Il documento presentato ufficialmente ad ottobre dall’AITI, e approvato dall’assemblea straordinaria dell’Associazione, propone un aggiornamento di quanto già anticipato qualche mese fa. Il progetto è stato rivisto e discusso con una sessantina delle oltre 200 imprese associate ad Aiti, chiamate a rispondere a un questionario di 138 domande. Il risultato finale è un documento di 100 pagine, suddiviso in 6 capitoli con argomenti che spaziano dalla formazione scolastica, alla cultura d’impresa, alla fiscalità e competitività del territorio fino alle sfide che il mercato del lavoro dovrà affrontare nei prossimi anni.

Perché avete scelto di dare a questo documento l’orizzonte temporale del 2032?

O.P.: Siamo fortemente convinti che i prossimi 10 anni saranno di rilevante importanza, per definire i futuri assetti economici e sociali, garantendo crescita economica e benessere della popolazione. Si tratta di un documento di lavoro che deve essere oggetto necessariamente di approfondimenti. Non si rivolge solo alle istituzioni e alla politica, bensì anche alle imprese. Alle quali spetta promuovere la cultura d’impresa e l’essere imprenditore. Tra gli elementi cardine alla base del Piano strategico, vi è la necessità di mantenere in Ticino una solida base produttiva: è una carta vincente. Perché senza produzione non ci sono servizi».

Le imprese hanno manifestato la preoccupazione di non avere le risorse necessarie per far fronte alle sfide…

S.M.: «Se volessimo quantificare gli investimenti secondo quanto stilato, le somme sarebbero davvero ingenti. Si parla di cifre comprese tra i 200 e i 500 milioni di franchi, non pochi. Nel documento non abbiamo nascosto che i finanziamenti vanno trovati, non ci tiriamo indietro di fronte alla necessità di trovare risorse. L’economia privata prende delle decisioni quando chi definisce gli indirizzi politici ha una strategia ben precisa».

Innovazione e formazione sono il binomio portante del documento…

S.M.: «Come Associazione abbiamo sostenuto fin dall’inizio il progetto del Parco dell’innovazione e continueremo a farlo. Una via di successo e molto svizzera, quella dei parchi tecnologici, per sviluppare la ricerca applicata tra accademia e tessuto industriale locale e che nel contempo valorizzi le competenze territoriali. Chiediamo che si concentrino però gli sforzi finanziari pubblici e privati su pochi centri, ma che abbiano un futuro. Abbiano cioè ricadute economiche e occupazionali».

A proposito di centri di competenza grande rilievo hanno le aziende che possono fare ricerca…

S.M.: «Considerato il patrimonio di conoscenze già esistente sul territorio, tra aziende e istituti di ricerca, è giustificato puntare su questo ambito. Sono quasi 500 le società – la gran parte start-up – attive nelle scienze della vita. Proprio per questo bisogna fare delle scelte e incrementare i fondi in questo ambito. Il Vallese – per citare un Cantone per dimensione e struttura economica simile al Ticino – ha investito più di 450 milioni di franchi nel suo parco tecnologico. Lo ha fatto però già nel 2012. Noi rischiamo di pagare caro questo ritardo di un decennio».

Un elemento sottolineato nel documento è che una buona parte delle imprese ticinesi fa parte di filiere internazionali. Che cosa comporta?

O.P.: «Significa che sono chiamate a competere con realtà più grandi, una condizione che andrà accentuandosi negli anni a venire. A fronte di una capacità di innovazione che richiede sempre più capitali di investimento, difficilmente reperibili, soprattutto per le piccole medie imprese. Queste, complice anche la situazione economica di questi anni, non sono infatti in grado di investire grandi somme per fare innovazione. Per questa ragione è necessario aumentare gli investimenti pubblici per potenziare le strutture e i servizi per il trasferimento tecnologico nelle imprese. Va da sé che non devono mancare nemmeno gli investimenti privati. Se ci sono obiettivi e prospettive chiare da parte del pubblico, gli imprenditori non si tirano indietro e sono pronti a fare la loro parte».

Un altro aspetto su cui si è soffermata la vostra attenzione riguarda il tema della formazione…

M.: «Le competenze tecniche devono essere incrementate nell’insegnamento a scuola, puntando in particolare sulla valorizzazione dell’apprendistato. Una grande nota dolente per tutta la Svizzera, non solo il Ticino, è infatti rappresentata dal fatto che è davvero difficile trovare apprendisti. Dalle voci raccolte, per le imprese sarebbe ottimale creare un profilo formativo che preveda materie tecniche unite a quelle umanistiche. Tra le proposte quella di creare un equilibrio tra scuole commerciali e tecniche, in quanto attualmente nel Cantone sono prevalenti le prime, e ideare un percorso di formazione industriale con un biennio comune per tutti, a cui fa seguito un biennio di specializzazione. Ancora una volta va sottolineata la necessità di rafforzare lo studio del tedesco e dell’inglese nella scuola dell’obbligo e nelle formazioni superiori prevedere dei master interamente insegnati in queste lingue».