La Swico è un’associazione di categoria che rappresenta gli interessi in Svizzera dell’intero settore ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Organizza anche il riciclaggio di tutti i dispositivi digitali e, ovviamente, difende da un punto di vista liberale la regolamentazione delle varie piattaforme internet, la flessibilità del lavoro (e il telelavoro) e la cybersicurezza. Judith Bellaiche è inoltre molto attiva in politica: consigliera nazionale per i Verdi liberali e membro della Commissione giuridica. In precedenza è stata per otto anni membro del Gran Consiglio di Zurigo e per altri otto anni consigliere comunale nel suo comune, Kilchberg (ZH). Ha studiato diritto presso l’Università di Basilea e nel 2017 li ha completati con un Executive MBA presso l’Università di San Gallo. La sua carriera professionale comprende diversi incarichi nel settore della finanza e della consulenza, tra cui un soggiorno all’estero a Londra. Ha anche fondato e gestito una propria società nel settore degli eventi.

Oggi si fa un gran parlare di parità di genere e di sottorappresentanza femminile ai vertici delle aziende, in qualsiasi ramo. Lei si sente un’eccezione? O una pioniera?

«Pioniera è forse un po’ esagerato. Per me è più importante essere un modello: da un lato per le donne che non osano assumere un ruolo di leadership o pensano di non riuscire a conciliare lavoro e famiglia, dall’altra per i miei figli, che formeranno la prossima generazione e per i quali è scontato che anche una donna e una madre possano guidare un’organizzazione. Non bisogna prendersi troppo sul serio e pensare di essere migliori degli altri, ma comunque bisogna prendersi abbastanza sul serio da considerare che si può avere un impatto sugli altri». 

Secondo lei esiste nella gestione di un’impresa una “via femminile”, oppure nella realtà quotidiana uomo o donna pari sono?

«Penso che questa questione sia sopravvalutata. Ci sono tanti leader buoni e cattivi tra gli uomini quanto tra le donne. Ma poiché le donne a livello dirigenziale sono molto meno numerose, quando commettono un errore si nota molto di più, e ciò viene poi attribuito al loro sesso. È assurdo. Come leader, proprio come in politica, è importante l’autenticità; il genere non ha alcun ruolo. Quando le donne fingono per apparire meno vulnerabili possibile, non appaiono autentiche (questo vale però anche per gli uomini). La leadership va imparata, ed è un lavoro duro. Ha molto a che fare con gli ostacoli, le difficoltà, la resilienza e la perseveranza. Forse le donne sono svantaggiate perché hanno più rispetto per le sconfitte, mentre gli uomini sono semplicemente più sicuri di sé e non si lasciano scoraggiare».

Nella sua vita si è mai sentita discriminata o poco considerata in quanto donna?

«Sì, ma non sistematicamente. È molto importante sottolineare che la discriminazione dipende dalla cultura aziendale. E questo ha a sua volta a che fare con la leadership. Se la leadership tollera la discriminazione o, peggio, la provoca, questa si diffonde in tutta l’azienda. L’ho sperimentato in un’organizzazione in cui ho lavorato. Ma è stata un’eccezione: tutte le altre organizzazioni in cui ho lavorato mi sono sembrate egualitarie e rispettose».

Attiva ad alti livelli nel mondo del lavoro e anche politicamente a livello federale: è stata dura arrivarci?

«Ho dedicato molto tempo ed energia alla mia carriera politica. Innumerevoli interruzioni serali, nei fine settimana e durante le vacanze che hanno influito e influiscono sulla vita familiare. La politica comporta un duro lavoro senza alcuna garanzia di successo. Ma ho anche investito molto nel mio sviluppo professionale: ad esempio l’Executive MBA, che ho completato a mie spese trascorrendo diverse settimane lontano da casa. Sì, è stato difficile e non sarebbe stato possibile se mio marito non mi avesse sostenuto incondizionatamente e non si fosse preso la responsabilità di occuparsi dei nostri figli. Quando le donne guardano alla mia posizione, vedono solo i miei successi. Le difficoltà, gli ostacoli e le battute d’arresto sono invisibili, ma sono esistite e sono state importanti per progredire. Da questo punto di vista è stato sì difficile, ma anche istruttivo ed emozionante. Non avrei voluto perdermi nessuna delle esperienze fatte».

A cosa ha dovuto rinunciare, se ha rinunciato a qualcosa?

«Al tempo libero. Ne ho pochissimo, ma la qualità è più importante della qualità, e il più delle volte trovo un buon equilibrio».

Quando non lavora e non fa politica, cosa fa?

«Nonostante il lavoro il centro della mia vita è la mia famiglia: non me ne sono mai allontanata, senza mio marito e i miei figli non sarei dove sono. Quando è possibile, mangio loro: mi piace cucinare pasti freschi ed equilibrati. Mantengo anche la mia cerchia di amici e faccio un po’ di sport. E durante le vacanze leggo il più possibile – libri in inglese per tenere aggiornate le mie conoscenze linguistiche».

Parliamo del suo ramo di interesse, le ICT: quali sono a suo avviso le sfide che attendo il settore nei prossimi anni?

«L’industria digitale è ben posizionata per il futuro e continuerà a crescere. Ma la carenza di lavoratori qualificati sta diventando un grosso problema. Se non riusciamo a creare più posti di apprendistato e ad attirare più donne nel settore, avremo meno valore aggiunto in Svizzera. Se non abbiamo abbastanza persone qualificate per proteggere i nostri sistemi vi sarà poi anche un pericolo per la sicurezza informatica». 

Il settore, o per lo meno le cosiddette Big Tech, oggi sembrano in crisi: quali a suo avviso i motivi?

«Mi sembra più una scossa di assestamento che una crisi. Negli ultimi due anni le Big Tech hanno creato centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, soprattutto negli Stati Uniti. Questa crescita gigantesca era probabilmente dovita ad aspettative gonfiate sullo sviluppo di alcune tecnologie o sulla domanda di determinati prodotti. Ora sta arrivando una fase di adattamento alla realtà. Ma anche il raffreddamento dell’economia, l’inflazione e le previsioni economiche hanno un impatto sulle decisioni aziendali. A lungo termine, tuttavia, il settore tecnologico rimarrà un importante motore di innovazione e prosperità».

In Svizzera invece come è la situazione?

«La situazione in Svizzera è attualmente stabile. Alcune delle grandi aziende tecnologiche gestiscono qui siti di ricerca, che si spera siano meno soggetti alle fluttuazioni rispetto agli Stati Uniti. Anche nella Confederazione l’inflazione è tollerabile e la domanda di servizi digitali, come il cloud, è ancora elevata. Spero ovviamente che non ci siano ondate di licenziamenti, ma in ogni caso sono convinta che il mercato del lavoro in Svizzera potrebbe assorbire questi talenti».

Lo stato sta intervenendo per regolare il settore ICT (Lex Booking, Lex Netflix, Digital Service Act a livello europeo…). È giusto oppure sta esagerando?

«Un’economia ordinata ha bisogno di essere regolamentata, questo è chiaro. Ma la regolamentazione dovrebbe promuovere l’innovazione e la concorrenza, non la conservazione strutturale. Alcune leggi approvate da noi, e soprattutto dall’UE, sono invece protezionistiche. Non credo che sia la strada giusta da percorrere. Lo Stato dovrebbe limitarsi a interventi che proteggano le persone e una società liberale».

A un giovane che volesse lavorare nelle ICT, quale formazione consiglierebbe?

«C’è una gamma meravigliosa di formazioni nel settore delle ICT! Alcune sono più tecniche di altri, ma tutte hanno una componente creativa e ottimi prerequisiti e potenziali per una carriera interessante e variegata. È possibile scoprire queste professioni sul sito web della formazione professionale ICT. A lungo termine, ogni profilo professionale avrà un’interfaccia con la digitalizzazione, indipendentemente dal settore. Lavorare con macchine e robot sarà altrettanto naturale che leggere e scrivere. Ecco perché vale la pena interessarsi alla tecnologia, soprattutto per le ragazze! Perché sono fortemente sottorappresentate nella digitalizzazione ed è importante che si preparino a questo cambiamento».