Non solo i totalitarismi e i nazionalismi perdurano ed hanno il vento in poppa, ma gli imperi e i conflitti fra imperi – lungi dall’essere finiti – sono riapparsi più forti che mai da sotto il manto falsamente tranquillizzante di una cooperazione regolata fra Stati che la nascita e lo sviluppo delle Nazioni Unite e delle Organizzazioni economiche internazionali avevano contribuito a disegnare dopo il secondo conflitto mondiale e che il boom economico e tecnologico e la globalizzazione degli scambi commerciali sembravano confermare nella percezione comune. In realtà, oggi come oggi gli imperi sono senza dubbio più forti, attrezzati e temibili di quanto non fossero le fiacche corti di Vienna, San Pietroburgo o Costantinopoli, andate disfacendosi sotto le spallate dei bolscevichi o dei Giovani turchi di Mustafà Kemal. I nodi del Ventesimo secolo che avevano spinto lo storico Eric Hobsbawm a definirlo “Il secolo breve” (facendolo iniziare nel 1914 in concomitanza con la fine degli Imperi e decretandone troppo frettolosamente la fine in concomitanza con la caduta del muro di Berlino e la disgregazione dell’URSS) ritornano al pettine con le loro domande aperte, in un contesto che ormai ha come teatro il mondo intero dominato dalle superpotenze che oggi dettano legge e come armi una tecnologia con una pervasività e una forza d’urto senza precedenti nella storia dell’umanità. Consideriamo per sommi capi il quadro attuale. La Russia di Vladimir Putin – in sella da vent’anni – sta progressivamente riannettendo (con l’uso della forza) i Paesi dell’Europa orientale che facevano parte del grande Impero sovietico fino al Pacifico, spingendosi verso il Medio Oriente e il Mediterraneo e stabilendo rapporti strategici ed economici con la Superpotenza cinese di Xi JinPing, India, Giappone, Iran e Turchia. Forte delle grandi risorse energetiche di cui dispone, dei gasdotti che sta progettando con i principali partner dell’area euroasiatica, nonché della macchina informatica e di disinformazione dei suoi servizi, il suo obiettivo è diventare il leader di riferimento di una Grande Eurasia. Quanto al presidente turco Recep Erdogan, il suo intento neanche troppo velato è ricostruire l’Impero Ottomano diventandone il nuovo Sultano. La concentrazione di potere che è riuscito ad attuare negli ultimi anni (grazie ad una repressione cruenta e sistematica degli oppositori) e che la nuova Costituzione sancisce, gli permetterebbe di rimanere al timone fino al 2030. Inoltre, dalla cosiddetta primavera araba in poi, Istanbul finanzia l’Islam radicale in modo sistematico in Siria, Iraq, Libia, Sudan, Somalia… sviluppando un progetto di neocolonialismo ottomano che va dal Medioriente e l’Africa ai Balcani e infiltra anche le comunità islamiche europee, segnatamente tedesche. Quanto a concentrazione del potere e alla macchina organizzativa e tecnologica pervasiva volta a preservarlo, annichilendo ogni forma di opposizione, il leader cinese Xi Jinping è oggi certamente l’imperatore più potente al mondo. Anche se storicamente la Cina non è un Paese espansionista e imperialista, la presenza economico-commerciale cinese in Africa e in Asia da un paio di decenni non avrà i tratti del colonialismo ottocentesco, ma economicamente risulta essere – nei fatti – coloniale e imperiale. E non è un caso che la crescente e massiccia presenza economica cinese in aziende europee e in settori tecnologici mondialmente strategici nonché il megaprogetto di Nuova Via della seta (in senso inverso a quella del passato) susciti interrogativi e preoccupazioni. Per finire, che l’America – con le sue 700 basi militari disseminate nel mondo e con la NATO al suo servizio e con una moneta che resta di riferimento nel mondo per settori economici strategici – fosse e rimanga una potenza imperiale è un fatto. E il progetto di rilancio della sua grandezza a livello mondiale su cui Donald Trump ha basato la propria campagna e le strategie economiche e militari nei confronti delle altre potenze è l’ennesima conferma di un nuovo quadro geopolitico mondiale che ha visto un riarmo e una ridefinizione degli equilibri mondiali fra imperi che possono contare su una enorme concentrazione del potere nelle mani dello Stato e dei nuovi sovrani che lo incarnano, nonché su nuovi formidabili mezzi per preservarlo, per controllare capillarmente i cittadini e rintuzzarne l’anelito di libertà e/o democrazia laddove la ragion di Stato lo richiede. In questo contesto, un’Unione europea incompiuta e tentennante, che perde pezzi e che oscilla fra la tentazione di rafforzare la concentrazione del potere statale unitario e la preservazione federale delle prerogative dei Paesi membri in forza del principio di sussidiarietà (e per di più destabilizzata da una politica transatlantica americana totalmente inaffidabile) rischia di fare la fine del vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. In tutto questo, le Nazioni Unite cosa fanno? Purtroppo, la nuova configurazione del contesto geopolitico qui descritta sommariamente è andata imponendosi malgrado l’ONU e il suo Consiglio di sicurezza, prigioniero della burocrazia e di rapporti di forza interni e dei suoi meccanismi di funzionamento (e veti incrociati) attuali. Spiace constatare che la capacità di incidenza dell’ONU (strumento unico e imprescindibile che la comunità internazionale si è data per uscire dalla barbarie del Ventesimo secolo), nella sua attuale forma e modalità di azione si riveli purtroppo assai ridotta e spesso esso risulti impotente. A fortiori mentre un nuovo e incontrollabile terrorismo di matrice islamica infierisce su Paesi, popoli e inermi cittadini destabilizzando ulteriormente gli equilibri internazionali.
Quanto tratteggiato spinge a credere che il Novecento non sia stato un secolo breve, ma che esso tenda piuttosto a prolungarsi nel secolo Ventunesimo. Se pensiamo alle premesse che hanno giustificato la Grande Guerra o che hanno sorretto le ideologie totalitarie – ovvero una concentrazione smisurata di potere nelle mani di Stati, di un partito unico e di un autocrate abbinata a nuovi mezzi tecnologici micidiali e apparati invasivi di propaganda e manipolazione – c’è motivo di urgente riflessione sui mezzi più adeguati per limitare sistematicamente il potere e diffonderlo il più possibile democraticamente anziché approfondire lo iato crescente fra classi dirigenti e cittadini, ceti abbienti e ceti meno abbienti, nonché ai modi più opportuni per garantire una vera libertà di espressione.