Riservato, quasi timido, Cosimo Fini, in arte Gué, si presenta con una tuta bianca, un sorriso e una gentilezza direi inaspettata. Ha voglia di raccontarsi, di ricordare quanta strada ha dovuto percorrere per arrivare dove si trova oggi, i sacrifici, il non avere soldi, l’aver lottato per salire su di un palco.  Le sue sono canzoni pensate, nulla è lasciato al caso, ogni metafora è voluta, ogni citazione inserita con una delicatezza poetica, quasi in contrasto con i pregiudizi legati al genere rap, a volte crudo e ricco di termini, come dire… espliciti.

Gué, vorrei parlare di te, naturalmente anche attraverso la tua musica, per farti conoscere, per poter andare oltre alle fotografie che vediamo sui giornali o ai video musicali… anche perché vivi qui e quindi potrebbe capitare a chiunque di incontrarti…

«Non preoccuparti, tranquilla (sorride), non mi imbarazza parlare di me, lo so che mi intervisti perché abito in Ticino e mica perché canto (ridiamo). Sai che mi hanno fatto una foto per la copertina dove sembro serissimo? Quando l’ho mostrata a mia mamma lei mi ha detto: “Assomigli a un guro di Internet”».

Visto che hai parlato di tua mamma… che rapporto hai con la tua famiglia?

«Ho solo mia madre, mio padre non c’è più da tre anni e con lei ho un buon rapporto, la vedo spesso, mi viene a trovare, siamo legati e ne sono felice. Ora sono a Lugano, dove ho trovato una base fantastica per vivere, visto che sono sempre in giro per lavoro, ma comunque una volta alla settimana vado a Milano, dove registro, e dunque se mia mamma non viene a trovarmi in Ticino vado io da lei.

(Una pausa spontanea) Poi sai… ho avuto anche una bambina, tra poco fa un anno, e anche se vive con la mamma l’idea è quella di poterla avere qui con me, per vederla crescere e apprezzare ogni momento».

E come hai vissuto il diventare padre…

«È qualcosa di così straordinario che non l’ho ancora realizzato completamente. Forse anche perché la bambina è molto piccola e per il momento non c’è molta interazione, ma a poco a poco ci stiamo avvicinando, mi piace osservare tutti i suoi cambiamenti: ora mi guarda, sorride, ridiamo… è meraviglioso».

Il 25 dicembre farai 42 anni, che ricordi hai di Gué bambino?

«Ero un bambino abbastanza introspettivo. Mio padre era un giornalista e mia mamma lavorava nel cinema, quindi sono cresciuto in una famiglia non ricca, ma dove la cultura era di casa, la si respirava. Ho fatto il liceo classico, leggevo molto poi però sono andato in una direzione opposta: mi sono innamorato della musica, di tutti i generi. Il punto è che quello che i miei mi hanno trasmesso e quello che ho imparato durante i miei studi hanno influenzato e segnato tutta la mia vita, lo si può percepire dai miei testi, dalle mie parole».

Suonavi anche?

«No, non ho mai suonato, ma sono un nerd della musica, conosco tantissimi dischi, cantanti, posso dire di avere un’ampia cultura musicale. Ho vissuto negli Stati Uniti, in Sud America, non mi sono mai limitato solo ad ascoltare, mi piaceva e piace analizzare, sperimentare, creare e poi riprovare ancora, cercando di migliorare ed evitare la staticità e la noia. Non voglio togliere nulla ai miei colleghi rapper, ma bisogna dirlo: il mercato di oggi permette di farsi conoscere molto velocemente e di guadagnare molti soldi in fretta, ai miei tempi non era così, bisognava farsi le ossa prima di salire su di un palco e questa gavetta la voglio ricordare ogni giorno. Sono grato alla vita, al mio pubblico per quello che sono riuscito a ottenere».

Le tue canzoni hanno spessore, forse hai avuto una scalata meno rapida, ma sei tutt’oggi un volto importante dell’hip hop a livello internazionale…

«Torno a dirlo, niente mi è stato regalato, la cultura bisogna coltivarla, studiando, ancora oggi mi prendo il tempo di andare a New York per scoprire nuove tendenze, so che per alcuni parlare di cultura hip hop sia esagerato, ma inizia ad avere quarant’anni e c’è dietro un mondo, non è qualcosa che appartiene alla strada, ha una storia importante e un grande valore».

I tuoi testi li scrivi tu?

«Sì, assolutamente e ci tengo molto. Scrivo i testi perché sono rimasto uno dei pochi che – nonostante abbia venduto molti dischi – rimane fedele al genere e mi piace pensare alle mie canzoni. Sai… quando scrivi un testo rap ci metti te stesso, è molto personale, esce la tua voce, la tua personalità e lo vivi dal tuo punto di vista. In molti lavorano con gli autori, se guardi in America i big usano frasi di altri, come se avere un autore fosse una questione di stato; quindi, se sei molto famoso, puoi permettertelo. Non voglio condannare chi lo fa, magari mi capita di usare le parole di altri nei ritornelli, ma la strofa è mia, nasce da me e sono mie le parole e voglio che resti così».

Ma quando pensi, vedi, immagini, lo fai già a ritmo di rap? Un po’ come fanno i poeti…

«Io vengo da una scuola degli anni ’90, sono molto legato alle metafore, uso le stesse figure che usano i poeti, anche se, diciamolo, in un modo più sporco. Nei miei testi inserisco assonanze, similitudini, faccio riferimento all’arte, ai film e quando andando in giro vedo o sento qualcosa che mi piace me lo annoto sul cellulare. Lo scrivere mi piace così tanto che non mi stanca mai, non ho bisogno di pause o vacanze, io penso sempre alle parole delle mie canzoni, è come se fossi in un flusso di produzione continua. Indubbiamente arriverà il giorno in cui mi fermerò, ma fino a quando sento questa creatività voglio approfittarne o meglio, godermela, perché mi dà molta soddisfazione, mi sento appagato».

Gué, pensi che il rap sai una tendenza di passaggio?

«Chiaramente stai parlando dell’Italia… perché nel resto del mondo la metà del mercato appartiene all’hip hop da diversi decenni. In Italia il rap effettivamente è arrivato dopo, ha avuto un primo boom durante gli anni ’90, fine anni ’90, pensiamo agli Articolo 31, a Fabri Fibra… ora i nomi sono moltissimi, ci sono diverse ondate, come in tutto, quindi anche la musica si rinnova, con momenti alti e bassi, ma poi torna sempre… e per il rap sarà la stessa cosa».

E per quanto riguarda il modo di vestirsi, i tatuaggi, possiamo ancora parlare di stile rap? 

«I codici legati al modo di vestirsi, ai tatuaggi come tributi, sono una visione – scusa la franchezza – un po’ vecchia. Ormai questi (si guarda il braccio tatuato) li hanno tutti, non appartengono più a un genere, così come i vestiti. Negli anni ’90 individuavi subito un rapper o un rockettaro, ora lo streetwear è una moda, anche le grandi firme lo propongono, quindi ognuno di noi può scegliere il suo abbigliamento, individualmente, senza obblighi o stereotipi».

Torniamo al tuo legame con il Ticino, come mai hai deciso di trasferirti qui, in fondo Milano offre molto di più…

«Sono nato e cresciuto a Milano, ma crescendo ho iniziato ad avere amici, proprietari di locali, che erano basati a Lugano. Il mio dj, al quale sono particolarmente legato, è di Bellinzona e quindi iniziando a lavorare con lui e avendo anche un rapporto di amicizia ero spesso in Ticino. Devo dire che non ho avuto nessuna difficoltà ad ambientarmi, quando mi sono trasferito qui mi sono subito trovato benissimo e sono molto felice, direi che ho trovato la mia pace.  Sai la mia è comunque una carriera lunga, inizialmente Milano mi ha aiutato molto, ma quando ho iniziato ad avere popolarità, forse ricorderete il gruppo storico Club Dogo, ho capito che avevo bisogno di trovare un’oasi dove essere solo me stesso, dove pensare senza sentire l’influenza degli altri. Ho deciso di abitare nel verde, sui monti, a sette minuti da Lugano, in mezzo alla natura, fonte di ispirazione e meditazione».

Sembra di parlare con due personalità opposte: Gué, rapper di successo, e l’uomo, più meditativo. Immagino anche che qui tu abbia un po’ più di privacy…

«Esattamente (sorride), le persone qui sono più discrete, non come in Italia, quindi posso vivere la mia vita quasi nell’anonimato. Lugano è una città perfetta per chi comunque viaggia e vuole un po’ di tranquillità, qui non mi manca nulla. D’estate è una piccola Montecarlo, i mesi un po’ duri sono quelli invernali, tranne il periodo di Natale, ma mi organizzo, invito amici a casa o semplicemente mi prendo il tempo di guardare un po’ di tv, visto che non lo faccio mai. Il punto è che qui ho sempre la scelta di stare tranquillo o di uscire, a Milano assolutamente non è così, c’è sempre qualcosa: concerti, feste… e quindi ti senti obbligato a farti vedere, sai com’è… Poi, come detto, a Milano ci torno spesso, ma il mio futuro lo vedo in Svizzera, per questo ho richiesto il passaporto rossocrociato».

So che è molto impegnativo, hai già iniziato a studiare (ridiamo)…

«Certo, ho visto che è difficile e per questo sto studiando molto, mi sa che parteciperò anche alle serate di formazione, ne sono incuriosito… ti dirò».

Oltre alla tua passione per la musica ne hai altre, non so… tipo cucinare…

«Cucinare assolutamente no (ridiamo), ma faccio moltissime altre cose, il mio core è indubbiamente la musica, ma in Svizzera ho anche due negozi di gioielli, sono socio di una discoteca, di un ristorante, assieme ad altri ragazzi ho una marca di streetwear e ora sto sperimentando una trasmissione broadcast, un’esperienza nuova che mi sta coinvolgendo molto».

Come riesci a fare tutto quello che fai, hai un assistente fidato?

«Devo dire che sono abbastanza indipendente e mi piace essere impegnato su più fronti, forse è anche per questo che sono resistito tanto come rapper. Devi pensare che attualmente io non faccio i numeri dei ventenni, ma sono comunque un competitor, ho i contratti migliori. Diventando adulto, continuando a scrivere, evolvendo, ho ampliato il mio pubblico, ho tenuto coloro che ora hanno quarant’anni, ma conquistato anche i più giovani e coloro che mi hanno rivalutato, in poche parole, non voglio sembrare banale, ho passato una vita a seminare e ora sto raccogliendo. Sai quale vorrei fosse il mio goal? Non ridere (pausa)… vorrei riuscire a diventare un Jay-Z dei poveri, una figura di riferimento per il mio genere, restare nella storia del rap».

Sai che sentendoti parlare mi viene un po’ di apprensione, non dev’essere facile doversi battere ogni giorno contro una concorrenza sfrenata per rimanere sempre in vetta…

«Bisogna essere forti, nella musica c’è uno spazio temporale quando canti, poi però non tutti i cantanti restano, molti vengono dimenticati. Io non ho un’ambizione materiale, sono disposto ad avere meno, ma come detto vorrei continuare a vivere attraverso le mie parole, i miei testi. Poi bisogna anche sapersi vendere, cogliere le giuste occasioni, saper sfruttare tutti i palchi.

(Ridiamo) «Non ora, ma tra qualche anno perché no…, ci sono stato come ospite e mi è piaciuto molto».

Posso chiederti perché la scelta di chiamarti Gué Pequeno?

«I nomi veri, se non sei un cantautore, non vengono usati, il mio è quello che si dice un nome d’arte. Gué deriva da sguercio, perché sono nato con una malformazione della palpebra, così ho voluto partire da un punto debole, che da bambino mi ha portato a essere preso in giro, e trasformarlo in un punto di forza. Questo è il mio vero successo».

Ora però hai tolto Pequeno e ti chiami semplicemente Gué…

«L’ho tolto perché il mio discografico continuava a dire basta, è ora di toglierlo e quindi, visto che sono cresciuto… ho deciso di farne a meno (sorride). Ora sono semplicemente Gué».

Tornando ai testi rap, bisogna dire che per chi non è abituato al genere possono sembrare un po’ crudi e forse esageratamente espliciti…

«È difficile risponderti, perché non c’è una regola, chiaramente se parliamo di rock and roll parliamo di sex and drugs e questo non scandalizza nessuno, però effettivamente ci sono gruppi che ne abusano, ma il rap – dobbiamo ricordarlo – è un heritage di strada, è schietto, vero, puoi usare parole molto esplicite e anche dark, ma allo stesso tempo scrivere strofe di una sensibilità inattesa. Dipende sempre in che contesto inserisci determinate parole, posso ad esempio scrivere un testo dalla forte connotazione sessuale, ma denso di citazioni e analizzandolo capisci che c’è dell’altro dietro la crudità iniziale, di facciata. La nuova generazione non va condannata, alcuni di loro hanno meno spessore di chi ha più esperienza, ma sono bravi nel creare nuove melodie, per questo possono apparire più duri, anche perché sono ancora dei ragazzini».

Sei stato uno dei primi ad avere un’etichetta indipendente e hai lanciato con la tua casa di produzione nomi importanti come Fedez, Gali, Salmo. Che tipo di rapporto esiste tra di voi?

«Ci conosciamo tutti, ma non ci frequentiamo, possiamo avere dei contrasti, provocarci, ma ci rispettiamo perché siamo comunque tutti dei professionisti e viviamo di musica. Con i più giovani ho un legame particolare, perché in me vedono qualcuno con cui potersi confidare. Ho vissuto anni di povertà, ho dovuto battermi giorno dopo giorno, mentre alcuni di questi giovani diventano milionari in una notte… e questo è un problema. Quando il successo ti cade letteralmente addosso ti senti invincibile, ma fondamentalmente non hai i mezzi per gestire la nuova vita e molti di loro, ad un certo punto, non ce la fanno più. Per questo a chi me lo chiede do volentieri un aiuto, non tanto musicale, ma di vita, di come sopravvivere a un sogno che improvvisamente prende il sopravvento sulla realtà ed è ancora più grande di quanto immaginato».

Devo dirti la verità ti immaginavo diverso, a tratti sembri anche timido, in contrasto dal Gué sul palco…

«Forse non sono proprio timido, ma riservato sì. Direi che sono abbastanza un animo delicato, anche se fisicamente non do questa impressione (sorride). Infondo la musica è un po’ come recitare, la musica amplifica quello che vuoi mostrare, sul palco sono molto diverso da come sono nel privato. Direi che sono un ragazzo tranquillo, insomma non uno che salta sul tavolo (divertito)».

E i tuoi prossimi progetti, prossimo album?

«Ho un disco nuovo in uscita per il prossimo anno… quindi tra pochissimo».

Ci puoi svelare qualcosa di più… il titolo?

«Non voglio ancora dire nulla, ma ho lavorato con un’eminenza del mio genere, un produttore. Poi sto anche facendo questa esperienza broadcast di cui ti ho parlato prima e spero diventi un vero show… insomma il 2023 sarà un anno bello impegnativo».

Il tempo dell’intervista finisce, ci sarebbero ancora moltissime cose da scoprire e chiedere, ma infondo Gué si racconta nelle sue canzoni e forse, il miglior modo per conoscerlo, resta quello di ascoltare le sue parole.