Elvis MerzļikinsENRICO CARPANI:  Elvis Merzļikins, ripensando oggi alla prima parte della tua avventura sportiva a Lugano, in che misura ritieni che il supporto della Fondazione sia stato decisivo per la tua crescita di sportivo ma soprattutto di giovane uomo?

«Sono uno di voi. Ho scelto di dare il mio apporto alla Fondazione perché non si è mai interrotto il forte legame che mi lega all’HCL. Se poi mi guardo indietro a esaminare la mia vita all’interno di quella squadra mi vengono ancora le lacrime. Sono entrato nelle formazioni giovanili che avevo 15 anni, il mio debutto in prima squadra è avvenuto a 18 anni. Praticamente posso dire che tutto ciò che ho imparato lo devo agli allenatori, ai compagni di squadra, all’ambiente dell’HCL a cui sono infinitamente grato per tutto il percorso sportivo e umano che mi hanno concesso di fare».

ENRICO CARPANI: Il tuo percorso individuale è stato spesso indicato quale modello: da una parte per la tua determinazione nel far emergere il tuo talento naturale, dall’altra per l’esempio di efficienza della struttura che ti ha seguito: sarebbe stato possibile diventare Elvis in un contesto diverso?

«Assolutamente no. A Lugano sono stato accolto a braccia aperte e nonostante il mio carattere non sempre facile e disponibile al confronto, ho avuto modo di realizzare quello che fin da piccolo è stato il mio sogno: giocare a hockey nella NHL, il campionato più importante del mondo. Adesso mi piace pensare che, tra le centinaia di ragazzi e ragazze che frequentano la Sezione Giovanile, grazie anche al contributo della Fondazione, ci sia qualche piccolo Elvis che sta crescendo, tenendo ben stretto il suo sogno di diventare un campione nel fantastico mondo dell’hockey».

Elvis Merzļikins

ENRICO CARPANI: Oggi il grande campione che sei vuole che altri giovani possano avere la stessa opportunità: è la ragione per cui hai deciso di sostenere la Fondazione e di diventarne testimonial ufficiale?

«Ho accettato volentieri questo invito perché non ho mai dimenticato le ore e ore che ho trascorso sulla pista, negli spogliatoi, a contatto con gli allenatori, gli accompagnatori e tutte le persone che seguono ogni giorno la vita e l’attività dei ragazzi. Il loro lavoro è alla base della mia formazione come atleta, ma soprattutto come uomo. Ed è bellissimo pensare all’entusiasmo, alla passione, alla voglia di giocare e di vincere che allora animava me e i miei compagni proprio come oggi continua ad essere la forza vitale di centinaia e centinaia di bambini, ragazzi e giovani che grazie alla Sezione Giovanile e alla Fondazione si avvicina alla pratica di questo sport».

PAOLO GUGLIELMONI: Da giovanissimo avevi un atteggiamento molto da rockstar sul ghiaccio e fuori. Era solo un’immagine, una reazione alla pressione cui eri sottoposto e come si è andata modificando nel tempo questa tua postura?

Elvis Merzļikins«È vero, potevo sembrare arrogante, scontroso, ma il mio atteggiamento era in gran parte dovuto allo stress che la situazione mi costringeva ad affrontare. Su di me erano state riposte molte aspettative e io ero ancora molto giovane e inesperto. Io volevo essere soltanto me stesso, accogliendo un insegnamento che mi aveva sempre ripetuto mia madre. Anche sotto questo aspetto sono molto grato all’ambiente dell’HCL perché ho incontrato tante persone che mi hanno aiutato a maturare e a prendere consapevolezza dei miei limiti e delle mie responsabilità».

ENRICO CARPANI: Ti vedi in un prossimo futuro a Lugano ancora più attivamente coinvolto con la tua esperienza di vita e di sport in questa organizzazione?

«Mi vedo ancora a Lugano al 1000 per 100 e confesso che, quando l’anno scorso sono venuto a Lugano per un periodo di vacanza, ho ceduto alla tentazione e ho già comprato casa. Ma prima di dedicarmi ai ragazzi e ai giovani, in veste di allenatore o in qualche altro ruolo, cosa che per me sarebbe un grandissimo onore, ho ancora un immenso desiderio: quello di vedere la mia maglia appesa sotto le volte della Cornèr Arena».