Il 2024 è l’anno in cui si celebra il centenario della morte di Giacomo Puccini, avvenuta a Bruxelles nel 1924, e il riconoscimento del canto lirico italiano da parte dell’UNESCO come patrimonio culturale immateriale dell’umanità, avvenuto lo scorso dicembre. Proprio La Bohème di Puccini è la seconda opera lirica più rappresentata al mondo, dopo la Traviata di Giuseppe Verdi.

Il legame musica e cibo è fortissimo da sempre, dai triclini dei romani che allietavano i loro banchetti con il canto dei musici, ai ridotti dei teatri d’opera in cui ci si intratteneva a tavola non solo durante gli intervalli.

Le partiture sono un tripudio di brindisi come quello in apertura della Traviata di Giuseppe Verdi, e poi locande dove celebrare la vigilia di Natale inebriati dal profumo di frittelle, dalla dolcezza dei datteri e dalla ricchezza di un’aragosta senza crosta insieme a tutti i protagonisti de La Bohéme di Giacomo Puccini, cene private in cui si decidono le sorti (infauste) dei protagonisti di Tosca e feste all’aperto dove un buon bicchiere di vino rallegra gli animi dei compaesani di compare Turiddu della  Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni: l’opera lirica è legata al cibo da un filo sottile che accompagna le azioni sceniche.

Considerato il più grande operista vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, Puccini seppe portare sulle scene del teatro musicale i drammi della vita di tutti i giorni, fondendo una notevole efficacia drammatica con un lirismo carico di poesia.

Come molti compositori e musicisti amava cibi e bevande, il cui piacere è stato motivo di ispirazione nelle composizioni musicali come nelle gioie della vita quotidiana. All’interno de La Bohème, il cibo e il vino sono sinonimo di allegria per i protagonisti: le inattese provviste come vino, arrosto e dolci che compaiono nel primo atto creano gioia e diventano strumento di difesa e adulazione nei confronti del padrone di casa. Si canta di arrosto, pasticcio dolce, salsicce, frittelle, datteri, caramelle, panna montata, crostata, torroni, trota, salmone, lingua di pappagallo ed altro ancora. E ancora nella Tosca si celebra il vino come momento di condivisione e convivialità: «Viva il vino spumeggiante, Nel bicchiere scintillante, Come il riso dell’amante, Mite infonde il giubilo! Viva il vino ch’è sincero, Che ci allieta ogni pensiero, E che annega l’umor nero, Nell’ebbrezza tenera».

Nato a Lucca nel 1858 da una famiglia di musicisti, sempre alla ricerca di luoghi tranquilli dove poter comporre le sue opere e, se possibile, andare a caccia, la sua secoda grande passione, Puccini ha girovagato soprattutto nell’Italia del nord e in Canton Ticino, che conosceva molto bene: dal 1886 al 1892 trascorse diversi mesi a Vacallo, dove possedeva una casa nel nucleo storico. Qui compose parte della Manon Lescaut, sua terza opera e grande successo di pubblico e di critica. Amava la quiete del posto, giocava a bocce e faceva lunghe passeggiate sul monte Bisbino o a San Martino di Sagno.

Tornerà ancora in Ticino, a Cagiallo, per far visita al pittore Luigi Rossi che avrebbe potuto curare la scenografia per un’opera, ma non se ne fece nulla, e nel 1917 a incontrare la baronessa Josephine von Stängel, una bavarese bellissima, di 18 anni più giovane e per la quale scrive La Rondine.

Durante i primi anni della sua carriera, ebbe grandi difficoltà economiche, ma era già comunque molto attento ai piaceri della tavola e al tempo del Conservatorio a Milano terminate le lezioni, quando riusciva a permetterselo, amava cenare con Mascagni nelle trattorie a buon prezzo. Se i soldi mancavano, da buona forchetta si divertiva a creare personalmente ricette quali la “pasta con le anguille” o le “aringhe coi ravanelli”, che cucinava nella soffitta divisa con l’amico.

A quel tempo, così scriveva a casa: «La sera, quando ho quattrini, vado al caffé, ma passano moltissime sere che non ci vado, perchè un ponce costa 40 centesimi… Mangio maletto, ma mi riempio di minestroni… e la pancia è soddisfatta».

Nel 1893, grazie al successo di Manon Lescaut, potè rientrare da vincitore nelle sue terre della Lucchesia dove praticò molto la caccia. In particolare la caccia alle folaghe, volatili poco più piccoli di un pollo. Le sapeva anche cucinare alla perfezione, dopo averle spiumate, svuotate e pulite, servendole ben calde con crostoni di pane coperti dalla salsa di cottura, utilizzando il sugo anche come condimento per la pasta.

La zona dove si fece costruire la villa, Torre di Lago, una frazione di Viareggio, era ricca di macchia mediterranea, che si stendeva fino al mar Tirreno; vi abbondavano daini, cinghiali, lepri, conigli, fagiani, beccacce, merli, fringuelli e passere. Il lago di Massaciuccoli era popolato da mestoloni, folaghe, fischioni e tuffetti e qui Puccini riceveva amici e collaboratori per incontri anche culinari. Pescatori e cacciatori erano i compagni abituali. Amava girare col barcone tra le paludi per poi tornare a casa e cucinare il risotto alle folaghe con il particolarissimo “Riso rosso di Massarosa”, coltivazione ormai desueta.

Quando il Maestro riusciva a prendere un cinghiale, amava gustarlo stufato al vino rosso. Con gli amici condivise l’amore per la caccia e le allegre tavolate che ne seguivano. Assieme ad un ristretto gruppo si riuniva presso una bettola “La capanna di Giovanni dalle bande nere” di Torre de Lago, da subito ribattezzata Club La Bohème, ancora prima di comporre la celebre opera, un sodalizio di buongustai che nel dopo caccia giocavano a carte e bevevano in allegria e dove esibivano uno scherzoso statuto:
Art 1 I soci del Club “La Bohème”, fedeli interpreti dello spirito onde il club è stato fondato, giurano di bere e mangiar meglio.

Art. 2 Ammusoniti, pedanti, stomachi deboli, poveri di spirito, schizzinosi e altri disgraziati del genere non sono ammessi o vengono cacciati a furore di soci. 

Art. 3 Il Presidente funge da conciliatore, ma s’incarica d’ostacolare il cassiere nella riscossione delle quote sociali. 

Art. 4 Il cassiere ha la facoltà di fuggire con la cassa.
Art. 5 L’illuminazione del locale è fatta con lampada a petrolio. Mancando il combustibile, servono i “moccoli” dei soci.

Art. 6 Sono severamente proibiti tutti i giochi leciti. 

Art. 7 È vietato il silenzio.

Art. 8 La saggezza non è ammessa neppure in via eccezionale. 

Da buon toscano amava molto l’olio di oliva, in particolare i salamini lucchesi e i fagioli, che spediva regolarmente al suo editore Giulio Ricordi insieme alla corretta ricetta per cuocerli, con indicazioni ben precise sui tempi di cottura, l’uso di foglie di salvia, di teste d’aglio e dell’immancabile pepe e sale.

Amava ingentilire il pasto con mandarini e vino frizzante. Al pane preferiva i grissini croccanti, una contraddizione per la tavola toscana, ma si rifaceva con la zuppa di cavolo che gli cucinava la sua cuoca Isola Nencetti Vallini, originaria di Casciana, insieme ad altre ricette tipiche della città termale in provincia di Pisa: gli sformati di verdura di stagione, gli adoratissimi salmì di cacciagione (fagiani, folaghe e i beccaccini). Ma soprattutto il latte alla portoghese che un nobile di Lisbona importò a Casciana, preparato con latte e uova fresche di giornata, insieme a mandorle locali tritate finemente a formare il fondo insieme allo zucchero caramellato.