«Il modo migliore per iniziare è dire: Balthus è un pittore del quale non si sa nulla. Piuttosto guardiamo i suoi quadri». Non è questo l’invito di un critico ma è la provocatoria affermazione di Balthasar Klossowski de Rola, in arte appunto Balthus. Atteggiamento certo non privo di snobismo che ben si addice ad uno tra più aristocratici artisti del Ventesimo secolo, fedele unicamente alla sua sensibilità e per questo estraneo a tutti i rivolgimenti e le innovazioni delle avanguardie storiche. Un personaggio che ha fatto molto discutere l’opinione pubblica e ancor oggi divide la critica. Da una parte chi ha individuato in lui una delle figure più coerenti della pittura moderna, caratterizzata da una straordinaria raffinatezza di ispirazione e da una sublime tecnica pittorica, dall’altra chi ha sottolineato l’ambiguità e il carattere provocatorio delle sue figure, spesso giovani fanciulle, e una ripetitività nella scelta dei soggetti. La mostra, pur non eludendolo, non entra nel vivo di questo dibattito e si prefigge unicamente lo scopo di celebrare l’artista sottolineando il profondo rapporto di Balthus con la Svizzera che trova origini nell’infanzia del Maestro trascorsa tra Berna, Ginevra e, dalla metà degli anni Settanta, nella splendida dimora montana di Rossinière. Le oltre quaranta opere esposte consentono di approfondire la conoscenza sugli inizi di Balthus attratto ai suoi esordi, attorno alla metà degli anni Venti, dalla grande pittura italiana del Quattrocento: da Masaccio a Masolino e soprattutto a Piero della Francesca che l’artista di origini polacche eleva a suo mentore ideale. I loro affreschi vengono ripresi e studiati dal giovane pittore che poco a poco ne assimila l’eleganza, l’impaginazione, gli accostamenti tonali mai stridenti e resta affascinato dalla padronanza assoluta della tecnica, dal loro grande equilibrio. All’interesse per il Rinascimento si deve il ritorno di Balthus alla pittura di figura e alla tradizione. Una predilezione poco compresa dai contemporanei che quasi per sfregio lo definiscono “reazionario” e di conseguenza lo pongono in secondo piano rispetto ai più innovativi Matisse o Picasso.
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