Dalle opere futuriste e polimateriche di Prampolini ai potenti lavori di Burri, il percorso espositivo mette in luce come il ricorso alla materia abbia saputo dar voce alle inquietudini di un periodo storico complesso, manifestandone tutta la violenza e la carica trasgressiva.

La mostra, a cura di Gabriella Belli e Bruno Corà, in collaborazione con la Fondazione Burri di Città di Castello e progetto di allestimento di Mario Botta, presenta i materiali più disparati, dalla spugna al sughero, che limitano sempre di più lo spazio, prima dominato dalla pittura, espressione di una disobbedienza di Enrico Prampolini alle tecniche tradizionali, e c’è la materia umile e cruda di Alberto Burri, che si sostituisce al colore, svuotata di ogni possibile metafora. Un risultato frutto della ricerca di un linguaggio nuovo, intrapresa da Burri all’indomani del secondo conflitto mondiale, vissuto in prima persona come ufficiale medico, prigioniero in Africa e poi a Hereford in Texas, e divenuto artista autodidatta.

Se Prampolini – futurista eclettico e a contatto con le più importanti avanguardie europee – sperimenta già nel 1914 le potenzialità del polimaterismo, Burri, che rappresenta nella mostra la seconda metà del XX secolo, propone la materia nella chiave poetica più radicale.

«Le vie intraprese da Prampolini e Burri, con traiettorie e significati concettualmente diversi», spiegano Gabriella Belli e Bruno Corà, «mostrano strade possibili, certo non le uniche, ma sicuramente le più rischiose, quelle che, rinunciando alla pittura intesa come puro medium di secolare tradizione, si affidano a tutt’altro, ritagliare e incollare, scavare nelle terre, utilizzare plastiche, sacchi, muffe e bruciare, aggiungere oggetti, e molto altro ancora. Una rivoluzione linguistica che diverrà, come è noto, nell’opera di Burri, norma e stile internazionale, con un primato europeo su cui vale la pena riflettere».

Prampolini BurriAd accogliere l’indagine sulle due distinte, ma dominanti, visioni della materia di Prampolini e Burri sarà uno spazio espositivo radicale, concepito per l’occasione da Mario Botta in due momenti successivi e separati, attraverso scelte cromatiche antitetiche: pareti bianche per accogliere le opere di Prampolini, completamente nere per lavori di Burri.

Tra le creazioni di Prampolini in mostra a LuganoIntervista con la materia, autentico manifesto del 1930 che inaugura la fase più sentitamente visionaria e cosmica della sua produzione. Metamorfosi inedite delle forme si aprono in opere come Venere meccanica, 1930, o il magnifico Geometria aerodinamica, 1934-1935, mentre Forme forze nello spazio del 1932 è una potente raffigurazione di mondi alieni dominati dalla geometria tra nuove forze psichiche di forme organiche. Gli ultimi quadri polimaterici in mostra a Lugano risalgono agli anni Cinquanta, come Composizione astratta CR, 1954.

Con le sue concezioni intuitive, Burri resta lontano dalle teorizzazioni di Prampolini. La mostra a Lugano presenta diverse opere, dai cicli dei primi anni, alle Composizioni, ai Catrami degli anni 1948-1950 fino ai Sacchi, capolavori che portano l’arte del maestro verso una definitiva dimensione materica.

Prampolini BurriDopo le sperimentazioni con i materiali più diversi – dal catrame alla pietra pomice, dall’oro al gesso – l’artista fa ricorso al fuoco nell’azione formatrice dell’opera. Le opere in mostra, tra le quali Plastica e Rosso Plastica, 1962, sono esiti di un incessante intervento compiuto dall’artista con in pugno l’erogatore di fiamma sulla tela, sulla plastica e il vinavil o sull’alluminio, mentre aggredisce e apre varchi, brucia zone centrali e orli, rivelando un territorio materico ignoto.

Ma è attraverso i celebri Cretti che Burri passa all’elaborazione di terra, aria e acqua. Una nuova manifestazione di spazialità materica si manifesta in rare opere degli anni Settanta, come Bianco Nero Cretto, 1972, o nel Bianco Cretto C1, 1973. Chiudono il percorso alcuni lavori in cellotex degli anni Ottanta e Novanta, come Cellotex, 1980, e Nero e Oro, 1993. Questo composto in legno, usato in ambito industriale, nelle mani di Burri arriva a visualizzare le dimensioni del silenzio, del buio, del vuoto, del pieno e dell’assenza, tutte nuove coordinate estetiche che influenzeranno alcune delle ricerche successive più avanzate.