Alessandro Mele:, può raccontarci del suo percorso formativo e di come le sue esperienze accademiche e professionali l’hanno preparato per il ruolo di Presidente di Cometa?

«Il mio percorso è stato ricco di sorprese e di una grande libertà. Dopo il liceo lasciai la Calabria per studiare a Siena Scienze Economiche e Bancarie, un’esperienza che mi ha dato l’opportunità di lavorare in PwC come commercialista per banche e assicurazioni e che mi ha aiutato a sviluppare rigore, capacità di sintesi e affidabilità».

Ci sono delle persone particolari che l’hanno ispirata nel suo cammino, sia a livello personale che professionale? Quali valori o insegnamenti le hanno trasmesso?

«Sì. L’incontro con un prete brianzolo, don Luigi Giussani, mi ha dato la speranza che la vita potesse avere un senso. Per una persona razionale come me, la ragionevolezza della fede che proponeva era la risposta alle mie attese.
Da lui ho imparato il rischio di scommettere sulla libertà dell’altro nell’educare. Questa è stata la strada maestra che mi ha permesso di affrontare molte sfide con ingenua baldanza e buttando il cuore oltre l’ostacolo. È così che di impeto aderii alla proposta di cambiare vita e dedicarmi all’accoglienza ed educazione dei giovani».

Com’è avvenuto il suo primo incontro con il mondo della filantropia dedicata ai bambini? Quali emozioni e motivazioni ha provato in quel momento?

«Sono cresciuto avendo sempre nello sguardo mia madre, una insegnante di italiano, che dedicava il suo tempo libero alle ragazze madri di una casa di accoglienza di cui era direttrice. Con il suo esempio, è stato semplice dire di sì alla richiesta di aiuto di Cometa.
Appena sono arrivato in Cometa, una bambina mi prese per mano e mi mostrò le stanze dei fratelli e delle sorelle. Come qui avviene per tutti gli ospiti, mi sono sentito subito a casa.
Nel tempo è cresciuta velocemente l’amicizia con queste persone. Il resto lo ha fatto la gioia di vedere rinascere tanti bambini e ragazzi; da lì è nato il coraggio di lasciare tutto e dedicarmi a quest’opera».

⁠Cometa ha una storia affascinante. Come è nata l’idea di istituire questa fondazione e quali sono stati i passaggi chiave nella sua creazione?

«Cometa nasce negli anni ’80 da un primo sì all’accoglienza di un bambino gravemente malato di Erasmo Figini e sua moglie Serena, sostenuti dal fratello Innocente con la moglie Marina e sempre accompagnati dalla sorella Mariagrazia. Da li è cresciuta una vita che si è sviluppata nell’accoglienza ed educazione.
È una storia cresciuta da incontro a incontro, in modo imprevisto e imprevedibile, fedele all’intuizione iniziale della percezione della vita come risposta a un compito a cui si è chiamati. Una storia basata non sulle proprie capacità ma sulla grande domanda che il mistero della vita suscita, accompagnata dal desiderio di scoprire la strada per raggiungerne il compimento.
Cometa è cresciuta molto rapidamente rispondendo ai bisogni incontrati: dalla rete delle famiglie disponibili all’affido (circa 70) seguite da un’equipe multidisciplinare, sono nati poi un centro diurno che accoglie ogni giorno 150 bambini e bambine fragili o in difficoltà, sostenuti in un percorso di studio e di orientamento disciplinare; la Scuola Oliver Twist con oltre 400 studenti; i minimaster per ragazzi in dispersione scolastica o per immigrati e rifugiati; una falegnameria, un bar bistrot e una pasticceria-panetteria-bar; due outlet nati in collaborazione con il gruppo Inditex e Oniverse; un work caffè aziendale nella sede di LVMH a Milano; tutte  realtà dove lavorano persone con fragilità e disabilità.
Ogni cosa nata in Cometa ha il nome di un bambino. Le attività sono iniziate per rispondere ai bisogni che incontravamo: così l’esperienza di affido nasce dall’accoglienza di Ivan (nomi di fantasia a tutela della privacy) che aveva bisogno di una famiglia, il centro diurno per accompagnare Emanuele, espulso dalle scuole del territorio. Per Lorenza, che aveva abbandonato la scuola, abbiamo costruito un centro di formazione professionale, per Sara è nato il primo bar per dare lavoro alle persone con sindrome di Down, e così fino alle 1.300 persone che ogni giorno entrano in Cometa)».

⁠Qual è la missione della Fondazione Cometa e come si riflette nelle attività quotidiane?

«La missione di Cometa è aiutare ognuno a diventare sé stesso e trovare il suo posto nel mondo.
Il cuore dell’uomo è fatto per la bellezza, la bellezza di essere atteso, pensato, voluto, accudito come una persona importante: questo è il timbro delle nostre attività, che si riverbera poi nelle azioni educative delle nostre giornate.
Ogni gesto, anche semplice, porta in sé un significato: dalla sveglia al mattino, alla colazione, all’andare a scuola, all’impostare la lezione, al lavorare con le persone con disabilità. In ogni attività cerchiamo di accendere il cuore della persona e di realizzare così la nostra missione».

Quali sono le maggiori sfide che avete dovuto affrontare nella gestione della fondazione e come le avete superate?

«Il nome Cometa nasce dalla consapevolezza che quello che stiamo costruendo non è merito dei nostri sforzi, anche se richiede ogni nostro impegno. La prima difficoltà è proprio discernere tra ciò che è opportuno e ciò che è semplicemente una nostra limitata proiezione.
Siamo sempre partiti dai bisogni dei ragazzi e abbiamo cercato di costruire sulle persone che condividevano con noi la responsabilità di educare.  Sono nati così progetti molto innovativi. Una grande sfida è stata trovare partner che non fossero solo finanziatori, ma veri e propri compagni di cammino.
Credo che l’aiuto più grande nell’incontro con le persone sia stata la dedizione totale, la concretezza nella cura di ogni persona che ha mosso tanti nel coinvolgersi in questa vita che è Cometa».

La collaborazione con altre fondazioni erogative e con i filantropi è spesso fondamentale. Con quali enti o realtà collaborate e quali sinergie sono state più fruttuose?

«In questi 24 anni di attività abbiamo incontrato decine di fondazioni e molti mecenati che hanno permesso a migliaia di ragazzi di ritrovare la propria strada. All’inizio soprattutto in Italia e poi anche in Europa e nel mondo, abbiamo trovato la disponibilità di molte persone che desideravano contribuire a cambiare la vita di molti e sostenere un luogo che testimoni il bene comune.
Abbiamo realizzato progetti con aziende e benefattori di Francia, Germania, Lussemburgo, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti d’America e Svizzera. E sono già diverse le esperienze nel mondo che si sono ispirate a Cometa nelle sue diverse attività».

Quali sono le sue aspirazioni per il futuro della Fondazione Cometa? Ci sono nuovi progetti o iniziative che stai pianificando?

«Il nostro principale desiderio è andare sempre più in profondità nell’esperienza umana da cui è nata Cometa, poiché la fedeltà all’origine è una ricchezza generativa.
Il progetto più sfidante è sicuramente l’ampliamento della scuola, la necessità è di ulteriori spazi per consolidare e articolare l’offerta formativa per qualificare ulteriormente i percorsi didattici, creare nuove opportunità per giovani adulti con disabilità.
Sarà l’occasione non solo per accogliere, educare e dare un futuro a tanti ragazzi e ragazze del territorio e migranti, ma anche l’opportunità per avviare nuovi importanti progetti, come esempio di una strada di costruzione possibile.
L’originale impostazione della formazione che vede nel rapporto con le aziende e nel valore del “fare con”, trova in diverse applicazioni: un metodo che può riqualificare il valore della scuola e della formazione. Per questo la nostra realtà è un centro di eccellenza membro del network Unesco-Unevoc e di ispirazione per altre realtà in europa e non solo: a Brnò, per esempio, è nato un bar nel centro città ispirato al nostro modello formativo esperienziale, con la Georgia è nata una collaborazione per dare impulso alla formazione professionale e moltiplicare le opportunità per i giovani.
La condizione per crescere è che ci sia sempre un soggetto che ne viva la responsabilità. Per questo sono sempre una provocazione interessante gli incontri internazionali di questi ultimi tempi; sono una bella promessa e provocazione verso il futuro».

Infine, cosa direbbe ai giovani che vogliono avvicinarsi al mondo della filantropia e fare la differenza nella vita degli altri?

«Incoraggio tutti ad avvicinarsi al mondo della filantropia per la grande opportunità umana che regala.
Ognuno di noi cresce grazie alle relazioni significative che stabilisce, diventiamo noi stessi in un rapporto. Credo che questa sia la prima fonte di soddisfazione, anche più della eventuale gratitudine per i gesti compiuti. Guardare l’altro, riconoscendo le potenzialità che ha, aiuta a crescere anche la nostra umanità.
A fine agosto Will Smith, il famoso attore americano, non solo ci ha regalato alcuni premi per un’asta di beneficenza, ma mi ha donato 10 minuti del suo tempo per ringraziarmi della presentazione di Cometa che avevo fatto per la cena di gala dell’evento. Con accalorato affetto ringraziava perché “dare la vita per chi è nel dolore profondo, nello smarrimento, nella confusione è la strada per rendere la vita veramente umana”. Nella nostra società narcisista e individualista la relazione di aiuto è il grande antidoto per rimanere umani. Filantropia, avanti tutta!».