Come nel nome che non stabilisce con assoluta certezza la provenienza, in Martin Dalsass convivono l’anima delle origini tirolesi (paese natale Nova Ponente, Bolzano) e lo spirito italiano. Non appare dunque un caso che la sua carriera di chef si sia consacrata in terra neutrale, in Canton Ticino, là dove le abitudini e le consuetudini nordiche si sposano con l’idioma del Belpaese. «Dopo l’attestato conseguito presso il Laurin a Bolzano, seguito da alcune brevi esperienze da piccolo di cucina in ristoranti altoatesini, mi sono reso conto che per crescere professionalmente avrei dovuto andare laddove il mestiere di chef era maggiormente considerato, dove vi era rigore ed organizzazione, caratteristiche appannaggio dei grandi alberghi. Per non soffrire la mancanza delle mie amate montagne ho scelto di rimanere nel cuore della Alpi. A Gstaad sono stati anni bellissimi, di formazione ma anche di spensieratezza, unendo le mie passioni: lavoravo e giocavo a tennis, lavoravo e sciavo, lavoravo e andavo ad arrampicare».
Con l’obiettivo di aprire un ristorante condotto in prima persona. «Sulla soglia dei trent’anni mi sentivo maturo e pronto per mettermi in proprio. Dopo aver visionato alcuni locali mi capita sott’occhio l’annuncio dei gestori del Grotto del Renzo, così si chiamava allora, a Sorengo sulle alture di Lugano. Lo visiono, mi piace. Tuttavia i titolari cercavano in realtà un direttore prima che un acquirente. Accetto con la promessa di trasformarlo nel Santabbondio e con l’impegno da ambo le parti di addivenire velocemente ad un passaggio di proprietà. E cosi avviene: a distanza di un anno la gestione diventa totalmente mia in qualità di chef-patron».
Anche la critica gastronomica riconosce e gratifica ben presto la cucina firmata Dalsass mettendolo sul gradino più alto del podio della ristorazione del Canton Ticino con la stella Michelin arrivata subito, con l’edizione 1986, e con i 18 punti assegnati da Gault & Millau. Ispettori e clientela sono unanimi e concordi nell’apprezzamento di quella cucina schietta, genuina ma al tempo stesso raffinata, basata sulla selezione accurata delle materie prime (per lo più italiane) elaborate in piatti che ne valorizzano l’essenza esaltandone il gusto mediante cotture espresse con largo utilizzo dell’olio extravergine di oliva (va da sé, anche questo selezionato nei vari territori vocati dello stivale).
Un uso così scrupoloso e sapiente da avere indotto alcuni a ribattezzarlo “il papa dell’olio d’oliva”, definizione che ne ha delineato l’identità e marcato la carriera. «In fondo la mia è una cucina semplice che trae ispirazione in particolare dalla cultura gastronomica mediterranea. Al centro pongo la materia prima, il prodotto, dal più popolare e diffuso a quello più ricercato, dalla cipolla all’astice, ponendo la medesima attenzione nella selezione di entrambi.
I processi di lavorazioni e le elaborazioni in cucina sono realizzati con l’obiettivo primario di far risaltare, possibilmente esaltandolo, il gusto originario degli ingredienti. Mai troppi, l’essenziale, lavorati a fresco integralmente e con delicatezza e precisione. La cucina fatta al momento e laddove possibile del pezzo intero, da porzionare all’atto dell’impiattamento. Così ho sempre fatto e continuerò a fare: non disdegno di certo lo sviluppo della tecnologia ma solo se è finalizzata al miglioramento delle prestazioni, non se è funzionale alla comodità a discapito del risultato finale in fatto di consistenza e gusto. Per dirla in termini pratici, non mi piace la piega che sta prendendo la cucina gourmet dei giovani chef che preparano tutto a monte e poi usano più strumenti che rigenerano piuttosto che padelle che cuociono. È comodo sì, ma è anche tutto omologato, magari verso l’alto ma indistinto. E non condivido nemmeno la scelta di condurre ed a volte obbligare gli avventori verso il menu degustazione composto da tanti piccoli assaggi. Così si finisce per ottenere l’effetto contrario al piacere della tavola, perdendo anche di vista i principi cardine della ristorazione».
Principi che critica e clientela hanno apprezzato e premiato anche quando Martin Dalsass ha scelto di elevarsi di tono e di altitudine spostandosi a St Moritz, località Champfèr, sotto la storica insegna del Talvo, affiancato come sempre dalla moglie Lorena, perfetta padrona di casa, e dal figlio Andrea, anche appassionato e competente sommelier. Accadeva nel 2011 e tutto è filato liscio come l’olio tanto amato dallo chef.
Il suo arrivo sulla scena della ristorazione dei Grigioni ha portato insieme ad una ventata di novità anche la voglia di emularne le gesta: non è un caso che da allora molte insegne anche tra quelle storiche si sono “svecchiate” dotandosi di ristoranti gourmet affidati a chef di grido interpreti di stili di cucina contemporanea, in qualche modo affini a quella del Talvo by Martin Dalsass.
Negli anni la reputazione è cresciuta diventando punto di riferimento anche per il servizio fuori casa, declinato con la medesima filosofia. Presto questa diventerà l’attività esclusiva dello chef (al suo fianco ora la seconda moglie, Barbara). Martin Dalsass ha infatti deciso di lasciare l’impegno quotidiano al Talvo. Finita la prossima stagione estiva gli subentrerà nella gestione Kevin Fernandez, chef spagnolo cresciuto alla sua scuola e con lui fin dal trasferimento a Champfèr.
«Inizialmente si era prospettata una gestione condivisa per un certo periodo di tempo. Ma la squadra che mi sostituirà è già ben collaudata e non intende cambiare la vocazione di cucina e più in generale lo stile di ristorazione del Talvo. Quindi presa la decisione non vi era la necessità di fare da balia alla nuova gestione. Naturalmente il tutto concordato anche con gli storici proprietari dell’immobile che si sono sempre dimostrati vicini e disponibili».
Avrà più tempo da dedicare alle sue passioni, allo sci, alle camminate in montagna (anche ben oltre l’Engadina: Dalsass è stato più volte anche sull’Himalaya), ma di andare in pensione non ci pensa proprio. «Mi occuperò in prima persona del fuori casa nelle sue varie sfaccettature, dal servizio di catering per eventi a quello di chef a domicilio. Lo farò potendo contare ancora sulla logistica del Talvo che negli anni ho sviluppato appositamente per poter sostenere in autonomia la attività interne ed esterne. Ma il catering lo firmerò in prima persona, senza più riferimento alle precedenti attività». In tanti anni di onorata carriera Martin Dalsass si è certamente guadagnato stima e rispetto, dalla clientela, dalla critica, dai colleghi. La sua firma è stata, è, e sarà, una garanzia.