Incontro il direttore dell’Ente Turistico del Luganese, Massimo Boni, nel suo ufficio in via Magatti. Dalla finestra la pensilina dei bus, firmata Botta; chissà quando arriverà il tanto amato-contestato tram-treno. Cerco di immaginarmi la città del futuro, di come sarà tra dieci anni, ma la porta si apre. Sorridente e con un’energia percepibile arriva Massimo Boni. Iniziamo a chiacchierare, nello specifico sul nostro ultimo incontro, durante la presentazione di Ticino365, una strategia che vuole portare il Sud delle Alpi a essere un’attrazione tutto l’anno.
Cosa ne pensi? Il Luganese, in fondo, ha un grande potenziale per essere meta turistica 365 giorni all’anno…
(Sorride e risponde senza esitazioni). «Il Luganese ha un grande potenziale e devo dire che stiamo già lavorando per portare il turismo durante tutto l’anno. Ci sono elementi che non sono legati al nostro operato, ma che evidentemente ci aiutano. Pensiamo al cambiamento climatico, agli autunni – come questo – sempre più piacevoli e alle primavere anticipate. Di conseguenza, non appena un turista al nord delle Alpi sbircia la meteo e vede queste temperature…arriva in Ticino. Devi calcolare che il 50% dei nostri turisti è confederato».
Mi stai dicendo che il miglior marketing per il Luganese è il sole?
«Non solo (ride), ma non possiamo negare che ci aiuta molto e lo ha sempre fatto! In ogni caso non sono convinto che siano le grandi campagne pubblicitarie a portare turisti: il segreto del successo, secondo me, sta nella qualità del turismo. Per questo è importante offrire emozioni, di diverso tipo, dalle gastronomiche a quelle culturali; poi sarà lo stesso turista a farci la migliore pubblicità con il passaparola. Nella mia visione il marketing del futuro è regalare un’esperienza unica, per esempio uno smartbox per un fine settimana sul Ceresio ai visitatori dei nostri Infopoint».
Anche perché, non possiamo nasconderlo, è una gara a chi posta la fotografia più bella, il piatto più sfizioso, l’albergo più originale…
«I social media sono un passaparola e possono sicuramente invogliare i frequentatori a scegliere una località piuttosto che un’altra. Ma voglio tornare al pacchetto vacanza offerto: facendo un marketing attivo, regalando una notte nel Luganese, una cena, uno spettacolo al LAC oppure un concerto, riverso il mio investimento sull’intera Regione. Sì, per poter avere un Ticino pronto ad accogliere turisti tutti i giorni dell’anno, dobbiamo sforzarci assieme e aiutarci: penso ai ristoratori, agli alberghi, ma anche ai commercianti e a chi organizza eventi e congressi di rilevanza internazionale. Ci tengo comunque a sottolineare che promuovere un luogo non significa unicamente attrarre turisti, ma anche creare prodotti e – come detto – un indotto per il territorio. Il Luganese è un punto di incontro tra natura, cultura, enogastromia, innovazione e sport (entusiasta), questa sua complessità lo rende un luogo unico nel suo genere».
In ogni caso la meteo non basta per garantire l’arrivo di turisti durante tutto l’anno. Penso a novembre, gennaio, febbraio…
«Naturalmente, per questo dobbiamo garantire eventi importanti, capaci di attirare turisti: enogastronomici, sportivi, culturali e non da ultimo aziendali. Non possiamo quindi essere “legati” unicamente alla meteo. Come detto, la metà dei nostri turisti sono svizzeri, poi arrivano i tedeschi e gli italiani (20%), gli americani rappresentano il mercato internazionale più importante e notiamo anche un aumento dei turisti in arrivo dai Paesi del Golfo. Per questa ragione vogliamo puntare sul turismo d’oltreoceano. Stiamo investendo negli Stati Uniti, nei Paesi del Golfo Persico e in Brasile, i risultati sono positivi, non solo in termini di numeri di pernottamenti ma anche in termine di spesa pro capite. Bisogna comunque essere sempre consapevoli che i mercati esteri sono fluttuanti e noi abbiamo bisogno di sicurezze (per quanto possibile). Resto dell’opinione che dobbiamo puntare sulla qualità, oltre alla destagionalizzazione. Vogliamo attirare visitatori consapevoli, interessati a scoprire il nostro territorio in profondità. Si tratta di un turismo ben gestito, attento alla manodopera e ai prodotti locali, capace di sostenere l’economia e migliorare i servizi anche per chi vive qui».
Quindi anche turismo congressuale, capace di portare migliaia di persone da tutto il mondo…
«Certo, per questo avremmo bisogno di una struttura all’avanguardia per accogliere 1’400 persone. Non voglio entrare nelle scelte politiche, ma personalmente penso sia arrivato il momento di creare un polo congressuale per la nostra regione. Anche in questo segmento c’è un forte potenziale da sfruttare e anche qui andremmo a ripartire i benefici su tutto il tessuto economico! In molti si spostano con la famiglia, alloggiano in alberghi o appartamenti, vanno al ristorante, fanno acquisti e danno vita a una città che ha bisogno di nuova linfa – non dico un turismo a tutti i costi, ma di vita».
Quando parli si sente nella tua voce un grande entusiasmo, un’energia contagiosa, come se da sempre sapessi che il turismo era la tua strada…
«Diciamo che è stato tutto un caso, o meglio, che dovevo scegliere questa strada (ride). Anche perché è successo tutto durante una domenica in Valle Maggia, dove ho incontrato una coppia italiana che aveva un’agenzia di comunicazione a Milano. Io ero appena rientrato da Los Angeles, avevo con due soci un’attività a Lugano in ambito sportivo-nutrizionale, ma qualcosa mi rendeva irrequieto e quando mi hanno offerto di andare a fare uno stage da loro mi sono detto: una nuova avventura, anche perché avevo studiato comunicazione e quindi era quello che volevo fare. Nello specifico, questa agenzia si occupa di promozione turistica e aveva la rappresentanza per l’Italia di importanti enti turistici, catene alberghiere e compagnie aeree».
Immagino che sia stata un’esperienza magnifica…
«In un senso sì, nell’altro è stata dura. Venivo pagato da stagista (500 euro al mese) e lavoravo senza sosta, e in più parlo tedesco, francese, inglese… insomma, devo continuare?».
No, no, ho capito. Il vero affare lo avevano fatto loro…
(Sorride). «Questa gavetta mi ha aiutato, in tutti i sensi. In fondo non ci vuole tanto a capirlo: con 500 euro non si vive; quindi ho dovuto trovarmi un lavoro da cameriere la sera. Mi spostavo con il rampichino (per usare un termine di allora), ma allo stesso tempo ho conosciuto molte persone che mi hanno aiutato ad arrivare fin qui. Insomma, una vera e propria scuola di vita».
E poi com’è andata a finire…
«Niente, continuavo a chiedere aumenti; fino a un certo punto me li hanno dati, poi, al quarto anno, la direttrice mi disse che ero la persona che avevo chiesto più aumenti di tutti (forse non si ricordava la basa dalla quale partivo). A quel punto ho iniziato a lavorare per un centro media che vendeva spazi pubblicitari. Pensa che con la commissione di un grosso cliente mi sono comprato la mia prima auto, una nuova Fiat 500: non puoi immaginare quanto fossi felice, soprattutto per non aver mai mollato. Poi un’altra casualità…».
Ancora?
«Sì, sì. Ero in vacanza da amici all’isola d’Elba e la mamma di uno di loro mi chiese di aiutarla a fare un biglietto del traghetto al computer. Glielo feci a patto di poter leggere la mia posta elettronica. La apro e nella newsletter carrer gate dell’USI, leggo che Darwin Airline a Lugano Airport stava cercando un manager tra i 30 e i 40 anni, con almeno dieci anni di esperienza nel turismo. Mi sono detto: devo farcela. Non puoi immaginare che tour de force: ho dovuto spedire subito il mio dossier e subito la risposta: “Venga fra 2 giorni, stiamo chiudendo le candidature.” Peccato che ero a centinaia di chilometri, su un’isola e senza auto. La faccio breve: mi faccio prestare l’auto da un amico, vado al colloquio, rientro e… mi richiamano a un altro colloquio. A questo punto parto in treno perché oramai le vacanze erano terminate, faccio il secondo incontro e, come puoi immaginare, mi prendono».
A ottobre 2007 inizi la tua avventura a Darwin Airline: otto anni, non sempre facili…
«Come in tutte le avventure… anche perché ci sono stati importanti cambiamenti. Penso che questa non sia la sede per ricordare tutto. Ma va detto che Darwin Airline mi ha lasciato degli spazi di “creatività commerciale” importanti: penso ai numerosi collegamenti che abbiamo creato, i charter estivi, la continuità territoriale dalla Sicilia su Lampedusa e Pantelleria, i sommelier e i charter sulle piste di St. Moritz».
Un viaggio che ti ha portato un lavoro (ridiamo)…
«Ma nulla era pianificato, te lo assicuro. Infatti, quando siamo atterrati a Samedan, i quadri dell’Ente del turismo engadinese ci aspettavano con un piccolo pensiero e, senza troppi preamboli, qualche mese dopo mi dissero che mi aspettavano nel loro ufficio. Naturalmente non potevo rifiutare e arrivato, la prima domanda – diretta – fu se ero interessato a lavorare per loro».
Ma tu avevi già pensato di lasciare Darwin Airline?
«Sì, pensavo di continuare nell’ambito della comunicazione istituzionale, sempre a Lugano, ma quell’offerta… come facevo a rifiutarla? Promuovere una destinazione come St. Moritz nel mondo non capita tutti i giorni e quindi… ho accettato».
Parli come se fosse facile cambiare, uscire dalla propria comfort zone, eppure ogni cambiamento implica un rimettersi in gioco continuo…
«I cambiamenti non mi fanno paura e, a livello professionale, oggi più che mai, bisogna essere flessibili. Sentivo la necessità di dover ancora crescere, di arricchire il mio bagaglio. Ho iniziato così a lavorare come responsabile della vendita: avevo un team di sei persone e dodici mercati di cui occuparmi. Non mi annoiavo (ironico). Sono stato in Cina, in India, in Giappone, nella Corea del Sud, nei Paesi del Golfo, negli Stati Uniti e in Brasile; ho fatto decine e decine di presentazioni e di progetti per promuovere nel segmento B2B l’Engadina».
Nel 2021 si apre il concorso pubblico per la posizione di direttore all’Ente Turistico del Luganese, un altro pezzo del puzzle che combacia perfettamente…
«Non puoi immaginare quanto lo desiderassi, era un sogno: promuovere una regione che ho nel cuore, che è casa mia, dove sono cresciuto. Un privilegio e al tempo stesso una grande responsabilità. Volevo non solo portare turismo, ma creare valore per tutto il tessuto turistico luganese, insomma ripagare il territorio al quale mi sento profondamente legato – e non è una frase di circostanza, ci tengo a sottolinearlo. Lugano, Città del mio cuore, citava un vecchio slogan, ed era un adesivo che applicammo anni fa sulla vecchia Alfa Romeo Giulietta di mia mamma».
Visto che parli di passato, ne approfitto per chiederti che tipo di bambino eri. Nonni immigranti dalle valli bergamasche nel dopo guerra, tu e i tuoi genitori nati sul lago di Zurigo e cresciuto nel Luganese. Ci puoi dire qualcosa di più?
«Che amo il lago (sorride) e che ho scelto di viverci accanto perché non posso fare a meno dell’acqua, di nuotare anche fuori stagione. Io come bambino? Chiacchierone, immagino tu lo abbia capito, ma chiacchierone di quelli veri (divertito). Pensa che in prima elementare in classe era arrivata una ragazza dalla Polonia e la maestra la mise di banco accanto a me dicendomi: “Chiacchieri così tanto che imparerà subito l’italiano.” E così è stato: in pochi mesi lo parlava perfettamente».
Sposato, molto legato alla famiglia, suppongo non sia sempre stato facile mantenere i legami con tutti i tuoi viaggi, lavori e impegni…
«Effettivamente non posso nasconderlo, non è sempre stato facile. Pensa che ho conosciuto mio marito a Lugano nel 2010 e praticamente non siamo mai riusciti a vivere sotto lo stesso tetto. Durante tutti questi anni ci siamo rincorsi con l’idea di ritrovarci un giorno, ma poi è arrivato questo lavoro a Lugano e lui ha capito, ha capito che per me il lavoro è linfa, che ho bisogno di fare qualcosa in cui posso mettere tutto me stesso. Ho avuto la fortuna di trovare sempre posti di lavoro che ho capito a aprezzato dal primo all’ultimo giorno, devo anche dire che mi piace lavorare in team e che ho optato per una leadership improntata sul risultato, non sul controllo. Dobbiamo funzionare tutti insieme, come una squadra sportiva».
Calcio?
«Lascia perdere… ho due gambe sinistre. Però il calcio di riflesso e con grande piacere ha fatto parte della mia vita: con mio papà, aiuto allenatore e mio fratello, ala destra nel Lamone-Cadempino, abbiamo vinto la Coppa Ticino (anche se non ricordo di preciso l’anno). Comunque, scio, nuoto e mi piace la buona cucina, questi sono i miei sport preferiti. Non so cucinare, questo lo fa soprattutto mio marito nel fine settimana, ma sono un maniaco della pulizia, dell’ordine e del giardino».
Nei tuoi racconti ci sono molti amici, viaggi, mete nuove. Vivi Lugano come un turista nella sua stessa città?
«Ho sempre amato viaggiare e devo dirti che mi sento a casa in diversi luoghi del mondo: Lugano, ma anche Zurigo, La Punt e Pantelleria. Qui mi trovo bene a livello energetico, conosco la comunità e si vive molto bene dodici mesi l’anno. Amo la nostra casa a Gandria e mi emoziono ogni sera nel vedere da lì i tramonti dietro Lugano».
Emozionarsi. Torniamo all’inizio della nostra chiacchierata, queste emozioni capaci di muovere il mondo…



