Solo quest’anno Igor Sibaldi ha pubblicato sei nuovi libri con le più importanti case editrici italiane. Oltre a scrivere, condivide le sue riflessioni illuminanti tramite conferenze e pièce teatrali. Dal 1997 si muove attraverso l’Italia e all’estero andando incontro al pubblico con conferenze e workshop. Eventi vibranti che spiazzano, trasformano, spingono fuori dal selciato della logica comune. Chi incontra Igor Sibaldi, in un modo o nell’altro ne uscirà trasformato. A suo agio con tematiche che toccano filosofia e storia delle religioni, psicologia, mitologia e filologia, storia della letteratura e teatro si può definire un uomo dalla curiosità vorace e traversale. Tra le pubblicazioni che sono state più apprezzate dal pubblico ci sono titoli come I maestri invisibili, sulle facoltà extratemporali della psiche, Il codice segreto del Vangelo, in cui offre una traduzione nuova con commento del Vangelo di Giovanni e poi ancora Il mondo dei desideri, sulla dinamica del desiderio; Eros, sulla possibilità di riattualizzare l’antica filosofia dell’amore. Nato a Milano nel 1957, Igor Sibaldi ha però origini russe ed è esperto di letterature slave. Per Mondadori infatti ha tradotto Guerra e pace di Tolstòj. Come già detto, scrivere non basta a soddisfare il suo moto espressivo e nel teatro trova un mezzo intrigante. È autore e regista di Francesco e i burattini e Dioniso, una pièce intima che sa sondare le profondità della vita in modo delicato… Uomo vitale, allegro e disponibile, ha acconsentito ad aprirsi ai nostri lettori parlando di se e del suo approccio al vivere. Lasciati ribaltare dalle sue risposte. Forse il talento principale di Igor Sibaldi è proprio quello di farci cambiare prospettiva, invitandoci a guardare il mondo da un punto di vista fresco, onesto e mai scontato.
Chi è Igor Sibaldi oggi, come ti presenteresti a qualcuno che non ti conosce?
«In alcuni miei libri ho descritto la mia antipatia per il verbo essere: penso che la maggioranza dei guai in cui una persona si possa trovare dipenda proprio dalla sua certezza di sapere chi sia. Non appena uno sa chi è, si ritiene in dovere di esserlo, e ciò limita le sue prospettive: si sente spinto a giustificarsi per com’è (se no, cambierebbe!), a proibirsi nuove opportunità, a fissarsi su certe sue idee (perché gli sembra che siano giuste per ciò che lui è). Così, uno che sa chi è si deprime, litiga facilmente, e annoia se stesso e gli altri, con la sua prevedibilità. Al contrario, è molto piacevole accorgersi di non sapere ancora abbastanza di se stessi. Tanto più che ognuno di noi può sempre diventare molto di più di quello che si è rassegnato a essere, e quel «molto di più» è il mio argomento prediletto. Perciò quando mi capita di intrattenermi con qualcuno che non mi conosce, preferisco di gran lunga fare domande, per vedere se per caso non mi suggerisce qualche nuova possibilità di pensiero, di scoperta, di azione.
Quale anelito ti ha spinto e tutt’oggi ti spinge alla tua scelta di vita professionale?
«Di sicuro c’è un’ingenua voglia di far nascere un tipo di pubblico nuovo. I libri che scrivo, le conferenze che faccio trattano di numerosi argomenti in un modo completamente diverso da come li si è trattati di solito: chi si mette a leggermi o ad ascoltarmi capisce subito che, per intendermi, deve cominciare a cambiare. E immaginare quei cambiamenti mi dà molto piacere e molta energia. Poco male se è un’ingenuità, dato che da una ventina d’anni sta funzionando. Poi c’è una mia necessità, che mi accomuna a un buon numero di scrittori e artisti: desidero scoprire, e riesco a compiere scoperte solo mentre mi rivolgo a qualcuno altro. Si vede che sono meno intelligente quando sto per conto mio. Credo sia una tendenza di carattere amoroso: gli innamorati migliorano molto quando sono in compagnia di chi amano. In loro, il «perché» diventa tanto importante quanto il «per chi». Così è per me».
Se si va al nocciolo di ciò che condividi attraverso libri, teatro e conferenze… cosa si trova?
«Spiacente, è una domanda che non fa al caso mio. I miei libri e le mie conferenze sono, in ogni frase, al nocciolo e al centro di ciò che ho da dire. Se avessi potuto esprimere più concisamente le mie idee, lo avrei fatto senza dubbio. Per esempio: quando parlo a un pubblico, mi piace fare battute e sentire che la gente ride. Ma in ciascuna battuta, anche nella più buffa, c’è un nocciolo, un centro, senza il quale la conferenza sarebbe incompleta. C’era una volta un imperatore cinese che comandò ai suoi geografi di disegnargli una buona carta della Cina. E dopo molto lavoro, i geografi e l’imperatore scoprirono che una buona carta della Cina sarebbe dovuta essere grande come tutta la Cina. Penso che lo stesso valga per qualsiasi libro che meriti di essere letto, o per qualsiasi discorso che meriti di essere ascoltato.
In questo momento storico quale urgenza interiore ed esteriore ti ispira?
«C’è, da qualche tempo, un’urgenza sia interiore ed esteriore che ispirerebbe chiunque se ne accorgesse: la nostra civiltà occidentale ha cominciato a scindersi in due correnti, una delle quali ha deciso di accontentarsi del mondo così com’è, mentre l’altra desidera intensamente un mondo nuovo. Da circa un secolo non succedeva in maniera tanto eclatante: dai tempi della grande emigrazione oltreoceanica. Purtroppo, queste scissioni durano sempre poco: tutt’a un tratto, chi si è avviato verso un mondo nuovo perde i contatti con chi è rimasto nel mondo vecchio, e chi è rimasto nel mondo vecchio non ha più né la forza né le occasioni per cambiare qualcosa della propria vita. In momenti simili è normale sentirsi spinti a mostrare al maggior numero possibile di persone i modi per desiderare di più, e per fare il balzo. E da questo punto di vista, dunque, mi sento molto normale, dato che la tematica su cui mi sto concentrando, in tutti i miei lavori, è proprio il mondo nuovo – che stavolta non è nelle Americhe, ma a portata di mano di chiunque, in ogni località».