«È difficile costruire una carriera senza muoversi da casa e le opportunità non sono pianificabili. Coglierle quando si presentano significa saper abbandonare la propria zona di confort. Ai giovani dico: lavorate part-time se volete, ma non a una percentuale troppo bassa e siate lungimiranti sulle vostre rendite pensionistiche» (Ruth Metzler-Arnold).

Ruth Metzler-Arnold portava ancora l’apparecchio ai denti quando nel 1998 figurava fra i possibili candidati al Consiglio federale all’età di soli 34 anni. Designata l’anno dopo, soprannominata “la ragazzina” sotto la Cupola di Palazzo, la seconda rappresentante del PPD in governo accanto al collega Joseph Deiss, è stata la terza donna nella storia svizzera ad essere eletta nell’Esecutivo federale e fra i più giovani Consiglieri federali di tutti i tempi, preceduta, apparentemente, solo da Numa Droz nel 1875, allora trentunenne, e da Jakob Stämpfli nel 1854, che di anni ne aveva 34.

Fin dall’inizio e già prima di approdare a Berna, il ritmo della sua carriera politica e professionale è stato serrato. Giudice al Tribunale cantonale d’Appenzello Interno a 31 anni, Consigliera di Stato nello stesso Cantone e prima donna in assoluto ad ottenerne la carica a 32, fino al grande salto alla testa del Dipartimento federale di giustizia e polizia.

«Imparo in fretta» aveva detto con schiettezza disarmante appena giunta a Berna, lasciando di stucco i benpensanti della politica elvetica. Poi gli incarichi politici al livello più alto, dossier difficili, molte responsabilità, e – ma è storia vecchia – gli intrighi di palazzo e all’interno del suo stesso partito, che hanno contribuito alla sua mancata rielezione quasi cinque anni più tardi, lasciando la strada spianata a Christoph Blocher, quindi a due membri UDC nel Consiglio federale e alla sconfessione della tradizionale “Formula magica”.

Pensionata non ancora quarantenne dell’Esecutivo federale, Ruth Metzler si è poi dedicata all’insegnamento all’Università di San Gallo, in seguito è stata (ed è tuttora) attiva in importanti gruppi dell’economia privata, senza però perdere l’attaccamento alla questione pubblica e alla partecipazione in organizzazioni legate alla Confederazione, come Switzerland Global Enterprise, di cui è Presidente del Consiglio di amministrazione e la cui missione, su mandato della Segreteria di Stato dell’economia e dei Cantoni, è quella di promuovere le esportazioni e la piazza economica elvetica.

Il suo impegno per il Paese è stato dimostrato anche nella sua precedente funzione in qualità di Presidente della Fondazione per l’Aiuto Sportivo Svizzero e nella sua attuale presidenza della Fondazione Guardia Svizzera Pontificia.

Ruth Metzler-Arnold ha seguito un percorso atipico in quanto Consigliera federale. Ha infatti conquistato il seggio all’interno dell’Esecutivo del governo svizzero giovanissima e solo successivamente ha proseguito la sua carriera nel privato. Solitamente invece, il cammino è opposto. Si raggiunge il Consiglio federale dopo decenni di politica attiva, coltivando, a lato, un curriculum professionale ricco di solide esperienze.

Per molti versi, l’allora stella del firmamento popolare democratico, ha rappresentato dunque un unicum, un elemento sorprendente ancora oggi, in quanto giovane, donna, formatasi nelle fila di un partito conservatore e cresciuta politicamente in un cantone ancora più conservatore come Appenzello Interno.

Riguardando i filmati dell’epoca, sia prima dell’elezione a Berna, sia dopo essere stata catapultata nell’arena della politica dei grandi, la giovane Ministra colpisce per l’inossidabile sicurezza in sé stessa, la franchezza che alcuni tacciarono – si immagina per associazione all’età – di irriverenza.

La pupilla del Consiglio federale dell’epoca non perse il sangue freddo nemmeno quando, a malincuore e con presumibile delusione, si congedò dall’Assemblea federale dopo la sua non rielezione. Di fronte al Parlamento svizzero, il quale nelle immagini d’allora sembra essere composto quasi unicamente da uomini e, nello specifico, da uomini maturi (nel 2003 la quota femminile all’interno dell’Assemblea federale non raggiungeva il 25%), Ruth Metzler tenne un discorso pieno di dignità, di ringraziamento per l’esperienza eccezionale che aveva avuto il privilegio di vivere, senza l’ombra di asprezza, senza lasciarsi andare a qualche parola piccata o a facili emozioni. In poche parole: nervi d’acciaio, a dimostrazione che Consiglieri federali si diventa, seppure giovani, donne e con poca esperienza, a dispetto di chi, ancora oggi, pretende di sostenere il contrario. Infatti, nella Consigliera federale Metzler si intravvidero già allora molti tratti distintivi delle generazioni seguenti: la volontà di imparare ininterrottamente, la voglia di bruciare le tappe, la ricerca costante di stimoli, il rifiuto di dogmi secolari e vetusti, la ferma fiducia nelle proprie capacità, la libertà di dire ciò che si pensa e di fare ciò che si ritiene giusto.

È stata quindi spontanea la domanda scherzosa che le abbiamo posto durante l’intervista che ci ha concesso per parlare di lavoro, giovani, prospettive e nuovi paradigmi professionali e cioè se considerasse di essere stata in un qualche modo una millennial vent’anni prima dei millennial attuali.

«Non credo alle definizioni attribuite alle generazioni. Ci sono infatti molti studi scientifici che dimostrano come i concetti di pazienza, impazienza, predisposizione al rischio, e così via, siano rimasti stabili nel corso degli ultimi trent’anni. Inoltre, io avrei potuto rappresentare quasi l’antitesi della figura dei millennial, se consideriamo solo le accezioni negative che si attribuiscono a questa specifica generazione. Ho sempre amato lavorare e lavorare molto e l’equilibrio fra sfera privata e attività professionale era, ed è, quello che io consideravo giusto per me stessa e non quello che qualcun altro poteva volere. Rispetto le scelte delle giovani generazioni, lavorare meno, guadagnare meno, privilegiando il tempo da dedicare a sé, ma come tutte le scelte è necessario assumerne anche le responsabilità e accettarne le conseguenze».

Parlando appunto di lavoro: lei oggi è Presidente dell’organizzazione Switzerland Global Enterprise e quindi in contatto diretto con il mondo imprenditoriale e professionale. Qual è la sua opinione in merito al mercato del lavoro svizzero, ai suoi cambiamenti e al ruolo ricoperto dai giovani in questo senso?

«Il mercato del lavoro è cambiato nel corso del tempo. Oggi è in grado di offrire opportunità diverse ai lavoratori e quindi anche le possibilità di questi ultimi sono mutate. In questo contesto, i dipendenti, e nello specifico i giovani, desiderano un impiego con uno scopo che li rappresenti, oltre a maggiore flessibilità da parte delle imprese, poiché considerano il loro tempo personale un bene equivalente, se non superiore, al salario e ad altri incentivi.

Queste dinamiche sono da ricondurre ad una mancanza di forza lavoro qualificata e ad un tasso di disoccupazione molto basso [secondo la SECO, nel 2022, il tasso di disoccupazione in Svizzera è sceso a una media annua del 2,2%, il più basso degli ultimi due decenni, NdR], i quali incoraggiano i professionisti ad avanzare le proprie richieste, come l’impiego a tempo parziale o il lavoro da remoto.

Le attuali condizioni economiche del mercato del lavoro stimolano fenomeni di rottura con il passato, come appunto la rivendicazione a lavorare meno per dedicarsi alla famiglia o ai propri passatempi. Sono fermamente convinta che l’elemento chiave in questo tipo di negoziazione sia la ricerca di equilibrio, non solo fra datore di lavoro e dipendente, ma tenendo presente anche i bisogni dei clienti o potenziali tali. Inoltre, è importante ricordare l’impatto avuto della pandemia sulla sfera professionale. Infatti, il Covid ha spinto molti, e soprattutto i giovani, a ragionare sul senso del proprio impiego e della propria carriera secondo un quadro di pensiero più ampio. Switzerland Global Enterprise, per esempio, si dimostra molto attenta verso questo tipo di richieste, quali il lavoro flessibile o parziale, senza dimenticare il valore dato alla cultura aziendale.

Tutti si danno del tu e anche il lavoro da casa non viene imposto dalla direzione, ma discusso e deciso a livello delle équipe. Tutto questo per sottolineare come le esigenze dei dipendenti vengano accolte, senza però trascurare anche quelle dei clienti.  Personalmente sono a favore del lavoro da remoto, ma non nell’assoluto. Il lavoro da casa andrebbe organizzato durante certi periodi oppure secondo dei giorni precisi, anche perché, e di questo sono certa, è difficile costruire una carriera senza muoversi dalla propria abitazione.

Allo stesso tempo, sono una sostenitrice del tempo parziale, ma consiglio di non prediligere mai delle percentuali troppo basse. Quest’ultime, infatti, non solo generano costi aggiuntivi sproporzionati per le aziende, ma anche insoddisfazione fra i colleghi, che spesso vedono ricadere su di loro una maggiore mole di lavoro».

Come valuta la condizione di impiego e le opportunità professionali riservate alle donne nel nostro Paese?

«Quanto menzionavo a proposito delle basse percentuali di lavoro si riferisce soprattutto alle donne, le quali, tendenzialmente, sono impiegate part-time durante la maternità. Al fine di incentivare una maggiore presenza femminile sul mercato del lavoro, partecipo al comitato d’iniziativa a favore dell’imposizione fiscale individuale, uno degli elementi necessari per aumentare il tasso di occupazione femminile. Infatti, in un regime di imposizione individuale e non cumulativo, come nel caso di una tassazione di coppia, il maggior reddito aggiuntivo risultante non sarebbe immediatamente assorbito dalle imposte a causa della progressione fiscale.

Un sistema d’imposizione individuale indipendente dallo stato civile costituirebbe non solo un modello giusto e moderno, ma anche un’incitazione finanziaria appropriata nei confronti delle donne e degli uomini, sia per coloro che già lavorano a tempo parziale, favorendo un innalzamento del tasso di occupazione, sia per coloro senza attività professionale, che sarebbero incitati a rientrare nel mondo del lavoro».

Eletta prima in Consiglio di Stato ad Appenzello Interno, poi in Consiglio federale come terza donna nella storia del governo svizzero ad un’età molto giovane, lei ha rappresentato una figura di riferimento per le donne e per i giovani e un elemento di rottura con la politica elvetica osservata fino a quel momento. Che impressione le suscita riguardare la Ruth Metzler di allora sotto la Cupola di Palazzo federale?

«La mia vita politica e professionale ha seguito un tracciato che trent’anni fa non avrei mai potuto immaginare. Quando mi sono sposata con il mio primo marito pensavo che avrei avuto una famiglia con dei figli e che entrambi avremmo lavorato a tempo parziale per suddividerci i compiti che la genitorialità comporta. Le cose sono andate diversamente.

Il mio desiderio di imparare e di arricchire continuamente le mie competenze non si è mai esaurito e ho sempre colto le opportunità che si sono presentate immediatamente, sapendo che avrebbero potuto non ripresentarsi una seconda volta. Tutto questo mi ha forgiato, rendendomi coraggiosa e il mio percorso si è fatto chiaro molto velocemente.

Un altro tratto che contraddistingue sia il mio carattere, sia il mio modo di agire è certamente la resilienza, peculiarità che possiedo da sempre, forse perché, fin da giovanissima, ho praticato atletica, abituandomi presto alla competizione, a vincere qualche volta, ma anche a perdere e a seguire una certa disciplina sportiva.

Quando sono entrata a far parte del Consiglio federale ero cosciente di essere stata eletta con un risultato molto risicato ed ero altrettanto consapevole del fatto che se una persona raggiunge una certa posizione, sia essa in politica oppure nel mondo aziendale, si tratta sempre di un concorso di circostanze. In veste di Ministra non ho mai perso di vista il fatto di ricoprire una carica istituzionale e quando mi capitava di ricevere dei complimenti o si lodava il mio operato sapevo che questi erano indirizzati alla funzione, non a Ruth Metzler-Arnold. Lo stesso vale anche in senso contrario, quindi per dei commenti negativi oppure delle considerazioni critiche verso le iniziative politiche».

Cosa consiglia ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro o che ambiscono a crescere professionalmente e/o politicamente?

«In una prospettiva a lungo termine è importante scegliere un lavoro che piaccia, a cui si trovi un senso e che offra, possibilmente, un buon compromesso fra vita professionale e vita privata. Inoltre, nell’ideale, lavorare a stretto contatto con persone ispiranti e pronte alle sfide è certamente stimolante ed arricchente.

È altrettanto vero che la vita non propone sempre delle condizioni perfette e dei percorsi professionali agevoli e semplici. I momenti duri esistono e quando si presentano non si può semplicemente rinunciare. A mio parere è fondamentale abbandonare la zona di confort se si desidera avanzare nella propria vita professionale.

In generale, consiglio ai giovani di cogliere il maggior numero di sfide all’inizio della loro carriera e di investire in una ampia formazione. A coloro che svolgono professioni a tempo parziale raccomando di guardare oltre e di pensare al proprio futuro pensionistico che con una percentuale lavorativa troppo bassa potrebbe non essere sufficiente. In particolare, incoraggio le donne ad assicurarsi il più possibile un’indipendenza finanziaria, la quale, nella maggior parte dei casi, si raggiunge attraverso un’attività professionale.

Ad entrambi, uomini e donne, se in coppia e con dei figli, suggerisco di conciliare famiglia e carriera senza sacrificare le ambizioni professionali dell’uno o dell’altra. Ciò detto, è giusto comunque ricordare che esistono numerose coppie che non hanno la possibilità di scegliere di lavorare meno, poiché dipendono da entrambi i redditi».