Pablo Picasso nacque a Malaga il 25 ottobre 1881 e in quella città la nuora Christine, su desiderio dello stesso artista, si impegnò nel progetto di apertura del Museo Picasso. Tutto è iniziato proprio in questa cittadina, in una grande casa costruita nel XIX secolo e affacciata su Plaza de la Merced, al limitare dell’intricato casco antiguo (città vecchia), ora convertita in Museo Casa Natal Picasso. Lo immaginiamo ancora spensierato correre tra le viuzze malagueñe dove trascorse i primi 10 anni della sua vita e dove tornò per diverse estati, dopo essersi trasferito a La Coruña, in Galizia, nel 1891.

È considerato uno dei massimi esponenti del movimento Cubista, fu influenzato dall’artista francese Cézanne, dall’arte africana e dal movimento francese dei “Fauves”. Grazie al padre Josè Riuz Blasco, professore presso la Scuola delle Arti e dei Mestieri di Malaga e pittore per hobby, Pablo iniziò a disegnare e fu indirizzato dall’età di 11 anni a frequentare la scuola di Belle Arti e quando negli anni successivi la famiglia si trasferì a Barcellona, cominciò a riscuotere i suoi primi successi.

« Il cuore della casa è la cucina» scrisse Picasso, che sperimentò, nella sua lunga vita, tipologie diverse di cibi, da quelli di Malaga nell’infanzia, a quelli catalani dell’adolescenza e anche la classica pastasciutta.  La storia d’amore di Picasso col cibo è testimoniata anche nella sua arte. Dal periodo giovanile a Barcellona fino alla giovinezza a Parigi nel quartiere di Montmartre, arrivando al periodo dell’occupazione nazista, il cibo è uno dei soggetti prediletti dell’artista.

Dietro al termine cucina si raccolgono un gran numero di sfumature che ricostruiscono il suo rapporto col mondo del cibo e della tavola, attribuendo ad essi un ruolo metaforico molto evidente. Picasso non è mai stato un amante dei cibi eccessivamente raffinati, preferendo una cucina semplice, ricca di vegetali e priva di eccessi.

A Barcellona frequentava spesso una taverna, l’”Els Quatre Gats”, in cui si incontravano artisti, politicanti ma anche letterati e vagabondi; il suo cibo preferito erano le tapas, il piatto più economico locale. Qui spesso pagava il conto con qualche suo schizzo; è sua la realizzazione dell’illustrazione del menu che ancora oggi si trova in questo ristorante, divenuto celebre anche perchè qui organizzò la sua prima mostra, che gli procurò sia successo che critiche.

Trasferitosi a Parigi, Picasso passò dalla povertà alla fama e al benessere, e all’età di 25 anni si ritrovò apprezzato e stimato sia come pittore che come scultore e incisore. Assiduo frequentatore del cabaret “Au Lapin Agile”, sulla collina di Montmartre, frequentato dai bohémien dell’epoca, spesso si incontrava anche al mitico “el Buffet Le Catalán”, il locale accanto al suo atelier di Rue des Grands-Augustins, dove l’artista si recava a mangiare con gli amici. Con lo scoppio della guerra civile in Spagna nel 1936, molti dei suoi amici partirono per unirsi ai repubblicani nella lotta al fascismo del generale Franco e nel 1937, in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi, Picasso creò la sua opera più nota oggi simbolo della lotta al fascismo, la “Guernica”, dal nome della città che era stata appena bombardata dai tedeschi con numerose vittime civili.

La tematica del cibo e, in generale, della tavola è presente all’interno dell’evoluzione artistica del suo lavoro, tanto da diventarne spesso soggetto delle opere o anche, in alcuni casi, oggetto attraverso cui esse sono state generate. La cucina espressa nel suo percorso di indagine non è solo evocazione di prodotti, cibi e vini, ma soprattutto degli aspetti sociali a essi associati o attraverso i quali vengono generati.

Picasso dipinse il cibo che agognava, trasformando in arte un suo profondo desiderio.

Come per molti aspetti della sua vita, non amava l’ostentazione e l’esibizione di disponibilità economiche, per questo prediligeva un tipo di cucina ancorato alle tradizioni territoriali.

È proprio durante l’occupazione nazista, periodo buio e caratterizzato anche dalla generale povertà e penuria alimentare, che Picasso rappresentò i cibi che più desiderava dando vita, tra l’altro, ad una serie di piatti in terracotta decorati con le immagini delle vivande predilette. Un modo per materializzare i desideri più reconditi e, in un certo senso, esorcizzare la fame e, soprattutto, la paura e l’insicurezza.

Amante anche del vino, nel corso della sua vita artistica ha decostruito il cibo e l’atto del mangiare negli elementi materiali e immateriali che lo costituiscono, per comprenderli e indagarli. In questo modo ne ha amplificato la potenza culturale facendolo divenire veicolo di espressione artistica, creativa e, soprattutto, strumento di comunicazione e analisi.

Picasso presenta il cibo come una fonte di desideri inconsapevoli, e registra la cucina nei tempi di ristrettezze della guerra, quando dipingeva barattoli, coltelli e ortaggi sconquassati.

I piatti, gli utensili e i luoghi legati alla cucina hanno un forte potere evocativo o associativo. Se bicchieri e bottiglie sono molto presenti nelle sue opere, la tematica del vino e dei liquori è affrontata attraverso l’ambiente dei caffè, che dominano la produzione di Picasso nel corso del suo Periodo blu.

Altre fonti d’ispirazione sono le cene organizzate da Picasso a casa sua, arrivando alla conclusione che molti riferimenti culinari della sua opera dipendono dal fatto che spesso l’artista scriveva, dipingeva e disegnava seduto al tavolo di cucina. Il genio malagueño lanciò a Parigi la moda della cucina moderna e le insalate cubiste, con triangoli di trippa, coni di cetriolo e rombi geometrici di gamberi, al solo fine di ottenere un effetto estetico. L’opera di Picasso è effettivamente fortemente legata al “sapore del reale”; diceva infatti lui stesso: «ho dipinto come se lo avessi mangiato».

Tra le sue creazioni culinarie più celebri la Cerámica en Trompe-l’oeil (1951), Corridas de toros y pez, e un enorme piatto di terracotta rossa su cui l’artista sovrapponeva, la spina di un pesce appena mangiato stampata su argilla bianca: era l’aprile del 1957 quando insieme alla sua compagna Jacqueline, al suo bassotto e al celebre fotografo americano D. D. Duncan, stava mangiando una sogliola alla mugnaia. Passò così in poche ore dall’assaggio all’arte vera e propria: aveva già realizzato delle uova al tegame con una salsiccia, armoniosamente appoggiate su un piatto in argilla che aveva prima accuratamente dipinto. La salsiccia catalana esprimeva l’amore per i contadini spagnoli, per quella famelica voglia di non perdere i contatti con la realtà politica e sociale del suo paese. Oltre a dipinti come il Niño con langosta (1941) Déjeuner sur L´herbe, oltre a La cafetera, del 1944, Botella, vaso tenedor del 1912, La comida frugal o El gourmet, del 1901, o ancora elementi come piatti, bicchieri o mestoli, considerando ogni sorta di cibo: carciofi, pane, morcillas, tortilla di patate con cipolla, pesci e frutta. E sempre pesce, tanto nelle nature morte quanto in altre tele, come la sua Donna seduta con cappello a forma di pesce.

Impossibile non citare un’opera particolare del 1924, quando Picasso scelse di dipingere una Nature morte à la Charlott, con molta probabilità dedicata al dessert francese del grande pioniere della cucina moderna Marie-Antoine Carême.

Riguardo al vino diceva: «Sono un bevitore che ha bisogno di vino». E come nella degustazione si scompongono i sapori attraverso le sensazioni recepite attraverso il gusto e l’olfatto, così Picasso scomponeva gli oggetti narrando attraverso le sue opere la profonda armonia ed essenza della materia. Nel suo quadro La bottiglia di vino, l’oggetto appare raffigurato in un modo che, nel suo amato tripudio di colori, quasi invita a viverne alla vista anche gli effetti dell’ebbrezza. Dopo la sua morte nel 1973 a Mougins, l’etichetta del vino francese Chateau Mouton Rotschild gli è stata dedicata. E non poteva essere altrimenti.

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