Nella motivazione del premio si legge: “per essere un leader innovativo capace di puntare sull’architettura biodinamica ed in grado di armonizzare creativamente le forme delle strutture ai reali bisogni delle persone e dell’ambiente, con realizzazioni di pregio e alta qualità”.
Arch. Camponovo, che cosa significa realizzare opere partendo dai “reali” bisogni dell’essere umano e in sintonia con ambiente che esso abita?
«Vuol dire porre al centro della progettazione i bisogni delle persone. Si tratta di individuare le soluzioni più efficaci per ogni specifico contesto ambientale, sociale ed economico, accrescendo il senso della comunità e con esso il bene collettivo come valore. Per raggiungere questi obiettivi è necessario ridefinire il concetto di “ben-essere”, che riguarda la salute, la sicurezza e più in generale la “qualità” del nostro lavorare, studiare, divertirci, spostarci e, naturalmente, abitare. In questa prospettiva, l’architettura non può essere un gioco autoreferenziale, tutta incentrata sulla “firma”, sulla genialità del singolo architetto, quotata sulla borsa della moda al pari di un qualunque brand. Penso invece che il progetto architettonico debba essere in grado, proprio in virtù del suo valore intrinseco, di conferire un valore aggiunto alle persistenze storiche e ambientali all’interno delle quali si va a inserire».
Dunque si può dire che la sua architettura ricerca in primo luogo la qualità della vita delle persone che abitano, lavorano e vivono all’interno degli edifici progettati?
«La qualità dell’abitare si raggiunge attraverso la luce, la trasparenza, l’utilizzo di determinati materiali. Quello della luce è un aspetto a cui sono sempre stato particolarmente attento perché convinto che ogni costruzione debba essere uno spazio in grado di comunicare con l’esterno innanzitutto attraverso la luce e le trasparenze. Un altro tema che mi è particolarmente caro è l’organizzazione dei volumi attorno a spazi capaci di creare un sistema di relazioni, perché è fondamentale la dimensione sociale del vivere e dell’abitare. Le case non devono essere spazi chiusi all’interno dei quali isolarsi, e gli uffici non possono tradursi in luoghi nascosti e isolati».
La versione completa di questo articolo la potrete trovare all’interno dell’edizione cartacea di Ticino Welcome