Di Patrizia Peter Pedevilla

Trovare un momento nell’agenda di Silvio Tarchini è praticamente impossibile, anche perché la sua vita lavorativa è fatta di imprevisti, di viaggi e… di un’assistente capace di concatenare un appuntamento dopo l’altro con una flessibilità invidiabile. Comunque dopo tre tentativi ho un appuntamento ed eccomi nei suoi uffici. Dieci minuti dopo entra, puntuale, elegante, pantalone blu scuro e camicia bianca. Mi accoglie con un sorriso e un’energica stretta di mano. Abituato a parlare di lavoro inizia subito a raccontarmi dei suoi progetti futuri…

«Volevo mostrarle qualcosa che stiamo facendo qui vicino (ci troviamo al Centro Galleria 3 di Manno), sarà una cosa nuova, l’abbiamo soprannominata Galleria Casa e sarà un’esposizione permanente di mobili, apparecchiature per la casa, pavimenti, illuminazioni… ogni ditta avrà un suo stand e così chi è interessato a riattare o costruire una casa, potrà avere una panoramica generale degli artigiani locali senza perdere tempo ad andare prima da uno poi dall’altro. L’apertura è prevista per settembre. Ma non è tutto! (Orgoglioso). A 200 metri da qui stiamo anche creando un garage per auto di epoca, auto di lusso e sportive, 80 posti, pensato per chi vuole depositare in tutta sicurezza il suo veicolo».

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Incredibile, non state mai fermi…

«Questo (apre un altro dépliant) è un terreno di famiglia, una comunione ereditaria di mia nonna. Lo sto trasformando in una tenuta dal sapore toscano: come vede c’è una villa principale e qui (mi indica la proprietà) 17 appartamenti residenziali. La chicca è la vista sul vigneto, l’ho affittato per garantire del verde al complesso».

Penso sempre che lei sia di Lugano, ma la sua famiglia è originaria del Mendrisiotto…

«Si, sì, sono attinente di Balerna. Mio nonno è stato sindaco di Balerna per oltre 20 anni, però io effettivamente sono nato e vivo a Lugano».

Non volevo iniziare parlando di lavoro, ma visto che siamo in tema continuiamo. Dal suo entusiasmo intuisco che la lista non è terminata…

(Sorride). «Effettivamente… a Bironico stiamo facendo un nuovo stabile che accoglierà numerose ditte, quello che è interessante è che sia il pian terreno sia il primo piano sono direttamente raggiungibili con i camion. Abbiamo poi un nuovo centro logistico di 15.000 metri quadrati a Magadino. Un altro progetto di cui sono molto soddisfatto, perché ho appena ricevuto i permessi di costruzione, è quello di creare un Park and Ride alla stazione FFS di San Martino, Mendrisio, 800 posti auto che serviranno sia ai pendolari, sia a chi vorrà accedere al Fox Town durante il fine settimana. Creeremo infatti un collegamento che, dalla stazione ferroviaria, passando per il parcheggio, porterà direttamente al nostro outlet».

Resto senza parole, ma scusi riesce ancora a dormire la notte con tutti questi progetti per la testa?

«Sì, sì, riesco a dormire».

Restiamo a Mendrisio. Il Fox Town, va detto, è uno dei suoi gioielli, e tra poco cambierà anche facciata. Mi parla però di altri parcheggi quando il Ticino ha recentemente deciso di tassare i grandi generatori di traffico…

(Riflette). «Il popolo ticinese ha deciso di accettare la tassa di collegamento e io, è vero, ne sarò direttamente colpito perché ho 3600 parcheggi. Facendo due calcoli dovrei pagare all’incirca 2,6 milioni di franchi di tasse in più. Quindi può immaginare che questa decisione non mi faccia piacere. Certo potrei aumentare il costo dei parcheggi che affitto, ma il problema è che molti dei contratti di affitto sono a lunga scadenza, con ditte importanti, e dunque ho le mani legate. Vorrei anche aggiungere che questa tassa, pensata per incentivare gli automobilisti ad utilizzare i mezzi pubblici, realmente non colpisce gli utilizzatori dei parcheggi, ma i proprietari che nel loro calcolo di reddito devono conteggiare il reddito dello stabile e anche (lo sottolinea) quello dei parcheggi! Comunque il ricorso è già partito, non è ancora finita».

Lei è un uomo che non si arrende mai e che ama concretizzare a corto termine i propri piani. Era così già da piccolo? 

«No (si ferma un attimo) ero un bambino… normale, forse un po’ birichino. Non avevo sogni particolari, tutto è capitato per caso. Ero ancora al liceo quando mio nonno, che aveva delle ditte di legname a Lugano, è mancato. A quel punto la mia famiglia mi ha chiesto di andare avanti con le attività. Come può immaginare ho accettato, ho smesso il liceo e sono andato prima alla Scuola di commercio poi al Technicum di Bienne per conseguire il diploma di direttore nel settore del legno. Finiti gli studi sono andato a studiare l’inglese in Inghilterra e poi sono tornato in Ticino. Dopo tre mesi mi sono reso conto che era una realtà che non faceva per me».

Posso immaginare. Una realtà troppo piccola per un giovane che sicuramente nutriva grandi ambizioni, anche se probabilmente non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi dove lei è oggi…

«Effettivamente (sorride)… il problema era che non c’era aria di innovazione, c’erano dei concetti vecchi e mancava la volontà di cambiarli. Per questo sono andato a Milano e ho iniziato a lavorare in una ditta che vendeva e produceva macchinari per la lavorazione delle materie plastiche. Ci sono stato circa due anni, era un settore che mi intrigava e sentivo che c’era del potenziale. Nel 1967, avevo 23 anni, grazie ad un po’ di soldi che avevo ereditato da mio nonno ho comprato la mia prima ditta in Ticino e ho iniziato a produrre film per l’imballaggio di PVC, ero il primo in Svizzera. Gli affari andavano bene, e ho conquistato una parte del mercato del nord Europa. Ero in una situazione ottimale, ma volevo cambiare; nel 1975 ho venduto la ditta, ero già sposato e avevo già le mie figlie, e decisi, con mia moglie, di fare il giro del mondo. Volevo guardarmi un po’ in giro e trovare nuovi spunti. Durante questo viaggio ho acquistato due case nel centro di Buenos Aires. La faccio breve: nel 1977 siamo andati tutti a vivere a Buones Aires e ci siamo restati fino al 1981 per seguire la costruzione di un importante edificio. Al termine dei lavori però avevo realizzato che l’Argentina non era una terra così facile, c’erano i militari e l’inflazione era al 170%. Il costo della costruzione era ingestibile, bisognava lavorare anche di notte ed era basilare non fare debiti perché il pesos continuava a svalutarsi rispetto il dollaro, mentre i costi di costruzione aumentavano. Alla fine ho venduto bene il palazzo e siamo rientrati in Ticino».

Ho letto numerose sue interviste, però quando la sento parlare sembra che tutto quello che ha fatto sia stato facile, ma non lo è stato, soprattutto perché non era solo nei vari spostamenti… 

«La mia fortuna è stata quella di avere una moglie con una grande flessibilità. Mi ricordo quando ero stato in Argentina la prima volta, lei non era venuta, rientrato in Ticino le dico: “Ho acquistato una bella proprietà a Buenos Aires e vorrei edificare un nuovo palazzo”. Il tempo di chiudere casa e siamo partiti, con tre figlie piccole, senza conoscere nulla, senza avere una casa».

Mi dica, so che non parla molto della sua vita privata, ma come ha conosciuto sua moglie?

«Mia moglie l’ho conosciuta durante il mio soggiorno linguistico in Inghilterra, frequentavamo la stessa scuola».

È stato un colpo di fulmine?

«Sì (sorride) e l’anno prossimo festeggeremo i 50 anni di matrimonio, dovrebbero essere le nozze d’oro o di diamante?».

Non si lamenta che lavora troppo?

«Devo dire che negli ultimi anni faccio molte più vacanze, anche se non stacco mai, sono sempre raggiungibile sul cellulare o via e-mail».

Visti i suoi mille progetti non oso neanche chiederle se pensa alla pensione…

«Si figuri, non ci penso ed anche se ci pensassi sono fortunato perché ho tre figlie, soprattutto Giorgia, che mi aiutano moltissimo e che un giorno sapranno prendere il mio posto».

Ma non è difficile lavorare in famiglia?

«È qualcosa che riesco a gestire, quando smetterò Giorgia prederà il mio posto affiancata dai miei fidati collaboratori, Alessandra continuerà ad occuparsi del personale e dei ristoranti, mentre Nadia, che ora ha 4 figli, si occuperà della supervisione del Fox Town».

Quando una famiglia ha un impero come il suo si pensa sempre all’erede maschio per portarlo avanti, lei ha tre femmine…

«No, maschio o femmina per me non cambia nulla. Ho fiducia nelle mie figlie, sono giovani e sanno usare i nuovi mezzi tecnologici».

Posso immaginare che lei sia stato un padre molto impegnato, lo è anche come nonno? 

«Mi piace essere nonno, pensi ho ben 8 nipoti! Ieri mattina, per esempio, ho giocato a tennis con due di loro e nel pomeriggio, con i due più grandi, sono andato al golf. Negli anni ho imparato a prendere del tempo per me e per la mia famiglia».

I nonni sono una figura importante per i giovani d’oggi, hanno la pazienza e il tempo di insegnare loro molte cose e magari motivarli visto che ci sono ragazzi, purtroppo, che non hanno voglia di studiare, ma neanche di lavorare… 

«Forse è un po’ colpa della nostra società. Penso ai genitori di origini modeste, che però guadagnano bene e credono di soddisfare i bisogni dei figli dandogli soldi. È sbagliato! I figli devono sapere che è difficile fare una carriera, è duro guadagnare, solo così conosceranno il vero valore del denaro.  A due dei miei nipoti, che hanno 12 e 11 anni, l’altro giorno ho chiesto cosa vorrebbero fare da grandi. Come spesso capita a quell’età non lo sanno e non ho avuto una risposta, allora siamo andati per esclusione: medicina no, questo no, l’altro no, non è importante sapere ora cosa faranno, quello che è fondamentale è studiare almeno fino alla maturità. La mia seconda nipote inizia a settembre l’università (orgoglioso). Anche qui da noi viene a lavorare solo chi è formato. Aggiungo pure che i giovani d’oggi sono svegli, hanno un grande potenziale. Io lo vedo subito: c’è chi si impegna dal primo giorno e c’è chi invece non ha voglia di fare e non arriverà da nessuna parte».

Torniamo alla sua gioventù, quando siete rientrati dall’Argentina. Immagino che aveva già pronto un piano B…

«Sono fatto così (sorride). Quando ero in Argentina avevo comprato dei terreni a Mezzovico e avevo costruito degli stabili industriali, tornato ho deciso di dedicarmi a questo. Ho creato un ufficetto a casa, ho preso una segretaria a metà tempo e ho ricominciato la mia vita lavorativa … ora ho una ventina di stabili».

E 180 dipendenti. Non si può dire che di strada non ne ha fatta anche perché è entrato nella classifica degli uomini più ricchi della Svizzera, qual è il suo rapporto con il denaro?

«Mi è stato insegnato il valore del denaro, non mi piace buttare via i soldi ed anche le mie figlie hanno rispetto, come i miei nipoti. Il denaro va guadagnato, ho lavorato una vita».

Per arrivare dove è ora ci vuole una dote particolare, fortuna? In poche parole come ha fatto? 

«Io sono partito da un presupposto: non c’è tanto da inventare, almeno per le mie doti, dunque ho imparato a guardarmi in giro, a me piace andare a curiosare, informarmi, prendere spunti da portare qui in Ticino e adattarli alle nostre esigenze. Per questa ragione penso che non ci vogliono doti particolari, ma voglia di viaggiare, osservare. Ad esempio quando avevo la prima ditta mi ero accorto che in Ticino mancavano superfici industriali e non c’era niente da affittare o acquistare, per questo mi è venuta l’idea di creare grandi spazi industriali. Ho aziende che hanno iniziato affittando 500 metri quadrati ed ora ne hanno 3000, non tutti gli imprenditori hanno voglia di cercare un terreno, comprarlo, chiedere i permessi e costruire. Molti di loro inizialmente non hanno neanche i soldi».

Ha avuto la fortuna di avere una famiglia unita, sempre pronta a sostenerla, ma quando si è un uomo di potere esistono le vere amicizie?

«Sono amicizie che si creano tra colleghi di lavoro. Ma più si va avanti, anche sul lavoro, si diventa selettivi, supponiamo che mi presentano un potenziale cliente e non mi piace… lascio subito perdere, così con le amicizie. Devo dire che però non sento troppo opportunismo attorno a me».

Lei è stato spesso definito un padre-padrone e lo ha sempre ammesso, una forza nella sua società?

«Si dice sempre: comandare, coordinare e controllare, non bisogna mai dare nulla di scontato e lo continuo a ripetere anche alle mie figlie. Io cerco di controllare tutto, anche sui cantieri, lo ammetto. Sul lavoro non ho mezze misure e non sono flessibile, le cose devono essere fatte bene. Mi danno fastidio le persone che dicono bugie, tipo l’ho fatto e non lo hanno fatto…».

Lei è molto affezionato al Ticino, da imprenditore cosa farebbe per migliorare la situazione economica di un Cantone che deve far fronte ad un momento congiunturale difficile?

«Forse il Ticino si è addormentato, le cose sono andate bene per troppi anni. Le banche andavano bene, il turismo, l’immobiliare. Il promovimento economico deve darsi una mossa, bisogna partire definendo che tipo di ditte vogliamo ospitare e poi andare all’estero a cercare queste società. Penso ad esempio ad una fiera come la Mapic di Cannes dove sono presenti tutte le nazioni che si autopropongono come location. Il Ticino non ci è mai stato, ma perché? Al giorno d’oggi ci sono grandi ditte che portano migliaia di posti di lavoro e che sono alla ricerca di nuovi Paesi. Sono convinto che abbiamo un grosso potenziale, ma non lo stiamo sfruttando».

Il suo motto?

«Agire! Le cose non ti arrivano addosso senza fare nulla. Questo vale per le persone ma anche per le città e le nazioni. Il Ticino dovrebbe avere una politica fiscale più attrattiva e smetterla di lamentarsi. Quando sento chi si lamenta dei frontalieri mi chiedo: cosa faremmo senza di loro?».

Silvio Tarchini ha un tono acceso, come chi parla di qualcosa cui tiene molto, il Ticino, la sua terra, le ingiustizie che vive quotidianamente. Mi racconta di aver fatto un colloquio ad una ragazza e di aver scoperto che questa, in un’altra ditta del Mendrisiotto, guadagnava 1700 franchi al mese, perché frontaliera. Una piaga per Tarchini, il quale punta il dito verso chi si sta approfittando di questa situazione, guadagnandoci.