Roberto GrassiRoberto Grassi, una vita dedita al lavoro, ma non solo. Dopo un’esperienza internazionale Roberto Grassi, nel 1996 entra a far parte del Gruppo Fidinam e dopo cinque anni viene nominato CEO, Membro del Consiglio della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato del Canton Ticino e vicepresidente dell’Associazione Lugano Commodity Trading, Grassi ha numerosi interessi che lo portano a seguire la realtà ticinese con grande entusiasmo. Vicepresidente della Swiss Wine Promotion, crede nelle potenzialità di questa terra, non solo dal punto di vista produttivo, ma soprattutto in termini di ricerca.

Poco si sa di Roberto Grassi, almeno per quanto riguarda la sua vita privata. Arrivo in Fidinam puntale, piove. In ascensore mi chiedo se riuscirò a parlare in modo colloquiale con il CEO di Fidinam, anche perché se una persona decide di non mettere nulla su internet… non si tratta di un caso.

Vorrei parlare un po’ di Lei, della sua vita… dov’è nato, la sua famiglia… senza sembrare troppo invadente…

(Annuisce e inizia a parlare in tono pacato) «Tutti noi siamo custodi delle nostre vite, io lo sono della mia, per questa ragione non avrà trovato molte informazioni private a riguardo. Ci tengo moltissimo alla mia privacy, non uso i social… ho solo Linkedin, che guardo ogni dieci giorni».

(Una pausa) «Sono nato da una famiglia ticinese, nato e cresciuto a Massagno. Il ginnasio l’ho frequentato a Savosa, mentre il Liceo a Lugano, (allora erano solo tre anni), così, presa la maturità, ho continuato gli studi a San Gallo dove, come il resto dei ticinesi, mi sono dovuto confrontare con il tedesco (sorride). La mia era una famiglia tipica ticinese, quattro figli e una vita, diciamo, tranquilla. Quello che non era molto ticinese era il passato dei miei genitori. I miei, infatti, si erano sposati a New York, dove mio papà lavorava, stiamo parlando degli anni ’50, non ci si andava e tornava in due giorni, mia mamma invece faceva la hostess a Swissair, un lavoro estremamente moderno per quegli anni ed è proprio a New York, durante una cena tra ticinesi, che si sono conosciuti e si sono innamorati. Per me sono stati e restano un esempio di grande coraggio, il lavoro di mia mamma mal visto da mia nonna, l’audacia di mio padre di trasferirsi in America… ricordo ancora le loro fotografie, sembrano passati secoli».

Lei però è nato in Ticino…

«Sì, anche perché dopo il matrimonio civile americano c’è stato quello in chiesa a Bellinzona, città natale di mia mamma. Pur essendo nato in Ticino e sentendomi molto legato a questa regione, il vissuto dei miei genitori mi ha influenzato molto. Dopo l’Università non mi sono fermato in Svizzera, sono stato in Francia per il dottorato e a Londra per le prime esperienze professionali. Lo stesso vale per i miei due fratelli e mia sorella, ma questo non significa che abbiamo perduto le nostre radici, e quando ho avuto i miei figli ho deciso di trasferirmi qui, il posto ideale per una famiglia».

Viaggia ancora molto?

«Forse un po’ meno che in passato, ma il mio lavoro comporta anche molti viaggi, devo e voglio mantenere vive le relazioni internazionali e ci sono incontri dove è indispensabile presenziare. Comunque, devo dire che prendere un aereo non mi è mai pesato». 

Molta passione per i viaggi, lo scoprire nuove culture, come mai ha scelto di studiare economia?

«È stata una scelta pensata. Il vantaggio dell’economia è che ti permette di spaziare in tutti gli ambiti. Posso essere appassionato di cucina, di aviazione di qualunque cosa e trovare un lavoro in questo ambito come economista o fondare un’azienda nell’ambito desiderato. L’economia è magica, ti permette di combinare passione e lavoro, cosa volere di più?».

E quindi la sua passione qual era?

«Come può immaginare non ho una sola passione e ho la fortuna di fare un mestiere che mi permette di essere attivo in molteplici campi sia nella mia funzione di direzione di Fidinam che nella consulenza, un lavoro che mi permette di essere presente in diversi consigli di amministrazione di società attive nel ramo finanziario-bancario, dell’edilizia, e pure del vino dove sono vicepresidente della Swiss Wine Promotion, che si occupa di vino a livello svizzero. Ogni mattina per me è una nuova sfida, posso pensare al mercato della consulenza, ai mercati finanziari o a quello immobiliare, al mercato del vino, a quello della costruzione e naturalmente a Fidinam, anche perché contiamo trecento dipendenti».

Lei è in Fidinam da quasi trent’anni e ne parla ancora con un entusiasmo sorprendente…

«Certamente, lo dovremmo fare tutti, indipendentemente se in un’azienda ci si ferma poco o tanto. È indispensabile avere delle figure stabili, con esperienza, una memoria storica di riferimento. Oggi si chiede ai giovani flessibilità, capacità di adattamento, ma questo non impedisce una crescita interna, soddisfacente, anche perché alla base del successo di una società ci sono i rapporti di fiducia, la velocità di reazione, l’immediatezza con cui le persone comunicano e si capiscono, un bagaglio insostituibile. Sono assolutamente convinto che se da una parte bisogna regolarmente guardarsi attorno, informarsi, dall’altra se una persona continua a cambiare posto di lavoro ha obbligatoriamente un tempo di adattamento nel quale non può sfruttare il massimo delle sue potenzialità. Per questo ritengo che la ricchezza delle aziende stia nel personale, nel come questo viene gestito, alle scelte interne fatte. Parlando mi riferisco a noi, al nostro personale, con il quale riesco a fare un ottimo lavoro e del quale sono molto soddisfatto». 

Lei ha un legame intenso con la sua professione e quindi mi viene spontaneo chiederle se riesce a staccare, a non pensare al lavoro…

(Sorride) «Non è che vivo per lavorare, ma sì mi piace molto quello che faccio. Tutti noi passiamo molto tempo lavorando, quindi è importante che lo si faccia con passione, almeno lo spero… per questo dico sempre che se qualcuno non è soddisfatto nel contesto in cui si trova deve cambiare, e lo dico seriamente, anche se il cambiamento fa paura e implica delle rinunce. Non possiamo passare una vita in un posto di lavoro che non fa per noi! Uscire dalla comfort zone non piace a nessuno, ma non farlo genera delle insoddisfazioni profonde. Io appartengo a una generazione dove non si parlava di work life balance, o forse bilanciavamo le nostre energie da soli, non so… oggi si cerca di lavorare otto ore per mantenere una qualità di vita, ma dopo metà giornata in molti iniziano a pensare a quante ore mancano prima di andare a casa, questo è un peccato, vivere in una situazione del genere è negativo per la persona e per l’azienda.  Parla una persona che ha dato molto al lavoro, ma ha anche una grande famiglia, ho cinque figli, tre grandi e due più piccoli; quindi, mi rendo perfettamente conto dei valori della vita e della vera soddisfazione. Sono un uomo di economia, ma il bene dei mei figli, della mia famiglia, resta al primo posto, e mi sento quindi di dire che una persona deve cercare la soddisfazione sia nella sua vita privata, sia in quella lavorativa». 

Capisco, ma non è sempre facile riuscire a conciliare la vita privata e la vita lavorativa, soprattutto quando si hanno molte responsabilità…

«In un certo senso penso che sia così per tutti, quando il tempo è poco ci si concentra sulla qualità del tempo passato assieme e, soprattutto, bisogna imparare a gestire le tensioni, i conflitti, insomma tenere i problemi lavorativi al di fuori della propria casa. Se uno riesce a farlo, ecco, questo è il beneficio migliore che può dare alla sua famiglia, se uno invece arriva a casa nervoso, irritato, inizia a creare un danno. Anche perché se dico di lasciare il lavoro in ufficio intendo anche le preoccupazioni: l’essere assenti e silenziosi durante una cena non significa dedicare tempo ai propri cari».

Lei tiene molto alla sua privacy, alla sua vita privata, ha dunque scelto di non essere sui social, quando la maggior parte del mondo passa ore scorrendo lo schermo del cellulare…

«Non me la sento di giudicare, però sì, effettivamente, vedo molte persone sprecare tantissimo del loro tempo sui cellulari, giovani e meno giovani. Ma vent’anni fa ci veniva detto che passavamo troppo tempo davanti alla televisione (ironico). Quello che mi preoccupa però dei social è la loro influenza: veniamo condizionati, incanalati e seguiamo la massa, senza approfondire nessun tema. In un certo senso i social tolgono un po’ la curiosità, la voglia di guardare oltre, di essere attenti a quello che sta succedendo fuori dalla finestra. In fondo devo tornare ai mei genitori, i quali mi hanno lasciato il tesoro più grande: la voglia di conoscere il mondo». 

Una domanda dettata dalla curiosità: cosa ne pensa se si decidesse di dare a tutti un reddito di base incondizionato?

«Per me è una chimera, un’utopia, se io lavoro e l’altro è in giro tutto il giorno in bici perché mai dovrei continuare a lavorare? L’economia non può continuare solo con la voglia di chi ama il proprio lavoro, dobbiamo contribuire tutti, ci vuole una sorta di premio per chi genera valore impegnandosi. Questo non significa che l’economia capitalistica sia la più giusta, ma probabilmente la più funzionale, è quella che permette una crescita, un benessere generale, praticamente per la totalità delle persone. Basti pensare a come si viveva cinquanta, cento anni fa, quando l’analfabetismo toccava moltissime famiglie e il cibo non era garantito. Poi è vero che può esserci un’instabilità economica, possono esserci anche delle ingiustizie, ecco dovremmo migliorarci affrontando questi punti per continuare a garantire stabilità al nostro Paese».

Lei utilizza parole positive, di crescita, di sviluppo, ma non pensa che l’aumento del costo della vita possa effettivamente mettere in difficoltà le famiglie ticinesi?

«I periodi di alta inflazione li abbiamo sempre vissuti, anche in Svizzera. Negli anni ’70, inizio anni ’80 l’inflazione aveva raggiunto quasi il 10%, e ciò non ha influito sulla generazione di benessere. Penso quindi che dobbiamo guardare il mercato sul lungo termine e credere nel futuro, impegnarci, lasciando il nostro sapere in eredità ai giovani».

Lei crede molto nei giovani, ma non tutti riescono a dare fiducia alle nuove generazioni…

«Ho parlato proprio questa mattina con un mio amico avvocato di questo tema: i giovani. Si dice che non abbiano voglia di assumersi responsabilità, di costruire qualcosa, di avere una famiglia, si dice che il mondo stia diventando sempre più individualista, molto più comodo, si fanno scelte che portano all’agio, piuttosto che cercare delle soluzioni che implicano un impegno. Ecco con questo avvocato, di qualche anno più vecchio di me, ridevo, perché mio nonno diceva la stessa cosa di noi.  Effettivamente io non posso pretendere di identificarmi con i giovani di oggi, è la società che evolve. Non so neanche come si riuscirà a garantire il benessere con una previsione di rallentamento del lavoro, l’arrivo dell’intelligenza artificiale e la robotizzazione. Le automatizzazioni riusciranno a compensare quella non voglia di impegnarsi? Non lo so, ma la storia ci insegna che ogni evento ha una conseguenza. Il problema non è nei giovani, ma nella società tutta. Dopo la guerra nella mente delle persone c’era la voglia di crescere, di creare valore, con il benessere questa esigenza è venuta pian piano meno. Ma questo non significa che sarà così per sempre».

Accanto ai giovani lei crede nelle potenzialità del Ticino, nella sua forza, anche sul piano internazionale…

«Il Ticino è una terra ricca, internazionale più che mai, mi capita spesso di camminare la sera a Lugano e sentire parlare altre lingue, vent’anni fa non era così. Siamo centrali, senza neanche accorgerci. Poi capisco che se parliamo di Piazza Finanziaria le cose sono cambiate, ma dobbiamo anche dire che il Ticino ha fatto fortuna con la vicina Italia e io credo che siamo stati bravi a gestire questa fortuna finché c’è stata. Quello che dobbiamo riconoscere al Ticino è che si sta reinventando: negli ultimi anni sono arrivate realtà importanti, penso all’Università, ma anche ai vari Istituti di Ricerca a Bellinzona, ma mi sembra che non tutti si rendano conto di cosa stia succedendo sul nostro territorio. Abbiamo anche uno dei Centri di Calcolo più potente d’Europa e siamo solo trecentocinquantamila abitanti, questo per me è incredibile. Senza elencare i ricercatori e i professori che vivono in Ticino, luminari riconosciuti a livello mondiale, così come i commercianti di materie prime legati al Commodity trading».

Da dove arriva questa sua energia, questo suo ottimismo?

«Io sono ottimista di natura, ma in ogni caso basta guardarsi attorno per capire che quanto è detto è vero. Sono andato a San Gallo a studiare, in tedesco, oggi i giovani hanno la possibilità di scegliere università in tutto il mondo, di studiare in inglese, anche in Svizzera. Abbiamo una mobilità fisica e di dati incredibile, che possiamo sfruttare a nostro vantaggio. (Pausa) L’altro giorno un quarant’enne mi ha chiesto di dargli del tu, io ho risposto che normalmente sono i più anziani, visto che ho sessantadue anni, a chiederlo. Sa qual è stata la battuta? “Che fortuna, tra poco va in pensione”. Volevo dirgli di andare lui in pensione, perché io ricomincerei volentieri tutto da capo».

Un bene illimitato, senza confini, quello del sapere. Una volta scoperto è difficile poterne fare a meno e non cercare di sfruttare ogni momento per crescere, non solo a livello lavorativo, ma anche umano.