Che la società e il mondo del lavoro cambino nel tempo è lapalissiano, anzi, è normale che si adattino all’evoluzione del mercato, della vita, dei gusti e dei costumi. Ogni cambiamento e trasformazione ci costringe, ad ogni livello, a rimetterci in discussione. Quando capisci che se non ti adegui sei fuori, qualcosa si inceppa. Significative sono alcune parole di Steve Jobs nel famosissimo discorso rivolto ai neo laureati di Stanford: «il vecchio viene spazzato via per far posto al nuovo. I giovani sono il nuovo, ma un giorno non troppo lontano diventeranno gradualmente il vecchio e saranno spazzati via. Per allontanare il più possibile questo evento è necessario essere preparati, multidisciplinari, rimanere flessibili, adeguarsi rapidamente appunto al cambiamento». Ecco, sarebbe tutto giusto se non che l’ansia sale. Quella di non potercela fare perché dietro si nasconde la necessità di eccellere, di non potersi fermare neanche un attimo altrimenti altri ti spazzeranno via. Il mondo del lavoro pullula di consulenti, life coach, esperti che spingono ad essere uomini e donne di successo (non per forza migliori come persone), ad ottenere risultati straordinari, ad essere superiore alla media.
Quanti guru motivazionali che, senza tener conto di cosa uno vuole realmente, esaltano il mantra delle passioni da inseguire, “insegnano” a come realizzare i propri sogni, spesso con ricette semplicistiche, magari via internet, tipo: “come aver successo nel lavoro”, “10 consigli per essere un buon leader”, o ancora, influencer giovani e meno giovani che ti spiegano il senso della vita e la strada del successo, e intanto ti fregano con qualche prodotto. Insomma, se vuoi realizzarti devi smettere di essere una persona normale, non avere paura di buttarti, di metterti in gioco, non devi essere pigro. Qualsiasi cosa fai, devi essere il migliore. Anche a scuola, in casa, in famiglia, con gli amici l’immagine che bisogna dare è quella dell’eccellenza (anche meglio se c’è la bellezza).
Ma che fatica! Non tutti sono in grado di farlo e non tutti vogliono essere…i migliori! A scanso di equivoci non si intende che impegnarsi a fare le cose per bene sia sbagliato, tutt’altro. Ma l’eccellenza a tutti i costi sta portando sempre più persone ad uno stato di sconforto perché, consciamente o inconsciamente, non si sentono adeguate, in una lotta impari, in un mondo sempre più competitivo, dove non basta più solo lavorare bene. Dobbiamo tutti essere dei leader, sempre più comunicativi, emozionali, carismatici, talentuosi, capaci di trasformare una presentazione in spettacolo. Ricette per essere felici, migliori, appagati, ricchi e potenti si sprecano. Una deriva di società che ci spinge a credere che una persona valga realmente qualcosa solo se gli si riconoscono tali valori. Eppure, a ben guardare, il risultato è un mondo giovanile molto disorientato, persone sempre più in stato d’ansia per questo perenne correre, dove l’uso di “pillole”, “polvere” e alcool è aumentato in modo esponenziale mentre gli studi di psicologi e psicoterapeuti hanno la fila fuori dalla porta.
È ora e tempo di rivedere le cose in modo più semplice, ritornare ad un senso realmente più umano nell’interagire con colleghi e superiori, in modo meno competitivo e più rilassato, facendo della nostra unicità e cura del lavoro la nostra carta vincente. Un mondo dove basterebbe un “grazie” per migliorare l’autostima di una persona e pure la voglia di partecipare a costruire qualcosa con gli altri, senza sgomitare o combattere per essere i primi, ma per essere migliori.
Insomma, vivere in una società che ti permetta di essere serenamente nella normalità, che non significa essere ordinari, ma fare bene quello che facciamo e rimanere quello che siamo: persone perbene e straordinarie perché questo è il talento più grande che possiamo offrire a noi stessi e agli altri.