La crisi legata al Coronavirus e il susseguente lockdown hanno messo in primo piano la pratica della spesa online: praticamente tutti i grandi magazzini alimentari hanno attivato, se non lo avevano già, oppure implementato, un servizio di consegna a domicilio di quel che si acquistava tramite Internet. Una formula che è piaciuta, ma quale sarà il suo futuro? Il periodo di chiusura forzata ha portato a una modifica delle abitudini degli acquirenti ticinesi? Aspettando volutamente qualche tempo dopo la riapertura dei confini con l’Italia, abbiamo interpellato sul tema Enzo Lucibello, presidente della DISTI (l’associazione dei grandi distributori ticinesi, alla quale aderiscono le maggiori insegne della grande distribuzione e i centri commerciali per discutere e realizzare progetti comuni a sostegno dell‘economia e del commercio ticinesi, con oltre 300 negozi e i loro 6’000 collaboratori) e Lorenza Sommaruga, sua omologa in Federcommercio (che oltre alla grande distribuzione raggruppa anche alcune società di commercianti regionali, per un totale di circa un migliaio di negozi e 15mila collaboratori).
Per entrambi, l’esperienza della spesa online è stata positiva. «Ne hanno beneficiato soprattutto coloro che hanno avuto difficoltà di movimento, penso in particolare alle persone anziane», spiega Lucibello, riferendosi all’alimentare. «Un grande grazie va ovviamente al personale, che è stato paziente e ha fornito un servizio essenziale, perché se anche questo settore avesse dovuto chiudere, non ci saremmo potuto approvvigionare». Gli fa eco Sommaruga: «Ritengo che con questo metodo la grande distribuzione abbia potuto continuare a vendere, sicuramente il comparto alimentare è quello che ne ha beneficiato maggiormente. È stato utile anche per i medi e piccoli commerci che hanno un proprio ecommerce».
Lucibello sottolinea come molti nel suo capo manterranno il servizio, ciascuno articolandolo come meglio crede, mentre Sommaruga parla dell’accelerazione di una tendenza già in atto. «Le vendite online erano in continua crescita e sicuramente il periodo di lockdown ha segnato una velocizzazione del fenomeno. Ha fatto capire anche ai più restii come sia un metodo sicuro, pratico e veloce. Le realtà che non avevano un servizio ecommerce ne hanno risentito e vogliono certamente realizzarlo. Pensiamo ad alcuni brand, nella vicina Italia, che hanno addirittura chiuso le loro sedi perché riuscivano a vendere molto bene online».
Una realtà che è ben lontana da quella ticinese. «La spesa online non sostituirà mai quella in negozio, in particolar modo per la generazione di mezzo, mentre per i ventenni è un sistema di avere tutto a casa comodamente», analizza Enzo Lucibello. «Gli acquisti, quando si parla di cibo, vanno fatti anche con gli occhi, con il naso, con le emozioni, coi sapori». Per Sommaruga, «è impensabile immaginare un Ticino dove si acquisti solo online, la vendita tradizionale non potrà mai scomparire, significherebbe la fine di tutti i negozi al dettaglio. Comprare sul posto mette l’accento sul contatto umano, che è qualcosa di fantastico. Sono però convinta che si debba guardare anche all’altra soluzione, lo si doveva fare prima e ora il lockdown ha dato un’accelerata importantissima».
Il periodo di lockdown è combaciato con un momento in cui le frontiere erano chiuse. Ora che si può di nuovo effettuare la spesa, alimentare e non, in Italia, abbiamo chiesto ai nostri interlocutori un mini bilancio. «Una lieve differenza, in calo, si è sentita da quando si sono riaperte le frontiere», ammette Lorenza Sommaruga. «D’altra parte il periodo coincideva con la chiusura delle scuole, che segnano sempre un calo negli affari, con molta gente che è via per ferie. C’è invece un ottimo flusso di turisti. In generale, sono sicura che la gente abbia capito come si possa fare bene la spesa anche in Ticino, dove i prezzi sono allineati a quelli italiani da anni, evitando peraltro trasferte all’estero e code». Concorda Lucibello: «Non c’è stata una fuga verso l’Italia, il ticinese ha compreso quanto sia bello comprare da noi, senza fare chilometri e affrontare assembramenti. Nel nostro settore, quando era chiusa anche la ristorazione, abbiamo potuto saggiare il potenziale massimo del mercato: ovviamente, in una libera concorrenza, non possiamo aspirare a quello e non demonizziamo neppure chi va oltre frontiera per ragioni di portafoglio».
Tutti e due però desiderano che sia chiaro un punto: i soldi spesi in Ticino restano in Ticino, sotto forma di salari, di investimenti, di imposte. Puntava su quello la campagna “RiparTIamo, tutti insieme per un Ticino più forte” di Federcommercio, per esempio.
Per quanto concerne un eventuale secondo lockdown, che nessuno ovviamente si augura, Lucibello spiega come ogni azienda abbia fatto i suoi piani e come non esista un modo assoluto di comportarsi. Sommaruga è categorica: Non potremo permettercelo» e richiama alla responsabilità individuale. «Gli esperti dicono che in autunno il problema si ripresenterà, la responsabilità non può essere solo di alcuni settori, in un contesto come questo tutti dobbiamo fare quadro, restare uniti e cercare di contenere i danni. Dovesse avvenire una seconda chiusura, avrebbe impatti significativi sul commercio».
Sull’argomento leggi anche il parere di Lorenzo Emma, Direttore di Cooperativa Migros Ticino.