Arch. Carlo RampazziArch. Carlo Rampazzi, Lei a festeggiato nel 2024 cinquant’anni di attività, caratterizzati da un grandissimo numero di lavori di interior design, arredi, tessuti, quadri sculture e molto altro ancora. Quale è la motivazione di questa inesauribile voglia di continuare a creare?

«In effetti ho aperto il mio studio nel dicembre del 1974 e da allora non mi sono mai fermato. Non credo ci sia un segreto per spiegare il mio desiderio di “fare”. Semplicemente ho sempre concepito il mio lavoro come un continuo e inarrestabile hobby, una passione che ho avuto la fortuna ma anche il merito di coltivare come qualcosa che ogni giorno riempie totalmente la tua mente e il tuo cuore, ma che nel contempo ho imparato a governare affinché mantenesse inalterata tutta la sua forza creativa».

Sta dicendo che anche la creatività esige l’applicazione di un metodo di lavoro?

«Assolutamente sì. Le mie giornate di lavoro sono regolate, quando non sono all’estero o impegnato in particolari attività, da un preciso programma che cerco di mantenere uguale tutti i giorni. Questa organizzazione dei tempi mi consente di sfruttare al meglio tutte le risorse disponibili. Ma al di là delle modalità con cui mi dedico a quello che amo fare, ciò che risulta essere determinante è la prospettiva in cui mi muovo: io guardo sempre al futuro, non mi piace voltarmi indietro e stare a contemplare quanto ho già realizzato. Io voglio continuare a pensare alle tante cose di cui intendo continuare ad occuparmi».

Quale è la differenza tra moda e stile?

«La moda racconta soltanto la tendenza di un momento. Lo stile esprime invece la tua identità, chi autenticamente sei. In altre parole, un oggetto di moda attira l’attenzione su sé stesso, mentre lo stile focalizza lo sguardo sulla persona, sull’essere, sulla sua identità. Creare un mio stile mi ha permesso di comporre con sicurezza una precisa immagine, scegliendo i colori, seguendo il mio stato d’animo e l’ispirazione del momento e anche sapendo cosa di volta in volta intendevo precisamente comunicare. E questo processo creativo ho voluto sempre esprimerlo attraverso tutto ciò che ho creato, fosse l’interno di un ambiente, un mobile, un abito o qualunque altra cosa. Per questo ogni mio oggetto risulta essere, anche a distanza di molti anni, immediatamente riconoscibile».

Dunque, se ho ben capito, è la sua personalità che detta sempre le scelte, al di là dell’oggetto che in quel momento sta progettando…

«Le rispondo citando un passaggio di un articolo di recente pubblicato su The TSL Gazette, prestigiosa testata, attenta osservatrice dell’evoluzione del costume: “L’arch. Carlo Rampazzi non abbandona l’idea prevalente di creare un’interazione tra arredi e abiti che lui riassume nella massima, quasi una sentenza: Abita come ti vesti, e vestiti come abiti. Ovvero caftani nel medesimo tessuto che riveste le poltrone e i divani firmati da lui e magistralmente realizzati dagli atelier d’arte di Sergio Villa Mobilitaly. E così, abiti e decoration diventano interattivi, si influenzano” (cit. Paolo Bagnara)».

A proposito del suo stile si è parlato di “maximinimalismobili”. Che cosa significa?

«Non sono mai stato particolarmente attento alle definizioni di una critica spesso più attenta alla celebrazione di sé stessa che a cogliere il valore intrinseco delle opere criticate.  Il concetto cui mi inspiro è molto più semplicemente una risposta al pensiero attualmente dominante nel design. Io ho sempre ignorato le idee in voga, la mia creatività unifica passato, presente e futuro in un design senza tempo. La visione può al tempo stesso coniugare il design barocco opulento della collezione “opus futura” con le ridotte, linee semplici e chiare della collezione minimal».

Lei ha firmato residenze private, yacht di lusso, ristoranti stellati e grandi alberghi, dall’Eden Roc di Ascona allo Tschuggen di Arosa, dal Carlton di St. Moritz fino al Burj al-Arab a Dubai.  E poi un grandissimo numero di arredamenti per clienti di tutto il mondo, artisti e personaggi famosi.  Con quale spirito si accinge ad affrontare ogni nuovo lavoro?

«Come amo ripetere, io cerco con i miei lavori di interior design di creare la cornice, ma poi il quadro è rappresentato dalle persone che in quegli ambienti devono vivere, lavorare, essere se possibile felici. Per questo prima di compiere qualunque scelta stilistica cerco di entrare in sintonia con il cuore e la mente di coloro che abiteranno quella casa. Un lavoro lungo e delicato, dove ogni sfumatura del carattere, ogni tratto della personalità può avere una grandissima importanza. Addirittura, quando qualcuno mi telefona per richiedere la mia consulenza chiedo da dove mi sta chiamando e in che posizione, seduto in poltrona o davanti alla scrivania, mi sta parlando. Tutto questo può sembrare solo un gioco ma sono mille dettegli relativi alla natura umana che concorrono a determinare il piacere e la gioia di vivere in mezzo ad arredi, mobili, quadri, tessuti e soprattutto colori scelti esclusivamente in funzione del benessere di quella persona».

Quali saranno a suo giudizio gli elementi che caratterizzeranno il futuro che già oggi stiamo costruendo?

«Ciò che oggi segna in maniera assoluta la nostra esistenza è la possibilità di stabilire una connessione tra la nostra realtà di esseri umani e la tecnologia che concorre in modo decisivo a plasmare il nostro mondo. Non solo i social, ma la realtà aumentata, virtuale, l’intelligenza artificiale già oggi concorrono a costruire la prossima evoluzione della tecnologia sociale.  Questa trasformazione ci impone ogni giorno di ideare modi innovativi per aiutare le persone a connettersi tra loro per creare qualcosa che arricchisca non solo il nostro benessere materiale ma la nostra vocazione alla bellezza e all’amore».

Lei ha celebrato i suoi 50 anni di carriera con l’esposizione “L’eccezione della regola” presso la Fondazione Majid di Ascona. Che sensazione ha provato nel rivedere raccolta insieme tante opere di genere diverso?

«Sono stato il primo a stupirmi per la quantità di lavori che sono riuscito a realizzare, ma non mi piace troppo soffermarmi a celebrare il passato. Mi piace piuttosto sottolineare il fatto che non avrei mai potuto realizzare quelle opere senza il concorso fondamentale dei tanti artigiani che ho incontrato nella mia vita. Le creazioni nascono dalla mia matita, ma poi tocca a loro realizzare il frutto della mia inventiva. Sono straordinari perché mi assecondano nelle richieste anche più folli. Ma, al tempo stesso, sono sempre pronti ad accettare la sfida e insieme siamo gratificati dal raggiungere dei risultati che pensavamo essere impossibili».

Guardando al domani, possiamo concludere questo colloquio annunciando un progetto che vorrebbe prossimamente realizzare?

«Ho in mente qualcosa che induca ad una riflessione sul rapporto tra arte e stile, declinato attraverso l’arredamento, il vestire, il mangiare. Sarà un viaggio nel tempo e nello spazio, che mi auguro possa stupire e al tempo stesso affascinare».