Quali sono state le principali tappe della sua formazione e del percorso di avvicinamento al mondo dell’arte e del design?
«Sicuramente devo questa esperienza iniziale a mia madre Agneta Holst con l’apertura dello spazio Megalopoli in Corso Europa 14 a Milano alla fine degli anni ’70, un piccolo studio che si affacciava sul silenzioso cortile interno di un antico palazzo milanese. Gli artisti che collaboravano con mia madre erano tutti diventati amici ed erano i più bei nomi della creatività del momento, come Consagra, Dorazio, Giò Pomodoro, Mauro Lovi, Ugo Marano, Tarshito, Carla Accardi, Alik Cavaliere, Mimmo Paladino, Ettore Sottsass, Luigi Parzini, Sandro Martini, Agostino Ferrari, Enrico Castellani, Bobo Piccoli, Michelangelo Pistoletto, Rosina Bianchi: artisti a cui Agneta chiedeva di realizzare mobili e oggetti d’uso capaci di oltrepassare i confini della loro normale realtà quotidiana tra arte e design dagli anni ’70 al 2000.
Inoltre, le mie origini risalgono allo Studio Ballo & Ballo dei miei zii Aldo Ballo e Marirosa Toscani Ballo, il più importante studio fotografico italiano per la fotografia e il design. È stato un vero laboratorio di eccellenza, ma anche un luogo di incontro intellettuale e di confronto tra artisti, architetti, designer del calibro di Bruno Munari, Gae Aulenti, Cini Boeri, Ettore Sottsass, Pier Giacomo e Achille Castiglioni, Enzo Mari, Alessandro Mendini e molti altri. Io sono cresciuta ‘dentro’ questo spazio/studio, spesso fotografata dagli stessi zii, insieme a mia sorella, all’interno di installazioni, contemplate per ritrarre oggetti e complementi di design e architettura, nelle quali ci dovevamo muovere per enfatizzare la staticità degli oggetti stessi, alla ricerca della loro profondità, l’anima delle cose. Dalla mia nascita cresco, peraltro, nello studio Rotofoto di mio nonno Fedele Toscani, celebre fotoreporter del Corriere della Sera, fondatore con Vincenzo Carrese dell’Agenzia Publifoto, padre di Oliviero. Insomma, sono nata e cresciuta immersa in ‘laboratori’ nel campo della fotografia, del design e della cultura tutta, in cui lo scambio, intellettuale e artistico, era un nesso inscindibile e un percorso evolutivo epocale».
Quale continuità quantomeno ideale è possibile postulare tra la galleria Megalopoli fondata a Milano da sua madre Agneta Holst, e le attività da lei realizzate in campo artistico ?
«O.T.T.O. Luogo dell’Arte è nato grazie a Megalopoli, un bagaglio pieno di energia e creatività, per continuare il percorso iniziato da mia madre, con il progetto di produrre opere e oggetti unici e significativi nel confronto con la vita di tutti i giorni. Nel 2011, quando prende forma Otto, penso a Mauro Lovi come art director, con la sua esperienza con gli artisti e la sua sensibilità, per creare insieme a me quei progetti tematici sugli oggetti che sono propri delle stanze del vivere, come la camera o la sala da pranzo, e mantenere la barra dritta nella navigazione in un mare difficile come quello che abita lo spazio tra arte e design, fino alla sua personale su il “Centavolo” dove coinvolgo personalmente Alessandro Mendini con le “Poltrone Proust” dipinte a mano. Le attività svolte sono state molteplici: in soli due anni e mezzo abbiamo realizzato decine di installazioni e mostre, con la partecipazione di molti critici d’arte tra cui Philippe Daverio, Beppe Finessi, Cloe Piccoli, Vanni Pasca, Ugo La Pietra, Gianni Pettena, Pasquale Persico, Maurizio Corrado, aprendo così un dialogo fra il mondo accademico e quello privato per promuovere nuove energie creative. A Palazzo Rucellai, nella sua corte, abbiamo installato Oh Nirica, progetto di Mauro Lovi, con 40 artisti da tutto il mondo, in cui la materia incontra i sogni e il mondo onirico. Le opere, tutte prototipi, fra le quali il ‘Letto Abbarca’ dello stesso Mauro Lovi, sono state realizzate dando rilievo anche all’artigianato e alla manodopera locali. Abbiamo partecipato a fiere tra cui Qubique, next generation tradeshow furniture/design a Berlino, nel suggestivo ex aeroporto di Tempelhof e il Fuorisalone di Milano».
Ci racconta che cos’è O.T.T.O. e quali sono i principali contenuti del suo progetto culturale e imprenditoriale?
«O.T.T.O. Luogo dell’arte, vuole essere un punto di riferimento e una metaforica radura dove ritrovarsi per gli amanti dell’arte, viaggiatori curiosi e collezionisti, soprattutto un laboratorio/atelier di produzione d’idee, di progetti e oggetti dove il linguaggio dell’arte si confronta con la quotidianità. Un’occasione di collaborazione tra gli artisti e i maestri artigiani depositari di esperienze antiche, curiosi di nuove sperimentazioni, fra le quali tengo a sottolineare l’inizio della collaborazione di Otto con Boralevi per la realizzazione della collezione ‘tappeti d’Artista’ firmati. Con l’apertura di Otto abbiamo voluto riprendere e continuare il progetto iniziato da mia madre, immergendolo nella quotidianità del nostro tempo, confrontandoci, per la produzione di oggetti, con le maestranze dell’artigianato locale e cercando così possibili sinergie tra il mondo progettuale dell’artista e le capacità creative e manuali dei maestri artigiani, ricchi entrambi dell’incontro fra esperienze antiche e nuove tecnologie».
Quali sono le più importanti iniziative di O.T.T.O., già portate a temine e quelle in cantiere per i prossimi mesi?
«O.T.T.O. è stata una realtà importante per la città di Firenze. Abbiamo realizzato 22 tra mostre ed eventi, ospitato 73 artisti, architetti, designer, fotografi e anche scrittori di ogni età da tutto il mondo che hanno regalato a noi ed ai nostri visitatori visioni e prospettive inedite e interessanti. Abbiamo esplorato con loro tecniche espressive antichissime e futuribili, il mosaico, il ferro battuto, la falegnameria, la tappezzeria, la fusione a cera persa, ceramica, maiolica, terracotta, vetro, ebanisteria, lavorazione del marmo, alluminio, lampade, fotografia, installazioni, pittura ad olio, acrilico, collage, disegni ecc. Con queste tecniche sono stati rivisitati molti oggetti della casa e non solo come letti, sedie, tavoli, lampade, materassi, copriletto, caminetti portabili, vasi, quadri, centrotavola, specchiere, tavolinetti, pendole, cuscini, sottopiatti, tovaglie, sculture, modellini, fruttiere, comodini, librerie e anche un libro per il comodino etc. Ci siamo aperti alla collaborazione con gallerie, negozi, produttori ed artigiani di qualità. Oggi l’attività di Otto è provvisoriamente interrotta per impegni familiari. Nel frattempo mi sono iscritta alla Facoltà di Teologia dell’Italia Centrale».
Lei è molto presente nel panorama culturale fiorentino ma al tempo stesso vanta frequentazioni di carattere internazionale. Come si colloca oggi Firenze, nel bene e nel male, rispetto ad altri poli di elaborazione culturale nazionali ed europei?
«Firenze ha una posizione particolare nel panorama culturale. È un centro storico di grandissimo valore per il patrimonio artistico ma rispetto a città come Roma e Milano ha una dimensione più contenuta pur non mancando oggi di vivacità, con eventi culturali, festival, mostre d’arte contemporanea e una scena culinaria in continua evoluzione. Ci sono molti progetti che puntano a valorizzare il patrimonio storico, integrandolo con nuove forme di espressione artistica. Anche il settore dell’artigianato, che a Firenze svolge un ruolo importante, è in fermento e molte botteghe storiche combinano tradizione e innovazione, reinventando antiche tradizioni e creando prodotti unici che uniscono il sapere artigianale con il design contemporaneo. Questo mix innovativo attira sia turisti che appassionati di artigianato da tutto il mondo».
L’aristocrazia toscana vanta uno storico legame con architettura, paesaggio, agricoltura. Anche lei nutre una qualche forma di particolare attaccamento alla terra?
«Oggi, dopo quasi trenta anni, considero Firenze la mia città di adozione, da quando ho lasciato Milano per sposarmi con un fiorentino, anche se abito a Impruneta, dove abbiamo restaurato una casa colonica e coltiviamo un piccolo vigneto con solo vitigni francesi: Merlot, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e Syrah. Del resto sono stata cresciuta in campagna, nella casa che mia madre comprò con mio padre alla fine degli anni ‘60 a Casale Marittimo, completamente ristrutturata durante la mia infanzia. Avevamo cavalli e animali di ogni tipo e una piccola vigna. Ho ricordi memorabili perché ho potuto conoscere la vera campagna e il mondo rurale dell’epoca in Toscana».
Non posso esimermi da chiederle, al di là della relazione personale con suo padre, quale è stata l’influenza del fotografo e del creativo Oliviero Toscani nella sua formazione e nella realizzazione del suo percorso professionale
«Durante la mia infanzia, ho partecipato, come ‘piccola modella’, a vari servizi fotografici di mio padre Oliviero, su testate settimanali e mensili, oltre che alla campagna pubblicitaria per la Rinascente. Sono praticamente cresciuta con lui i primi anni della mia vita, all’inizio della sua carriera come fotografo. Se oggi sono riuscita a realizzare i miei progetti è grazie anche alle esperienze vissute con mio padre che hanno plasmato prima di tutto il mio carattere, poi la mia formazione e il desiderio di andare sempre oltre il limite per scoprire nuove frontiere. Ho imparato grazie a lui che tutto deve essere guadagnato con la disciplina, il lavoro, il sacrificio. Le mete si raggiungono senza scorciatoie e con profondo coraggio, mi sono presa le mie responsabilità molto presto, trovando soluzioni anche in contesti difficili. Ho studiato e vissuto anche in altri Paesi e continenti, imparando ad essere una cittadina del mondo e arricchendo il mio bagaglio culturale con prospettive sempre diverse e rinnovate.
Per tanti anni mio padre ed io non ci siamo visti, poi con la malattia che mi ha colpito, un tumore al seno, ci siamo riavvicinati e ho partecipato alla sua campagna pubblicitaria con la Fondazione Umberto Veronesi per sostenere la prevenzione. La morte di mio padre mi ha portato un grande vuoto ma la consapevolezza che il mio cammino su questa terra è stato provvidenziale, un dono che senza di lui non avrei avuto. Il ricordo di mio padre mi accompagna ogni giorno, spingendomi sempre a dare il meglio di me stessa e a non mollare mai».
Da ultimo, qual è il suo rapporto con Lugano e c’è qualcosa che apprezza particolarmente della qualità di vita ticinese e svizzera
«Personalmente, ho avuto un rapporto molto vivo con la città di Lugano, da quando ero ragazza e accompagnavo mia madre per le sue attività. Inoltre mio zio Giorgio Pecorini, giornalista, che molto mi ha seguito durante la mia adolescenza, ha lavorato alla RSI dal ’73/’74 a fine anni ’80, conducendo una trasmissione di inchiesta chiamata ‘Report’, quindi pendolare con Lugano per svariati anni. Ho anche molti amici, per me importanti e che fanno parte della mia infanzia, amici svizzeri ma cresciuti con me a Casale Marittimo e anche amici conosciuti negli anni, sia per studio che per lavoro. La vita ticinese e svizzera, sia per la bellezza dei paesaggi naturali sia per la qualità di vita e senso di comunità di livello molto alti, rappresenta un ottimo esempio, in un ambiente ideale, per chi cerca equilibrio tra lavoro e benessere personale».