Una crisi, sia di natura umanitaria, economica o sociale, è un evento nefasto che nessuno vorrebbe vivere e che porta con sé perdita e sofferenza. Ma qui vogliamo soffermarci su uno dei pochi aspetti che possono essere considerati positivi: le crisi rappresentano per certi versi opportunità da cogliere.

Se si osserva una delle crisi più recenti, quella finanziaria del 2007-2009 (non perché sia stata la più importante, ma bensì quella più vicina alla nostra memoria e al nostro tema), ci accorgiamo che questa ha determinato la nascita di diverse tra le più grandi aziende – definite anche “unicorni” poiché hanno una capitalizzazione di mercato che supera il miliardo di dollari- che ancora oggi dominano la scena digitale: Uber, Airbnb, Slack, Dropbox, Instagram, solo per citarne alcune.

Sarà perché durante la crisi sono state sviluppate in tutta fretta delle nuove tecnologie rivoluzionarie?

No, non è proprio così. Molte delle tecnologie che stanno alla base di queste aziende erano già disponibili in precedenza, ma la crisi ha trasformato le condizioni quadro o, per meglio dire, i fabbisogni dei potenziali utenti, in modo da permettere il successo di queste iniziative e la loro veloce espansione. Il “timing”, ossia la tempistica di lancio di un’innovazione sul mercato, è stato spesso identificato come il fattore determinante per il successo di una startup, a fronte di altri aspetti più scontati quali la tecnologia, il team o il finanziamento.

Uno degli esempi più calzanti di aziende innovative “esplose” durante una crisi è quello di Uber, che annovera oggi oltre 100 milioni di utilizzatori ed è presente in più di 60 Paesi. Il suo successo non è infatti da ricondurre a chissà quale innovazione tecnologica, che si basa essenzialmente sulla rete internet già ben diffusa a quel tempo, ma a una concomitanza di fattori oggettivi e a nuovi fabbisogni: una grande presenza di veicoli fermi (con relativi costi fissi), la disponibilità di tempo libero dei rispettivi  proprietari che avevano perso il lavoro (diventati poi gli autisti) e la pressione al risparmio da parte dei fruitori di trasporti, data dalla crisi. Un perfetto “matching” per il quale la tecnologia è stata solo l’elemento intelligente di congiunzione.

La stessa logica può essere rapportata alla nostra crisi attuale, che vede apparire delle singolarità di eccellenza che sono state capaci di interpretare i fabbisogni del momento e di reagire con molta tempestività proponendo soluzioni adeguate. Tra gli esempi si possono citare la ticinese TIBIO Sagl che, sulla base di lieviti speciali sviluppati dalla startup vodese Levatura SA, ha fornito la ricetta per la produzione di alcool disinfettante da parte di Farma Industria Ticino, la startup bresciana Isinnova che ha trasformato una semplice maschera da snorkelling in un respiratore per malati COVID-19 e, non da ultima, la Humabs BioMed SA, una spin-off dell’Istituto di ricerca in biomedicina di Bellinzona, che ha identificato alcuni anticorpi monoclonali umani in grado di riconoscere e neutralizzare il SARS-CoV2, il virus responsabile del COVID-19. Innumerevoli poi sono quelle aziende, tra cui diverse anche ticinesi, che hanno riconvertito la loro produzione sulla base delle necessità attuali.

Nel contesto di questo periodo di crisi, emergono anche dei veri e propri acceleratori di idee, come l’hackathon VersusVirus -ossia una maratona online di 48 ore- organizzato per trovare idee e soluzioni innovative atte a risolvere le sfide del COVID-19. Un’iniziativa promossa da Impact Hub, partita dalla Germania poi replicata in Svizzera all’inizio di aprile, con il sostegno in Ticino da parte di Fondazione Agire e di molti altri partner del Sistema Regionale dell’Innovazione. Questa iniziativa ha visto la partecipazione di oltre 4’000 persone che si sono cimentate su temi tecnici, quali la riduzione della diffusione del virus o la gestione di ospedali, ma pure su aspetti psico-sociali della crisi, quali l’isolamento e la salute mentale, la famiglia e i bambini o il supporto all’arte e alla cultura. Tra i progetti più promettenti ci sono idee come un’app rilevatrice del coronavirus, una chatbot che offre una guida ai test, diverse soluzioni di e-learning flessibili per gli insegnanti o ancora un’iniziativa per scrivere delle lettere alla popolazione svizzera da leggere nel periodo successivo alla crisi.

Anche la Fondazione Agire ha osservato, durante la crisi COVID-19, un intensificarsi dell’attività di innovazione presso PMI e startup ticinesi. Sia questa dettata dallo sforzo di attivare fondi di sostegno tramite progetti, frutto di una strategia definita o semplicemente derivata dal maggior tempo a disposizione per “inventare” non è dato a sapere, ma rimane il fatto che abbiamo potuto riscontrare un aumento rilevante delle richieste di supporto all’innovazione durante questo periodo.

Ma, al di là della presente fase di emergenza, quali sono i cambi di paradigma che influenzeranno il futuro della nostra economia e del nostro vivere?

L’elemento dominante sarà quello relativo al distanziamento sociale. Non necessariamente una riduzione dei contatti sociali in sé, ma una trasformazione dei contatti da fisici a virtuali. C’è chi parla già di una “Low Touch Economy”, ossia di un’economia a basso contatto. Ne saranno impattate tutte le attività professionali e personali, soprattutto se caratterizzate da grandi assembramenti, oltre a quelle che per loro natura richiedono alti standard di igiene. Ciò riguarderà il nostro lavoro, gli sport di gruppo, gli eventi culturali, la gastronomia, il turismo, la salute e la cura del corpo e tutti i commerci in generale.

Ne uscirà trasformata anche la nostra mobilità individuale, influenzata da una maggiore diffusione del telelavoro e da un’accresciuta reticenza ad usare trasporti pubblici per evitare i contatti. Il fenomeno della digitalizzazione, se sin qui è stato un opzione, entrerà di prepotenza in pressoché tutte le nostre attività: vedremo comparire sempre più spesso il prefisso “e-“ (vedi e-health) e il suffisso “-tech” (vedi fashion-tech) nella nostra terminologia a denominare la trasformazione di processi fisici in virtuali o digitali.

I paradigmi della nuova società richiederanno dunque tutta una serie di nuovi prodotti e servizi innovativi e le startup, in questo contesto, hanno il grande vantaggio di lavorare con le nuove tecnologie, di avere una visione alternativa rispetto alle già esistenti PMI e di avere una struttura iniziale snella che consente loro di sviluppare in tempi brevi un nuovo business, cosa che le metterà in posizione di favore nello sviluppo e nella commercializzazione di nuovi prodotti.

Certo è che anche le startup esistenti, come le PMI, sono state toccate pesantemente dalla crisi, ma per ragioni diverse. Le startup vivono di cosiddetti “deal flow”, ossia di una successione di iniezioni di capitali da parte di investitori, che servono a coprire i loro costi correnti, la ricerca, i macchinari. Secondo lo Swiss Venture Capital Report, nel 2019 in Svizzera è stata investita la somma record di 2,3 miliardi di franchi in startup. Ma, purtroppo, neanche gli investitori sono immuni alla crisi e al momento si osserva, se non un blocco, un rallentamento importante dei finanziamenti. Fortunatamente esistono altre fonti di supporto per startup, per esempio quelle relative ai progetti o alle recenti misure di sostegno congiunte del Canton Ticino e della Confederazione nell’ambito della crisi COVID-19. Questi sostegni sono fondamentali, poiché sopperiscono appunto ai finanziamenti mancati e danno maggior fiducia ad investitori che si trovano in un momento di insicurezza. Sarebbe un vero peccato veder fallire iniziative che potrebbero in futuro, non solo contribuire, ma fungere da veri e propri motori del rilancio economico post crisi del Paese.

Una recente classifica sul grado di innovazione nei diversi Paesi, riferito alla crisi Coronavirus, promosso dal programma delle Nazioni Unite UNIAIDS in collaborazione con altre agenzie, ha piazzato la Svizzera al quarto posto, dietro soltanto a Stati Uniti, Canada ed Estonia, ma davanti a Paesi ben riconosciuti per le loro potenzialità d’innovazione quali Israele o Irlanda! Questo crea degli ottimi presupposti di competitività per un rilancio economico del nostro Paese sul piano internazionale.

In conclusione si può affermare che, malgrado il suo impatto devastante, una crisi porta con sé anche delle opportunità, ma dovranno essere aziende innovative e startup a saperle individuare, interpretare e convertire velocemente in offerte mirate di prodotti e servizi.