A quali riflessioni è stato indotto dal constatare che l’umanità si è trovata all’improvviso di fronte ad un’epidemia che rimanda immediatamente alla memoria di pandemie dei secoli passati?

«Non avrei mai pensato di dovermi trovare in un simile frangente. Ciascuno di noi sta attraversando un tempo senza precedenti immediati alle nostre latitudini: un momento particolarmente esigente, che ci impone la rinuncia alla manifestazione spontanea degli affetti, a ciò che è più umano: gli incontri, gli abbracci, lo stare insieme. Le pandemie del passato presentano certo delle analogie, ma anche delle differenze, che non ci permettono oggi di riprodurre semplicemente soluzioni e comportamenti standard. Stiamo riscoprendo che di fronte all’inedito della storia, possiamo avere anche oggi solo un approccio di umile artigianato del vivere umano».

Quali sono i valori cristiani che a suo giudizio sono maggiormente emersi nel corso di questa emergenza globale?

«Certamente siamo chiamati a riscoprire la forza della comunione che ci unisce in Cristo non in forza di quello che facciamo noi, ma di ciò che ci viene donato da Dio, in maniera gratuita, invisibile e incondizionata. Ci stiamo accorgendo che se siamo comunità non è per quello che riusciamo a fare, a organizzare o a produrre con i nostri mezzi, ma per ciò che siamo e lasciamo vivere in noi in ogni momento. Questo legame spirituale e indissolubile è reale. È il fondamento di una sorprendente vitalità di iniziative di vicinanza “a distanza” a ogni livello. Un altro segno positivo è la capacità crescente di apprezzare l’impegno, spesso disinteressato, rischioso e nascosto, di tante persone al servizio della collettività: medici, operatori sanitari, curanti di ogni tipo, lavoratori che assicurano e tante altre persone impegnate da settimane per il bene comune».

Ritiene che, passata la fase dell’emergenza, sia possibile ritornare al mondo “come era prima” o l’esperienza vissuta possa operare un cambiamento nelle coscienze e nei comportamenti delle persone?

«Il cristiano è una persona in cammino. È chiamato sempre a guardare al futuro con la consapevolezza che il meglio, il Signore Gesù, risorto dai morti, è già operante con il fermento del suo Spirito Santo nella storia degli uomini fino al suo compimento nella gloria. Questo ci induce a evitare di coltivare il sogno impossibile e sempre irrealistico di far tornare le cose come prima. Il vissuto ci cambia continuamente e in maniera irreversibile. In quale modo, non è possibile dirlo in anticipo. Sappiamo per fede che c’è la possibilità di trasformare ogni situazione di crisi in una nuova nascita. C’è da sperare che riusciamo a cogliere in mezzo alle restrizioni di movimento e a tante altre difficoltà l’opportunità per un cambiamento che ci renda più umani, più umili, più coscientemente fraterni».

Ritiene che il popolo dei credenti abbia riscoperto in questa occasione il senso di essere una comunità e il valore della preghiera?

«Certamente, si è accentuata in questo tempo la preghiera personale e in famiglia. Abbiamo riscoperto la serietà del nostro impegno di cercare il Signore nella vita o, meglio, di lasciarci trovare da Lui in tempi e luoghi precisi della giornata. Sento anche forte, durante le celebrazioni, la presenza della comunità dei fedeli. C’è sempre un popolo di Dio radunato: non fisicamente ma spiritualmente e, proprio per questo, in maniera altrettanto reale e significativa».

Quanto è stato importante, in un’occasione come questa, l’insegnamento di Papa Francesco riguardo all’accoglienza e alla solidarietà nei confronti dei più deboli?

«Sono portato a pensare che la solidarietà, a cui stiamo assistendo in questo momento, nasce da un cuore umano sempre capace di volgersi al bene. Un cuore che, in questi anni, è stato più volte stimolato da Papa Francesco all’attenzione al povero e all’accoglienza. Il magistero del Santo Padre ci ha sicuramente preparato ad affrontare questa pandemia con uno spirito genuinamente cristiano. Penso pure che resterà indelebile in noi la celebrazione di Papa Francesco dello scorso 27 marzo, davanti a una piazza san Pietro deserta. Un momento che oso definire storico. Non so quante persone fossero collegate attraverso i mezzi di comunicazione: certamente tante. Le parole profonde e insieme umane e senza retorica, che il Santo Padre ci ha offerto in quell’occasione sono per tutti un balsamo e un insegnamento per il quale siamo grati e che difficilmente può essere ignorato».