccia scoccata da una balestra a una distanza di circa 80 metri (Balestra BARNETT VICIOUS). Questi scatti, come scrive il critico Dalmazio Ambrosioni, “hanno la capacità di creare l’attimo, di perpetuarlo nella sua fuggente bellezza, di suscitare il nostro desiderio di interpretarle, mettendoci qualcosa di noi stessi”. Un’altra caratteristica comune alle mie immagini è la fedeltà assoluta allo scatto originario. In nessuna di esse è stato utilizzato il fotoritocco nei cui confronti ho un’avversione totale. Credo che l’immagine debba essere “pura”, per contenere la sua freschezza originaria. Una manipolazione artificiale la comprometterebbe irrimediabilmente».

In nessuna delle sue immagini il proiettile che colpisce e fa esplodere l’oggetto è visibile. Perché?

«L’ho sempre escluso dal campo visivo, perché rappresenta uno strumento di morte. L’ho usato soltanto per arrivare a ciò che mi premeva esprimere attraverso questa tipologia di immagini, e che è strettamente legato alla mia esperienza personale: la sensazione che vorrei trasmettere è proprio quella della rinascita. Niente muore, tutto rivive sotto altra forma. Tutto ciò che muore non scompare, il suo essere raggiunge un nuovo stato di esistenza. La vita è la somma di attimi ed esperienze che possono presentare, in ogni singolo momento, gioie o dolori o fatti che cambiano per sempre il nostro destino. Istanti che aprono nuove dimensioni e liberano risorse segrete e sconosciute, cambiando colore all’esistenza che – dal bianco e nero – può sempre tornare a colori».

Il suo lavoro di ricerca intorno al significato della vita non si esaurisce nel momento dello scatto…

«Esattamente. Le immagini stampate mi inducono ad una riflessione che in alcuni casi ha portato a dei risultati imprevisti e straordinari. Per esempio, talune esplosioni di oggetti provocate dall’uso di armi, hanno generato immagini che, attraverso un attento studio ho individuato essere assai simili a configuarazioni stellari presenti nello spazio. Un’associazione visiva che mi porta a ricordare che l’infinito sembra essere stato generato nell’attimo in cui è avvenuto il Big Bang. E a proposito dei miei più recenti lavori, vorrei ringraziare la ditta Galvolux di Bioggio, nella persona di Paolo e Adriano Jelmini, che mi hanno messo a disposizione la loro competenza per realizzare 4 E a proposito dei miei più recenti lavori, vorrei ringraziare la ditta Galvolux di Bioggio, nella persona di Paolo e Adriano Jelmini, che mi hanno messo a disposizione la loro competenza per realizzare 4 pannelli 1500 x 1000 su vetro   retroilluminato, tra i quali l’Arcobaleno e l’Angelo che si invola. Un ringraziamento va pure a Kropf Multimedia (Patrik Oberlin) di Herzogenbuchsee per l’assistenza tecnica prestata per la stampa».

Progetti per il futuro?

«Un giorno vorrei riuscire a scattare fotografie dell’occhio umano. Fotografarlo mentre coglie l’immagine di un evento, di una persona. Vedere nell’occhio dell’uomo, per così dire, la fotografia nella fotografia. Con la luce giusta si riesce a cogliere nell’occhio di chi guarda il riflesso di ciò che sta guardando: ecco, vorrei arrivare a cogliere quell’attimo, quella luce, quell’espressione».