L’arte aborigena dell’Oceania è un’arte millenaria, concentrato di tradizioni ancestrali, specchio di complesse visioni metafisiche e di un immaginario fondamentalmente religioso. Ma oggi è anche l’esplosione di un rinnovamento che si riallaccia, reinterpretandola, ad una cultura primigenia. In questa prospettiva ha più o meno cinquant’anni, ha preso corpo negli anni ’70 ed ’80 anche se le prime, rare forme di ripresa espressiva si possono collocare all’inizio del XX secolo. È il risultato dell’irruzione di moderni processi espressivi come le pitture acriliche e di supporti facilmente trasportabili come la tela al servizio di culture antiche, stratificate e fondamentalmente segrete, ma al tempo stesso ricche e diversificate. Malgrado l’interesse di etnologi ed etnografi per le espressioni ed i costumi indigeni, malgrado i tentativi per decodificare e comprendere le tradizioni religiose, il linguaggio e il complesso mondo dei segni, fino alla seconda metà del secolo scorso s’era data poca importanza alla produzione pittorica degli aborigeni dell’immensa Oceania, in particolare Polinesia, Melanesia e Micronesia. Non si pensava che la civiltà aborigena potesse aver prodotto espressioni artistiche tanto complesse ed organiche. Eppure ha esercitato un’attrazione irresistibile sull’arte occidentale, come intuendo che in quella cultura resistente anche alle pressioni dell’occidente, che pur avevano annientato altre civiltà con la conquista violenta, lo sfruttamento capillare delle risorse, l’alcol e il denaro fino all’assegno di sussistenza, conservasse in sé una via per spiegare l’avventura dell’uomo sulla terra. E soprattutto il senso, dando risposte originali alle grandi domande che da sempre agitano l’animo dell’uomo.

Sull’onda di un’irresistibile attrazione, da tempo l’arte aborigena è stata riscoperta e indagata, come insegna Bruce Chatwin con il suo avventuroso romanzo “La via dei canti” e come ormai documentano molti musei etnografici e d’arte moderna. Oltre a ricercatori che, come Didier Zanette – che da quasi un anno ha aperto TheGallery a Lugano, dedita principalmente all’arte degli aborigeni dell’Oceania – si sono votati a questa ricerca e al recupero da parte di artisti contemporanei di un vocabolario espressivo che in qualche modo è depositato nell’immaginario di quelle popolazioni. Come dubitare della creatività degli aborigeni le cui opere sono da tempo disputate da musei e collezionisti?

 

Didier Zanette, passione e competenza

Oggi assistiamo al risorgere e all’affermarsi d’un’arte potente, straordinariamente colorata, diversificata e prolifica, assolutamente originale in quanto riferita ad una tradizione artistica che affonda le radici nel tempo, migliaia d’anni. La sua forza e il suo vigore sono considerati un dono inatteso al nostro tempo, una sorgente di vita e d’ispirazione dalla dimensione universale, come afferma Wally Caruana, già direttore della National Gallery of Australia a Canberra.

Didier Zanette da trent’anni si dedica anima e corpo all’arte degli aborigeni. Fatta la sua scelta, abbandonato il mondo bancario e della finanza, ha iniziato a percorrere isole e arcipelaghi dei cosiddetti mari del sud per conoscere e recuperare quel che resta di quelle millenarie culture: evocazioni, segni e riti, interpreti. Li ha cercati e trovati nelle banlieu, nei villaggi e lungo il territorio recuperando, talvolta assieme a loro, tuti i possibili retaggi della loro cultura. Li ha aiutati a recuperare una civiltà dei segni che stava scomparendo, fornendo i mezzi per una ripresa espressiva fondamentale per far rivivere il loro mondo ancestrale. Negli andirivieni tra la Polinesia, la Francia ed ora la Svizzera, ha istituito un ponte culturale che permette agli artisti, depositari di quella cultura, di potersi esprimere compiutamente e all’occidente di godere di quell’arte.

Ai dipinti nuovi ma d’ispirazione antica degli aborigeni accosta artisti che nel loro lavoro sono alla ricerca di forme originarie. Due per tutti: da una parte Brice Poircuitte, che nella sua opera tra pittura e scultura si ispira all’arte oceanica; dall’altra Arik Levy, che nella geometrica perfezione delle sue forme s’ispira a modelli originari insiti nella struttura dei minerali come nelle linee ancestrali che percorrono il territorio e l’ispirazione degli aborigeni. Didier Zanette ha creato gallerie d’arte in Oceania, in Francia, in particolare Parigi e Nizza, e da un anno a Lugano dove in TheGallery affianca dipinti e sculture dell’arte aborigena, di Poircuitte e di Levy.

 

Ampio programma espositivo

Dopo il grande evento d’inizio giugno al Ciani di Lugano, dal 6 settembre Didier Zanette presenta con una grande esposizione la sua arte “delle origini” alla Fondazione Majid di Ascona, via Borgo 7, intercalandola con una serie di conferenze ed approfondimenti. Durante il periodo del Festival del film di Locarno ha presentato una sintesi allo Sport Café di Locarno, luogo di ritrovo di cinefili e cineasti, registi e produttori. Intanto due sculture di grandi dimensioni di Arik Levy, una in acciaio lucente e l’altra in marmo nero, sono posate all’Hotel The View di Lugano-Paradiso, stabilendo ideali traiettorie con il magnifico panorama sul lago. E ancora una sintesi della dotazione d’arte di TheGallery, compresa una scelta di pubblicazioni e fotografie di Didier Zanette dedicate all’arte aborigena è esposta al Swiss Diamond Hotel di Morcote. Nel frattempo è stato rinnovato l’allestimento nella sede della Galleria in riva Caccia 1D, situata appena dopo il LAC e poco prima di Villa Malpensata, nuova sede del MUSEC, Museo delle Culture, ossia al centro di quella che ormai viene chiamata “la riva della cultura” a Lugano. Nel complesso sono decine di opere d’arte aborigena, di Brice Poircuitte e di Arik Levy che nell’insieme, nella ripresa di forme e motivi originari e di linee assolutamente moderne per quanto collegate a modelli archetipici, conducono ad una visione moderna e contemporanea dell’arte.