E così, nonostante mi sia sempre comportato con senso di prudenza e responsabilità verso me stesso e gli altri, il Coronavirus decise di bussare alla mia porta, costringendomi a casa per un periodo di una decina giorni. Dopo una settimana però, l’istinto che solo una donna può avere, ha spinto mia moglie a farmi ricoverare, seppure io non volessi, al pronto soccorso della Clinica di Moncucco.

La sentenza non ha tardato a dare ragione a mia moglie e la diagnosi e il quadro clinico erano di quelli che uno spera non arrivino mai a toccarlo direttamente. Polmonite bilaterale, ossigenazione insufficiente, pressione e frequenza cardiaca a livelli preoccupanti e, intorno a me, lo sguardo di altre persone cercavano conforto in un ambiente e in una situazione che sembrava ormai disperata.

È in quel momento che inizi a fare i conti con te stesso e lo devi fare da solo, perché nessuna persona a te cara da quel momento si potrà più avvicinare. Ricovero immediato e urgente, ossigeno a litri, frequenti rilevamenti dei parametri vitali e su di corsa alla camera 504.

E sei solo, con te stesso, con i tuoi problemi personali e di salute, ai quali si aggiungono le altre incognite. Come starà mia moglie a casa da sola senza notizie, senza certezze. Io almeno in clinica ero circondato di attenzioni.

Poi i giorni sono passati e la fortuna ha fatto in modo che la mia salute migliorasse. Finalmente sono tornato a respirare in maniera autonoma e a poco a poco il buon impegno e lavoro mi hanno riportato a casa dopo 12 giorni interminabili e indimenticabili.

Tutto quel tempo trascorso a Moncucco mi ha marcato per sempre per motivi diversi, ma da un punto di vista umano posso dire che è stata una delle esperienze più emozionanti e gratificanti della mia vita.

Alla faccia di tutta questa umanità decadente che ricerca solo le uguaglianze, a Moncucco brillano le differenze. A Moncucco ogni persona che è venuta in contatto con me mi ha lasciato un dono prezioso.

Gente dall’Africa, dall’Asia, dal Sud dell’Italia, dai Balcani, frontalieri e ovviamente anche qualche svizzero. Ognuno di loro mi regalava un’attenzione, un sorriso, una parola di conforto, il racconto di un’esperienza, la storia di molte vite diverse dalla mia, ma per questo così arricchenti e straordinarie.

Certo a Moncucco c’è tanta competenza e il Dottor Garzoni coordina il suo staff con grande competenza, saggezza e giusto senso di spirito guida. Ma il tempo che queste persone mi regalavano perché capivano la mia situazione e la mia solitudine, ce l’hanno messo loro, nonostante i lunghi turni e nonostante la situazione di stress straordinario a cui sono sottoposti. Lo fanno perché sono persone che ci mettono il proprio impegno, la propria competenza e quel tocco di umanità che oggi più nessuno ti regala gratuitamente.

L’emozione e la gratitudine verso queste persone l’ho un po’ identificata, il periodo è proprio perfetto, con l’albero di Natale. L’albero è decorato con palle di forme e colori diversi, ghirlande di spessori e brillantezze diverse, luci più luminose e lampadine a luce calda. L’albero di Natale è bello proprio perché è la somma delle differenti cose che lo adornano e che danno il risultato decorativo finale.

Ecco la mia Moncucco, la mia stanza 504 e tutte quelle persone che mi sono state vicine. Ognuna ha brillato per la sua bellezza individuale, la sua personalità, la professionalità, per la sua cultura e per le proprie origini, trasformando la mia degenza in un’esperienza di grande umanità e vicinanza. Grazie di cuore Moncucco!