Silvano Belotti, come si sente in un periodo così complesso, sospeso tra crisi internazionali, venti di guerra, e dall’altra parte opportunità legate alla digitalizzazione e all’intelligenza artificiale? Si considera ottimista o pessimista?
«In questo momento mi sento esposto e preoccupato, senza avere a disposizione tutti gli strumenti necessari per fronteggiare situazioni che vanno oltre il nostro controllo, come i conflitti e le crisi internazionali, senza dimenticare le distorsioni della nostra politica cantonale e nazionale che in maniera repentina in alcuni casi ci obbligano ad adattare la nostra quotidianità e la nostra gestione aziendale. Tuttavia, guardo con ottimismo alle opportunità offerte dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale, che aprono prospettive di crescita significative. Queste sfide globali mi hanno permesso di rivedere a fondo la mia organizzazione: dall’inizio dell’anno, insieme ai miei collaboratori più stretti, abbiamo aggiornato e modernizzato la struttura dei costi aziendali. Pur restando alcuni punti da verificare, considero il 2024 come un anno di transizione, una preparazione al futuro che vedo con ottimismo e interesse, a condizione che vi sia una convergenza tra imprenditoria, politica e, naturalmente, un po’ di fortuna nelle dinamiche internazionali».
Guardando al nostro Cantone, quale periodo stiamo attraversando?
«Il Cantone sta vivendo un periodo complesso. Gli aumenti indiscriminati stanno erodendo un potere d’acquisto già provato da situazioni passate. Mi preoccupa l’incapacità di difendere il territorio dalle influenze esterne. Vedere molte persone spostarsi oltre confine, trascurando il nostro contesto, è fonte di grande frustrazione. Capisco che intervenire non sia semplice, ma dobbiamo adottare misure concrete per tutelarci. Siamo troppo spesso esposti senza un adeguato sostegno da parte delle istituzioni, che dovrebbero proteggere in modo più efficace l’economia del Canton Ticino».
Lei ha espresso critiche sulla gestione della città di Lugano. Cosa ritiene positivo e cosa invece dovrebbe essere cambiato?
«Non ho mai criticato la gestione della città in sé, ma piuttosto l’atteggiamento di alcuni attori, in particolare nell’ambito imprenditoriale e commerciale. Questi non sanno sfruttare appieno le potenzialità del territorio. Ad esempio, la chiusura dei negozi l’8 dicembre mi sembra sintomatica di una mentalità superata. È fondamentale “non morire di privilegi”, come ammoniva il grande manager Sergio Marchionne.
Ci sono aspetti da migliorare, come gli orari di apertura: se i brand internazionali intorno a noi chiudono alle 19, trovo limitante che qui si chiuda alle 17:30. Questo riflette una mentalità da superare. D’altro canto, apprezzo l’ordine e la disciplina sviluppati nel tempo in tutto il Ticino, nonché le opportunità legate al nostro magnifico territorio».
Un tema a lei caro riguarda gli incentivi per rendere il Ticino più attrattivo. Qual è la situazione attuale?
«Lotto costantemente per mantenere prezzi competitivi a livello europeo, e sono orgoglioso di dire che il 98% dei prodotti Belotti adotta prezzi in linea con quelli europei. Tuttavia, ci scontriamo con l’idea diffusa che la Svizzera abbia un potere d’acquisto maggiore rispetto ai paesi confinanti, giustificando così aumenti del 30-35%. Questo è inaccettabile, soprattutto oggi, quando i consumatori possono facilmente confrontare i prezzi grazie agli strumenti digitali. Siamo in ritardo e il tempo stringe per affrontare queste sfide».
Quali sono le prospettive per il mercato del lusso, in particolare per il settore degli occhiali, che ora include molti marchi prestigiosi?
«“Non amo definire il lusso come tale, preferisco parlare di cose belle…”. Le prospettive per questo mercato sono molto interessanti, ma vedo un rischio legato all’eccessiva concentrazione nella fascia alta. Questo ci obbligherà a fare scelte strategiche, selezionando alcuni marchi a scapito di altri. “L’aria in alto si fà rarefatta” e bisogna essere molto attenti ad offrire sempre una proposta adeguata ad ogni tipo di cliente ed ogni livello di spesa, con l’obiettivo di soddisfare al meglio ogni esigenza».
Quali progetti ha in serbo per la futura crescita del Gruppo Belotti a livello nazionale e internazionale?
«Dopo 36 anni di attività, se troviamo io e mia moglie ancora tantissimi stimoli per continuare a impegnarci quotidianamente senza tregua è perchè vogliamo dare un futuro a tutta la nostra organizzazione, a tutta la Belotti Group. Mia moglie e mia figlia, che ha concluso in anticipo il suo percorso accademico e ora sta facendo esperienze all’estero, contribuiscono con entusiasmo e visione a questo obiettivo. Guardando al futuro, vedo cambiamenti importanti nel modo di lavorare, dalla telemedicina alla distribuzione di prodotti in nuove modalità. È essenziale continuare a formare i nostri collaboratori e offrire loro opportunità di crescita. L’arrivo di mia figlia porterà sicuramente una visione più ampia, e sono pronto a sostenerla, affrontando ogni passo con razionalità e coerenza, senza porsi limiti, anche a livello geografico».
La vostra azienda può essere definita un’impresa familiare, con la presenza di sua moglie e ora anche di sua figlia. Ha già avviato un processo di ricambio generazionale?
«Sì, la nostra è un’azienda familiare, e sia io che mia moglie lavoriamo con dedizione per garantire un futuro stabile a nostra figlia. Tuttavia, il nostro impegno non si limita alla famiglia: pensiamo anche ai nostri collaboratori, fornitori e, soprattutto, ai nostri clienti. Non ho ancora avviato formalmente un processo di ricambio generazionale, ma è chiaro che in futuro voglio aiutare mia figlia a imparare ciò che solo l’esperienza diretta in azienda può insegnare, oltre a quanto appreso sui banchi di scuola».
Infine, tracciando un bilancio personale, di cosa si sente soddisfatto e cosa le manca ancora?
«Fare un bilancio personale è sempre complesso. Ciò che mi soddisfa è l’essere riuscito a imparare molto nel corso della mia vita, nonostante non abbia avuto un’istruzione universitaria. Ho imparato a leggere i bilanci, a gestire le risorse aziendali, e sono in grado di non trascurare nemmeno un dettaglio. Ho anche imparato a dialogare con i miei collaboratori, a scendere a compromessi quando necessario, e a far sposare i valori fondanti dell’azienda Belotti.
La mancanza più grande? Il tempo dedicato a me stesso per attività sportive: avrei dovuto prestare maggiore attenzione a questo aspetto, ma sto recuperando con avvincenti partite di tennis».