Marie-Jeanne Bosia, come valuta le relazioni pubbliche, quale forma di comunicazione o interazione sociale, nell’era digitale di oggi rispetto a quella ‘analogica’ del passato?
«Sono molto diverse e credo che stiamo perdendo qualcosa di molto importante: il contatto umano. Oggi tutto ruota attorno al telefono cellulare, l’ubiquo dispositivo digitale tascabile che mi pare abbia preso il “controllo” su praticamente tutto ciò che facciamo – e siamo. Certo, il cellulare è indubbiamente utile per rimanere “connessi” ma, paradossalmente, questa connessione crea distanza, non fa uscire dalla propria “comfort zone” e impedisce, quindi, di conoscere veramente le persone con cui si interagisce o si vuole interagire».
Lei ha curato e pubblicato per diversi anni la rivista di Soroptomist. Ma anche una pubblicazione cartacea è un forma di comunicazione «distante»…
«Sì, ma è “diretta” e personale perché, come tutte le pubblicazioni periodiche in abbonamento, raggiungeva chi la voleva ricevere, garantendo così un certo “contatto umano”. In generale però, rispetto alle pubblicazioni digitali, i contenuti scritti su carta restano più impesse nella memoria, sono meno superficiali. Il digitale ha il vantaggio dell’immediatezza e dell’accessibilità, ovunque e praticamente sempre, ma tende a rimanere effimera, non sedimenta. Trovo fantastico quindi che ancora oggi si stampino così tanti libri – e sempre di più. È un buon segnale, direi».
Il «mestiere» delle PR è notoriamente basato sulle interazioni personali. C’è ancora spazio, nel paradigma digitale, per questa forma di contatto «analogico»?
«Certamente, anzi forse di più oggi rispetto a un tempo perché allora era forse “scontato” parlarsi di persona. Ho l’impressione che le persone oggi hanno paura del confronto diretto, quale conseguenza, come detto prima, della zona di conforto dalla quale il digitale talvolta impedisce di uscire. Questo “schermo di protezione” crea oltretutto un terreno fertile per le narrative o notizie false che alimentano i pregiudizi e per chi per mestiere si occupa di PR diventa ancora più difficile fare il proprio lavoro, che vorrei precisare non è da confondere con quello che fanno i gruppi o le organizzazioni d’interesse attive nel promuovere campagne mirate, perlopiù in ambito politico-istituzionale. Tornando al digitale, porterei ancora un esempio relativo a Soroptomist, che ha adottato un sistema gestionale che però ha un po’ preso il sopravvento, nel senso che le attività relazionali si stanno sempre più “subordinando” alla piattaforma informatica».
Quali auspici si sente di dare alle attuali e future professioniste e professionisti delle PR?
«Confesso che con i “nativi digitali” è difficile far capire l’importanza di approfondire, di uscire dal digitale e ogni tanto prendersi il tempo di sfogliare un giornale o una rivista. Penso che le informazioni giuste dovrebbero essere maggiormente “indirizzate”, incanalate in modo sicuro, di modo che possano raggiungere le persone e farle riflettere».