Alan FriedmanAlan Friedman, come giudica lo stato attuale dell’assetto politico mondiale e quali sono le principali sfide che ci attendono nei prossimi anni?

«Nel mio ultimo libro La fine dell’impero americano (La nave di Teseo, 2024), ho cercato di spiegare come oggi sia necessario partire da una situazione di nuovo disordine globale, ogni giorno più pericoloso e instabile, in cui autocrati come Putin e Xi Jinping sfideranno sempre più a viso aperto le democrazie occidentali. Ma, per contro, sull’altra sponda dell’Atlantico è evidente il vuoto di potere determinato dall’indebolimento della guida a stelle e strisce, consegnandoci con la presidenza di Donald Trump un paese diviso come mai prima era accaduto: di conseguenza dovremo affrontare nei prossimi anni gli effetti del Nuovo Disordine Mondiale che metteranno alla prova i valori dell’Occidente, in America come in Europa. Il destino dell’una determinerà quello dell’altra, e del mondo intero».

In che modo ritiene che gli Stati Uniti, dopo l’elezione di Donald Trump, stiano affrontando le questioni politiche interne e le nuove dinamiche geopolitiche internazionali?

«Ho più volte espresso le mie perplessità, per usare un eufemismo, nei confronti di Donald Trump e del suo entourage, formato per lo più da yes-man che fanno affari sfruttando la loro vicinanza politica e l’amicizia con l’attuale presidente. L’intreccio di affari e politica è il sintomo di un malessere che spacca la società americana da decenni I danni già apportati alla democrazia americana sono evidenti e temo saranno necessarie più generazioni per eliminarne le scorie che si vanno accumulando».

Qual è la sua opinione riguardo alla crescente influenza della Cina nel panorama mondiale e quale crede che potrà essere l’evoluzione delle guerre commerciali in atto?

«La strategia del Liberation day di Trump consiste nel raddoppiare i dazi sventrando le istituzioni scientifiche nazionali e la forza lavoro che stimolano l’innovazione americana. La strategia di liberazione della Cina è aprire un maggior numero di centri di ricerca e puntare sull’innovazione guidata dall’IA per essere definitivamente libera dai dazi di Trump. Il messaggio che la Cina manda al mondo è questo: non abbiamo paura di competere in ogni campo dell’economia e della politica».

Quali potrebbero essere le conseguenze a breve e lungo termine del conflitto tra Russia e Ucraina per l’Europa e il mondo?

«Il problema di fondo resta quello di capire quali  sono gli obiettivi e i limiti che Putin intende porre alla propria azione. Un dato certo è che l’America manda segnali inequivocabili circa un suo progressivo disimpegno sullo scacchiere europeo. Di conseguenza l’Europa deve totalmente rivedere le sue strategie, ma per ora, al di là delle dichiarazioni d’intenti, non si vedono azioni concrete che possano alterare gli equilibri di forza esistenti».

Cosa l’ha portato a scegliere di vivere prima in Toscana e ora a Lugano e quali aspetti della cultura e della vita ticinese la affascinano maggiormente?

«Mi ritengo un uomo fortunato perché se è vero che trascorro un elevato numero di giorni in giro per il mondo posso poi godere del privilegio di soggiornare in alcune tra le zone più belle e accoglienti al mondo. Della Toscana ho sempre apprezzato la cultura, l’arte, il paesaggio, la ricerca del bello che si ritrova anche nelle piccole cose. Da qualche tempo mi sono trasferito a Lugano e devo dire che questa terra mi continua a stupire per quanto offre in termini di sicurezze, privacy, qualità della vita: il posto ideale per prendere le necessarie distanze dal disordine e dall’aggressività della società contemporanea».

In un’epoca in cui la disinformazione è così diffusa, quale pensa sia il ruolo dei media nel plasmare l’opinione pubblica?

«Partiamo da una necessaria premessa. In America il 70% e in Europa il 50% delle notizie passano attraverso i social media. Questo significa che è ormai venuto meno uno dei requisiti fondamentali dell’informazione, e cioè che è indispensabile esercitare un rigido controllo sull’attendibilità delle fonti da cui provengono le notizie. I giornali, almeno quelli più prestigiosi, offrono questa garanzia, mentre invece sulla rete ognuno sembra essere autorizzato a pubblicare ciò che ritiene più opportuno e questo determina la proliferazione delle fake news. Le false notizie quotidianamente pubblicate sulle guerre in corso sono un eloquente esempio della disinformazione ormai dilagante».